Di Serena Votano
È la domanda inevitabile, quella che ci facciamo ogni volta che leggiamo un inedito postumo di un autore o un’autrice tanto amata. Forse no. Forse Diario per John non doveva diventare un libro, eppure è qui, ed è impossibile ignorarlo.
La verità è che vorremmo che scrittrici come Joan Didion non morissero mai. Oppure che avessero l’accortezza di lasciarci in eredità un romanzo ogni due anni, almeno per venti. Se è vero che si scrive per sopravvivere – proprio come scriveva lei –, leggere ci dà l’illusione di un’eterna presenza.
Non è un manoscritto finito né un memoir. Diario per John, pubblicato in contemporanea in tutto il mondo (in Italia da il Saggiatore, tradotto da Sara Reggiani), ci mette di fronte a un altro tipo di sopravvivenza. Più dolorosa, più intima, più spiazzante. Didion le ha scritte tra la fine del 1999 e il 2000, riportando con cura maniacale le sue sedute psichiatriche con il dottor Roger MacKinnon, non per se stessa ma per il marito, John Gregory Dunne. Riportava i dialoghi parola per parola, giorno dopo giorno, seduta dopo seduta.
Lui avrà letto questo diario?
Come leggiamo nell’introduzione, «Didion aveva iniziato a vedere MacKinnon perché Quintana aveva detto al suo psichiatra che la madre era depressa e avrebbe dovuto parlare con qualcuno. Il parere dell’uomo era che il rapporto fra madre e figlia fosse alla radice dei problemi di Quintana, che lui stesso stava cercando pressoché invano di risolvere».
Era un periodo buio. Didion ha 65 anni, è in crisi creativa, profondamente ansiosa e preoccupata per la figlia Quintana, che ha appena iniziato a mostrare segni di grave disagio mentale. L’America sta per entrare nel nuovo millennio, ma lei è ferma, impantanata.
Emerge la capacità che ha Didion di raccontare il dolore senza farne mai spettacolo. Si parla di senso di colpa, di maternità, del bisogno di controllo. Della paura inconscia dei figli adottivi di essere “ridati via”, e quella dei genitori adottivi che gli vengano tolti.

«Se Quintana dipendeva da me, ero ancora giovane, ancora potente, sua madre. Quando gliel’ho detto pensavo che avesse a che fare con il mio invecchiamento, con il bisogno di sentirmi ancora nel fiore degli anni. Ci ho ripensato, ho detto, e ora mi sembra di aver sempre, anche da molto più giovane, investito sulla sua dipendenza».
Al netto di tutto, dal diario ho compreso che il rapporto tra madre e figlia è un cane che si morde la coda. Un paradosso inestricabile. Joan teme di perdere Quintana, mentre Quintana è convinta che la madre starebbe meglio senza di lei. Chiede consigli alla madre, si aspetta che sia Joan a prendere le decisioni per lei così da colpevolizzarla in caso di decisione sbagliata. Desidera e pretende spazio, ma teme di essere abbandonata in quanto figlia adottiva. Come si sopravvive a un legame così?
La scrittura non consola: è spezzata, spesso incerta, a tratti ossessiva. Non c’è letterarizzazione, né eleganza. Ma questa imperfezione è parte della sua potenza. Perché Diario per John non è un’opera pensata per essere letta: è un frammento autentico di esistenza. Eppure è anche un testo che, pur nella sua vulnerabilità, illumina il laboratorio interiore e intellettuale da cui sono nati i suoi capolavori. Anche nei momenti più fragili, Didion resta Didion. La scrittura trema ma non crolla.
Didion è una delle autrici più famose al mondo tra le esponenti del cosiddetto “New Journalism”, uno stile di scrittura – nato negli anni Sessanta – che unisce giornalismo e narrazione letteraria.
I romanzi che più ho amato di Joan Didion sono L’anno del pensiero magico – il più famoso, che scrisse dopo la morte del marito nel 2003 e vinse il National Book Award for Nonfiction – e Blue Nights. In questi suoi due capolavori autobiografici l’autrice dimostra di essere una persona più forte di quanto io potrei essere nei suoi panni. Diario per John però sviscera l’argomento più di quanto sia mai stato fatto in quei due libri, potremmo considerarlo un capitolo importante di una trilogia ideale.
Proprio perché aggiunge dettagli intimi e inediti a una storia che la scrittrice aveva già raccontato, il libro ha suscitato enorme interesse. Leggerlo, è stata un’esperienza ambigua. Mi sono sentita un’intrusa nell’intimità di una famiglia che non è la mia. Queste mie stesse sensazioni hanno ha scatenato un complesso dibattito: era giusto pubblicarlo?
Dopo la morte di Didion i suoi eredi (i figli del fratello) donarono l’archivio suo e del marito alla New York Public Library, che adesso è aperto al pubblico. E poiché questo manoscritto sarebbe comunque diventato pubblicamente accessibile, i tre amministratori fiduciari di Didion – la sua agente Lynn Nesbit e le editor Richelle Wanger e Sharon DeLano – scelsero di trasformarlo in un libro. È stato pubblicato per intero e praticamente senza revisioni, solo con una breve introduzione, una breve conclusione e qualche nota.
Come raccontato su Il Post, la sua agente Lynn Nesbit ha ammesso di non sapere cosa Didion avrebbe voluto che accadesse a quel manoscritto, ma di essere certa che non fosse stato scritto con l’intento di pubblicarlo. Didion era una scrittrice estremamente precisa, attenta alla forma e al linguaggio, mentre Diario per John ha un tono grezzo, una struttura frammentaria, lontana dalla cura stilistica a cui ci aveva abituati. Anche nei suoi testi più intimi Didion ha sempre ricercato l’universalità. Tuttavia è difficile credere che non sapesse che, prima o poi, qualcuno avrebbe letto.
Leggendo questo diario siamo entrati in una dimensione troppo privata? Chi può dirlo. Ce la prendiamo con gli agenti, critichiamo la scelta di curiosare nei computer o tra i fogli degli autori ormai morti, ma poi vogliamo leggere.
È difficile tracciare una linea netta tra la vita e la letteratura. Anche nel caos, nel dolore, nella confusione di appunti personali, Didion ha scritto qualcosa che parla a tutti. Per questo, nonostante tutto, sono stata grata di averlo letto.
Joan Didion (Sacramento, 1934 – New York, 2021) è stata tra i maggiori scrittori americani. Il Saggiatore ha pubblicato Run River (2016), Miami (2016), Nel paese del Re pescatore (2017), Da dove vengo (2018), A Sud e a Ovest (2019), Finzioni politiche (2020), Blue Nights (2021), Idee fisse(2021), Prendila così (2021), Il suo ultimo desiderio (2021), L’anno del pensiero magico (2021), Perché scrivo (2022), Verso Betlemme (2023), The White Album (2023) e Ultime interviste (2024).

