Di Serena Votano
«I was born with a broken heart» è una frase tratta da una canzone di Damiano David che nulla ha a che vedere con il genere musicale che ascolterebbe il protagonista di Xerox di Riccardo S. D’Ercole. Eppure mi sembra perfetta per descrivere il secondo bruciante racconto breve della collana Stormo, curata da Mattia Grigolo per Pidgin editore. Un viaggio verso l’abisso di un cuore disperato.
«Io gliel’avevo detto che poteva amarmi. Gliel’ho detto quella sera che siamo andati allo xerox che suonavano gli øine con i raein. Era il mio compleanno, il giorno perfetto per vagare nell’abisso perché cade lo stesso giorno in cui mia madre si è tolta la vita».
La musica hardcore anima il centro sociale mentre il protagonista, sotto l’effetto di un mix di droghe, inizia un viaggio (a tratto psichedelico) lungo tutto una notte, mentre i ricordi della madre – morta suicida – e del padre – abbandonato in un centro di cura – si legano a doppio filo al momento in cui ha conosciuto la ragazza dai capelli rosa e dagli occhi taglienti alla quale ha chiesto di essere amato.
La sua affermazione – «Io le ho detto che poteva amarmi» –, un lasciapassare ai sentimenti, è una speranza che nel momento stesso in cui si fa voce diventa impossibilità. Tra i due, dopo una striscia di cocaina, c’è una rapida scena di sesso e violenza, una lama divide la carne e poi sparisce nella notte: «Ma cosa vorresti amare ma cosa puoi amare tu fatti curare».
In Xerox non c’è redenzione, non c’è ordine. Solo un immenso senso di vuoto che tutto divora e devasta. Il linguaggio di D’Ercole è crudo, nervoso, instabile: si muove tra ripetizioni, fratture sintattiche, visioni distorte. E proprio per questo riesce ad arrivare a fondo, dove spesso la letteratura “pulita” si ferma. Il vuoto del protagonista viene interrotto solo da brevi paragrafi polarizzati dal femminile, dedicati alla caduta della madre e ai pensieri della ragazza nel locale che lo osserva autodistruggersi. Non lo giudica, ma sa che non può aggiustarlo. Lo guarda nel momento esatto in cui si frantuma, prima di sparire per sempre.
«La capisco la rabbia che è la lingua che parlo che parliamo tutti le capisco le urla sì ma la malinconia, la malinconia è la migliore forma di rabbia che conosco».

Nella sua richiesta d’amore, nel tentativo di trasformare la rabbia in malinconia, c’è il grido muto di una generazione che non cerca il lieto fine ma ha fame d’amore perché non ha mai imparato a riceverlo. E se l’amore non basta a salvarci, forse può almeno farci sentire vivi, per un istante.
Forse è per questo che, anche a me, è capitato di chiedere di essere amata – solo questo. Non era desiderio di possesso, né paura della solitudine. Era il bisogno di potermi fidare, di mostrarmi per quella che ero senza paura. E in cambio, sperare solo in un po’ di bene.
Questo perché un cuore spezzato sa cos’è la mancanza, il vuoto, il dolore che non passa – e proprio per questo può amare con una profondità che pochi conoscono. Ma spesso quell’amore è irregolare, a tratti disordinato, contraddittorio. Ama e si ritrae. Si dona e si protegge. Vuole avvicinarsi ma teme di essere ancora una volta respinto, abbandonato, tradito. Chiedevo di essere accettata per quello che sono, e di ricevere in cambio solo bene. Non era egoismo, ero pronta a ricambiare. Ma, come nell’equilibrio fatale di Marina Ambramović e Ulay – Rest Energy –, avrei affidato la mia vita nelle mani di un’altra persona.
Come ho detto all’inizio, ho pensato molto – complice la radio, in questi giorni estivi – alla canzone di Damiano David. Perché il cantante – come me, come il protagonista – dice che un cuore spezzato può accogliere amore, ma non sempre basta per guarirlo. E forse, proprio per questo, continua a chiederlo.
D’Ercole esprime la rabbia generazionale di chi, anche se proviene da una famiglia disfunzionale, anche se non ha alcuna certezza su quanti giorni ancora vivrà sulla Terra, anche se vive il presente sfuggendo logiche capitalistiche, chiede solo un po’ d’amore. Chiaramente non si tratta di un testo facile, ma è difficile non leggere D’Ercole tutto d’un fiato (complice, appunto, la brevità e la voracità dello stile di scrittura). È una corsa senza fiato dentro una notte che sembra non finire mai.
Consiglio Xerox a chi ha amato Noi, i ragazzi dello zoo di Berlino o Trainspotting e cerca un nuovo racconto generazionale borderline. A chi ama la letteratura che esplora la fragilità psichica e affettiva senza filtri o moralismi. Dedicato a chi cerca l’amore nei cuori spezzati.
Riccardo S. D’Ercole è nato ad Andria nel 1993 e vive a Milano. Lavora come redattore freelance e curatore editoriale. Ha scritto per Rolling Stone Italia, Black Camera, Zero. Dal 2018 dirige e coordina Nea Magazine. È autore di Pneuma (Robin, 2021).
In copertina: artwork by Alexey Kondakov

