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Camilla Cederna, il potere, il corpo e la storia (di Giulia Bocchio)

Gli articoli di Camilla Cederna –  scrittrice e giornalista fra le prime donne a laurearsi in Italia e a ricoprire un ruolo di rilievo nelle redazioni di testate i cui membri erano sempre solitamente uomini – estrapolati dalle pagine del giornale per cui lungamente scrisse, ovvero L’Espresso, sono come dei piccoli saggi di carattere socio-antropologico che esplorano i modi & le maniere che hanno caratterizzato il vivere in società negli anni Sessanta: Le pervestite è una raccolta di quegli articoli che hanno attraversato, in particolare, un anno che ha fatto storia a sé, il Sessantotto, che troviamo ripubblicati e nuovamente in libreria grazie a nottetempo, con la curatela di Irene Soave. 

Leggere oggi questi pezzi ha certo un effetto diverso rispetto all’appuntamento in edicola di allora, un po’ perché dal punto di vista pratico di edicole ce ne sono sempre meno, un po’ perché il tempo scorre in maniera inversamente proporzionale a quel senso di nostalgia che abita il passato, anche quello che non abbiamo direttamente vissuto. Eppure questi articoli, tutti arguti, disincantati e molto diretti, evocano sentimenti che trascendono anche la nostalgia. Cederna disegna per noi una piramide sociale piuttosto evocativa e ci invita a scivolarci dentro, perché vischiose certe convenzioni, faticosi certi mutamenti, appiccicosi i retaggi sulla pelle delle donne. 

Scrive di società e di moda, ma anche di divorzio, aborto, pillola contraccettiva, amanti patinati, case vacanza, di quarantenni che scoprono per la prima volta il potere del corpo e quindi il piacere del sesso, di star, di gente molto ricca invitata a feste a tema organizzate da gente ancora più ricca.

 

 

Emerge, in questi pezzi dal taglio a volte ironico, a volte tagliente, quel tratto che caratterizza l’imprendibile concetto di tempo: il cambiamento. Cederna maneggia, attraverso linguaggio e scrittura, dei ritratti di vita che mutano fra le sue mani, riga dopo riga. Alla fine di un paragrafo, là fuori, è già successo qualcos’altro, ne esiste già una versione potenzialmente aggiornata. In qualche modo succede anche adesso, ma con meno sogno e meno meraviglia.

Lei però aggiunge sempre qualcosa a quei quadri che sono i suoi articoli, ovvero un equilibrio descrittivo che è quasi un aspetto puramente dialogico, Cederna ti racconta per filo e per segno quella situazione, quel flirt, quello scandalo, quell‘omicidio. Perché sono anni in cui la cronaca si intreccia al costume, ai nodi di seta al collo dei protagonisti.

La narrazione che Cederna fa della famiglia d’Acquarone, per esempio, è tragica, grottesca e gattopardiana allo stesso tempo: l’orgoglio nobile di una casata che si sforza in tutti i modi di mantenere intatta un’etichetta già morta, più morta del figlio-rampollo Cesare, che viene ucciso con cinque colpi di pistola dalla giovane suocera Sofia Bassi Celorio mentre si trovano in vacanza ad Acapulco, e che getta nello scandalo tutto ciò che per generazioni era stato ben covato da rigore, orgoglio e riservatezza. Perché l’esistenza è anche fatta di paradossi, di pessime figure e di contratture dell’anima e del desiderio. Fanno ancora male le testimonianze che Cederna raccoglie a proposito dell’aborto, lo fa intervistando i medici, che fra apatia e disincanto, raccontano cosa avviene dentro e fuori le cliniche, il denominatore comune non è solo la sofferenza delle donne, quasi sempre sole, incappate in relazioni fugaci o in matrimoni in cui vige solo l’esigenza del marito, ma l’inesorabilità di un trauma.
C’è la segretezza e la vergogna in quelle storie, ma anche il denaro, il dolore fisico e la morte: “(…) La sua ultima cliente della giornata era stata una signora di Cosenza in preda a gravi disturbi cronici perché datava da qualche mese il suo diciannovesimo aborto illegale, mentre quella che, nonostante il suo ben radicato cinismo professionale, egli non riesce a dimenticare è la giovane donna che ha visto morire poco tempo fa all’ospedale in seguito a pratiche abortive di un’ignota levatrice. Sposa da poco e poverissima, voleva avere il primo figlio di lì a un paio d’anni quando avrebbero cambiato casa e non in quel sordido buco di adesso; quindi lì in clinica, in una stanza pulita, con una finestra attraverso la quale poteva vedere il cielo senza muoversi da un letto pulito, si era lasciata morire con una specie di estasi serena, tale il comfort che godeva per la prima volta”.

Il corpo, specie quello della donna, è un protagonista primario fra le righe di questi articoli, se alcune volte è il manifesto di una certa appartenenza sociale, o strumento di emancipazione, altre è una gabbia precoce, incasellato in città già asfittiche e densamente abitate. Cederna aveva occhio lungo in questo, ravvisava già la mancanza di adeguati spazi verdi per le nuove generazioni, la gestione discutibile dell’ora di ginnastica a scuola, un elemento, questo, formativo quanto le altre materie e preponderante anche oggi dal momento che, fra sedentarietà e cibo junk, l‘incidenza del diabete di tipo 1 è aumentata in tutto il mondo con un tasso che va dal 2 al 5%, specie in quella fascia che comprende l’età prepuberale e puberale.
Sono tematiche che ritornano, quelle di Cederna, probabilmente inesauribili.

Le pervestite, però, ci pone di fronte soprattutto alla sua autrice, perché Camilla Cederna ha stretto con il giornalismo un patto di autenticità e di autodeterminazione su pagina che è ormai storia del giornalismo stesso, un’esperienza di vita che è stata un’immersione nella cronaca italiana. Non le costerà poco.
Una data su tutte: alle 16:37 del 12 dicembre 1969, una bomba esplode a Milano, Piazza Fontana, un evento che manda all’aria ogni equilibrio. Accorsa subito sul posto, lo racconterà così come lo aveva visto: “Il sangue sul pavimento, i volti dei feriti segnati dal terrore, i familiari chiamati a riconoscere i corpi. Qualcuno mormorava che sembrava di essere in guerra”. Dopo i funerali delle vittime, che descrisse come uno degli incarichi più impegnativi della sua carriera, ricevette una telefonata da due colleghi. C’era un’altra notizia, riguardava un fatto inquietante: un uomo era precipitato dalla finestra della questura. Quell’uomo era Giuseppe Pinelli.
Cederna abbracciò le domande più pungenti e urgenti: caduto accidentalmente o gettato giù? Volle approfondire, e per approfondire, decise di attingere a fonti diverse da quelle ufficiali, un approccio raro per l’epoca. Fu uno spartiacque decisivo: il passaggio dal mondo dei salotti borghesi a un giornalismo investigativo di più ampio respiro mediatico, non senza conseguenze perché le pioveranno addosso pesanti critiche.

Nel 1971, fu la principale promotrice di una lettera aperta pubblicata su L’Espresso, in cui si criticavano il commissario Calabresi e i magistrati che, secondo la giornalista, lo avevano protetto durante l’inchiesta sul caso Pinelli. Quando il commissario Calabresi però venne assassinato davanti alla sua abitazione, Cederna fu oggetto di durissime contestazioni. Le critiche iniziarono con una dichiarazione del prefetto Libero Mazza: «E pensare che è tutta colpa di quella carogna di Camilla Cederna che col suo libro su Pinelli e contro Calabresi, tra l’altro, ha guadagnato decine di milioni». Si riferiva al libro Pinelli. Una finestra sulla strage, e per il quale Cederna venne accusata dall’allora questore di Milano di essere la mandante morale dell’omicidio di Calabresi.

Seguiranno per Camilla Cederna altre storie di corruzione nel quale affondare la penna, anche qui non senza passare sotto una lente ferocemente critica nei suoi riguardi, atti a svilirne soprattutto la persona (anche la sue estrazione borghese era mal digerita) e la carriera, con epiteti che andavano da sciura a strega, passando per radical chic a zitella ma anche amante dei bombaroli.

Ciò che resta, del percorso di Cederna, è una visione della società tentacolare; la realtà è un mix di talmente tante cose che si mescolano fra loro che non bisogna fare gli schizzinosi: moda e politica non sono due categorie così lontane, persino la loro perenne interazione può trasformarsi in un ritratto umanissimo.

3 risposte a “Camilla Cederna, il potere, il corpo e la storia (di Giulia Bocchio)”

  1. Camilla Cederna è una figura fondamentale per comprendere il rapporto tra potere e corpo nella storia italiana. L’analisi di Giulia Bocchio mette in luce come la sua opera abbia sfidato le convenzioni sociali, rivelando le dinamiche di genere e il ruolo della donna nella società. Un contributo prezioso per la riflessione contemporanea!

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  2. Probabilmente è stata sopravvalutata, avendo vissuto un periodo particolare e grigio, dove le suggestioni, le accuse gridate cominciavano ad avere il sopravvento sulla ragione. I libri erano ben scritti, ma con un sottile filo di fine pettegolezzo milanese, come ebbe a dire argutamente un mio amico dopo aver letto il suo libro feroce su Leone, allora Presidente della Repubblica. Razza padrona anche lei, con tutti i difetti che hanno tali persone, dotate di una particolare puzza sotto il naso e di un istinto innato di superiorità, oltre a ritenersi sempre nel giusto, pur essendo questa una caratteristica umanamente impossibile. Ma lei viveva di questi voli pindarici, caratteristica di chi si sente intangibile e refrattaria alle cose comuni. Sempre avanti e sopra gli altri. Alla fine sono cose che stancano e disturbano, visto che qualche problema, anche giudiziario, lo ha avuto per tale motivo.

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