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I corpi sono (in)finiti – Intervista a Walter Siti (a cura di Giulia Bocchio)

I figli sono finiti, edito da Rizzoli, è l’ultimo romanzo di Walter Siti. Non è un libro così semplice da raccontare, non proverò a restituirne la trama per giustificare un’introduzione all’intervista che seguirà. Una cosa però emerge, sempre e ancora: l’esistenza corporea, il sesso disperato e le fatiche emotive che comporta. Qualsiasi età tu abbia.
I corpi, quelli degli altri, sono infiniti e la tecnologia ce lo ricorda ogni volta che accediamo ai nostri account social.
La siderale differenza anagrafica che contrappone i due protagonisti, Augusto (quello vecchio) e Astore (quello giovane), avrebbe tutte le carte in regola per dar vita a un normale scontro generazionale e invece qui ci troviamo di fronte a quello che a tutti gli effetti è un incontro, anche se non di quelli salvifici.

 


Il suo ultimo romanzo, I figli sono finiti, è abitato da due protagonisti ben definiti e molto diversi fra loro, ma solo apparentemente. Da una parte abbiamo Augusto Meschiari, settantenne vedovo che ha perso l’uomo con il quale contava di finire i propri giorni, reduce da un trapianto di cuore ben riuscito che gli ha infiacchito la salute ma non il desiderio e dall’altra c’è un ventenne, Astore Guidotti, acuto, intelligentissimo, figlio di una famiglia piuttosto disfunzionale e deciso a perseguire una condizione esistenziale slegata da qualsivoglia rapporto, immersa nella tecnologia sino alla sublimazione più completa. A ben guardare, però, c’è un terzo protagonista, tutt’altro che astratto: il corpo. Augusto persegue il fine del corpo: l’appagamento del desiderio, la sessualità, il bisogno di possedere l’altro da sé. Astore la fine del corpo: ciò che gli interessa è il postumanesimo, tutto ciò che non ha che fare con la carne, e quindi anche il sesso, è mediato dalla tecnologia. Come nascono questi personaggi e che relazione hanno con la categoria corpo?

Come spesso accade, questi due personaggi nascono da esigenze sovrapposte, una di queste era la necessità di farla finita con le controfigure, ovvero con quei personaggi riconducibili alla mia età e alla mia cultura, com’è per l’appunto Augusto; poi c’è questo mio interesse, nato negli ultimi anni, per le nuove generazioni e il loro modo di affrontare la vita, anche attraverso l’uso della tecnologia. Nasce da qui la scelta di raccontare un reale ventenne, qualcuno di veramente giovane, anche se adesso si tende a considerare giovani persone alla soglia dei quaranta, Astore lo è davvero, ma è anche atipico in tutto: ex bambino prodigio più intelligente della media, rifiuta ciò che la maggior parte dei coetanei incarnano e abbracciano. Narrativamente ho trovato il modo di farli incontrare rendendoli vicini di casa per accompagnarli verso un finale in grado di chiudere un cerchio. Il corpo è certamente centrale qui. La tecnologia, con la sua velocità così invasiva, ci sta mettendo di fronte a una riflessione impensabile prima: il corpo comincia a non servire più.

La tecnologia ha ormai ridisegnato la nostra percezione estetica del corpo e dell’apparire…

Con l’intelligenza artificiale si possono creare immagini di corpi quasi indistinguibili da quelli reali e interagire con essi. Per questo libro ho raccolto le testimonianze di diversi ventenni e quel che è emerso, e che viene poi raccontato nel libro attraverso l’esperienza di Astore, è che si può anche fare a meno del contatto con l’altro, si può fare comodamente sesso online, ognuno a casa propria, una modalità che garantisce un orgasmo simultaneo assicurato e senza le pressioni del post-coito. D’altra parte, se siamo attratti dall’immagine in sé – e Only Fans ne è un chiaro esempio – non importa a chi appartiene davvero quel corpo, se sarà possibile incontrarlo dal vivo o meno, o se sia effettivamente reale. Per il vecchio, Augusto, la fisicità dell’esistenza corporea ricercata attraverso il sesso con l’escort dal fisico titanico, è l’ultimo rifugio di un umanesimo che va perdendosi, mentre per Astore, con tutti i suoi trascorsi familiari, e che si considera postumano, il corpo e la sessualità hanno tutt’altra valenza. È curioso ma fra pochi giorni uscirà per Feltrinelli un mio libretto intitolato C’era una volta il corpo, anche se una delle prime cose che affermo in quel testo è che sono la persona meno indicata a scriverne.

Franco il gigante, Franco l’escort culturista. Franco, così grottesco e necessario. È una figura tragica la sua, a tratti caricaturale, eppure è colui che più di tutti assorbe le contraddizioni del nostro presente: l’illusione di poter essere e incarnare tutto grazie al corpo e alla possibilità di capitalizzarlo. Ma il risultato è una confusione esistenziale che non si risolve con un bonifico.

Ho cercato di creare un personaggio unitario, documentandomi, confrontandomi con diverse persone affini alla sua storia. La cosa che mi ha più colpito, quando ho chiesto loro ‘Ma tu che cosa vuoi davvero nella vita?’ è stata la ricorrenza di questa risposta ‘Io voglio solo essere libero’. Il fatto è che quelli come Franco interpretano questo senso di libertà in un modo molto strano, perché in effetti sono più simili a degli schiavi. Se tu ti metti al servizio di qualcuno che ti chiede di indossare determinati abiti o di fare il cane, o di abbaiare, è tutto meno che libertà. La libertà per lui coincide con il denaro e allora non importa come lo guadagni, se hai un corpo particolarmente enfatizzato e attraente quello diventa la tua principale risorsa, farai i soldi con quello e tanto basta. Franco è una specie di escort 2.0, non è il vecchio ragazzo di vita in senso pasoliniano, ma qualcuno che ha dei progetti seri, che proietta i propri guadagni in un’ottica di investimento, per vivere un domani di rendita. Dal punto di vista psicologico quelli come lui finiscono per non sapere più chi sono, perché sono ragazzi eterosessuali, che magari hanno vissuto le prime esperienze amorose con delle ragazze, ma che poi si accorgono di monetizzare di più con gli uomini e non con le donne e allora vanno in quella direzione senza però considerarsi naturalmente omosessuali e questo finisce per generare un senso di amaro spaesamento. E non finisce qui perché poi vogliono anche essere riaccettati dalla fidanzata, una confusione totale. Ma la confusione non è libertà, le due cose non possono coincidere.

A un certo punto del libro lei scrive che il cinismo è una profezia che si autoavvera. Augusto e Astore sono intrisi di realtà, ne sono immersi, ma non si lasciano davvero attraversare da ciò che succede intorno a loro, commentano e coltivano un distacco spregiudicato che è un atteggiamento mentale simile all’autodifesa…

Direi come sempre, quando si tratta di cinismo, ma oggi mi sembra che ci siano due forme di difesa, una è quella che ti fa dire comodamente ‘L’importante è che io abbia le mie cose garantite e faccia la mia solita vita eccetera…’, e in questo la pubblicità in televisione e i media sono fondamentali perché finché ci sono e promuovono certi contenuti, vuol dire che le cose poi non vanno tanto male; l’altra forma di reazione, di difesa, è quella che invece porta a enfatizzare il famigerato restiamo umani, con tutte quelle espressioni del tipo ‘Che bello amare un figlio‘, ‘Che bello voler bene ai genitori ecc.’, è la riscoperta di posizioni e atteggiamenti che diventano solo una performance esibita. Tutta questa affettuosità sparsa a piene mani è solo un altro modo di fuggire dalla durezza di quello che stiamo vivendo. Succede anche nella narrativa, oggi molti romanzi sembrano più libri volti al self-help, ma questa non è letteratura.


 

Questa intervista è stata realizzata durante la Festa del Racconto di Carpi 2024. Un ringraziamento speciale a Walter Siti, Benedetta Senin, Tina Guiducci e Leonardo G. Luccone.

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