La civiltà mediatica ha prodotto una sorta di barriera,
un ostacolo insormontabile tra il primo istante dell’atto creativo
– la nascita di un’idea – e il momento successivo,
il trasferimento sulla pagina di ciò che la mente già possiede.
Walter Mauro, La letteratura è un cortile
Poco dopo il secondo dopoguerra e poco prima che il termine boom si trasformasse in un immaginario ben più complesso e stratificato del mero progresso tecnologico, a Roma, c’era un mendicante che tutte le mattine si sedeva a ridosso dell’ingresso di Babingtons – l’elegantissima sala tè fondata nel 1893 da due giovani donne inglesi che avevano 100 sterline in tasca, e che decisero di investirle tutte lì, ai piedi della scalinata di Piazza di Spagna, l’unica sala di quel genere aperta anche durante il fascismo nonostante la politica anti-inglese voluta dal regime di Mussolini – l’uomo in questione chiedeva l’elemosina e, a fine giornata, alle 17 per la precisione, con le monete racimolate, entrava dentro e ordinava il tè. Servizio completo. Questo è un aneddoto raccontato da Roberto Calasso e ognuno nella propria mente conserva una certa immagine in grado di evocare immancabilmente qualcos’altro.
L’immagine di quell’uomo, di cui non esiste più traccia, né nome, né volto è qualcosa di molto vicino alla definizione di letteratura, perché la letteratura ha sempre a che fare con il concedersi qualcosa, non importa come, non importa quando: è una questione di attitudine. Nella mia immaginazione quell’uomo è un poeta, è un artista, è una pagina di romanzo, è un Antonio Aniante sotto mentite spoglie. Potrebbe anche non essere mai esistito. Bisogna anche ammettere che, nella vita, si incontra un sacco di gente nei racconti delle persone, storie che sono versioni non sempre verificabili di una specifica esistenza, tutti diventano materia indistinta, facce trasfigurate dal tempo e dalle emozioni, ugualmente protagoniste di un fatto, di un atto, di una vicenda che si incrosta nella memoria di quel qualcuno che ci tiene a divenirne il custode, l’abbellitore o il carceriere addirittura. Ma tu staresti ore ad ascoltarlo, o a leggerlo, in questo caso.

Nel libro La letteratura è un cortile, di Walter Mauro, opera-raduno pubblicata in una nuova veste da Giulio Perrone Editore, sfilano ricordi, incontri, musica, scrittori e scrittrici che hanno attraversato il Novecento, semplicemente incarnandolo. Il Paese usciva dalla Seconda Guerra Mondiale e la necessità di stravolgere gusto e stile nelle arti era qualcosa di molto vicino all’urgenza da parte degli intellettuali sopravvissuti al fascismo, nonché una presa di distanza necessaria e morale nei confronti di un regime che aveva soffocato qualunque tipo di impeto e dissenso.
Chi se non Mauro, giornalista, critico letterario e musicale che ha incontrato davvero tutti, poteva descrivere in maniera così caleidoscopica ‘il cortile’ (attenzione, non ‘la corte’) all’interno del quale si sono avvicendati coloro che oggi chiamiamo classici e le cui biografie sono capitoli di storia anche nei testi scolastici? E così il percorso umano e artistico di Walter Mauro è scandito dagli stessi incontri fatti in giro per l’Italia e il mondo. I gusti letterari di Mauro, testimone partecipante di quel preciso momento storico, si mescolano alle avventure di vita, alle lezione all’università, alla politica, alle cocenti delusioni, alle piccole gelosie, ai romanzi che segnanoro spartiacque esistenziali: allievo di Ungaretti alla Facoltà di Lettere Classiche a Roma il giorno e musicista jazz la notte, Mauro coglie i tratti essenziali degli autori che legge, intervista e frequenta e li restituisce con l’immediatezza di una polaroid: l’immagine è nitida nel suo complesso, ma comunque inattingibile, chiaramente incompleta.
Dal neorealismo al suo funerale, scandito dall’uscita del Metello di Vasco Pratolini, da Elsa Morante a Moravia, passando per Parigi, la capitale del possibile, i cui caffè erano, tra un arrondissement e l’altro, arcipelaghi dell’esistenzialismo e potevi trovarti a leggere il giornale al fianco del litigioso Sartre e di Simone de Beauvoir, o addirittura Miles Davis (non ancora del tutto consumato dalle droghe), ma anche Picasso o Elena Clementelli.
E poi, ancora, dentro gli uffici delle grandi case editrici, trionfo di carta, inchiostro e polvere, quando un giorno di maggio del ’56 arrivò all’attenzione di Elio Vittorini, allora consulente letterario per Mondadori e curatore della collana I gettoni per Einaudi, un manoscritto particolare che raccontava le profonde trasformazioni sociali di una Sicilia ancora aggrappata alle spoglie del Regno Borbonico ma ormai proiettata verso l’avvento del Regno d’Italia, un romanzo nobile nella forma, nell’estetica, nella poetica: fu rifiutato a più riprese. Quel libro era Il Gattopardo di Giuseppe Tomasi di Lampedusa, poi pubblicato postumo da Feltrinelli grazie a Elena Croce, che lo suggerì a Bassani. Il resto è storia.
Ciò che di lampante emerge da questi racconti, così incredibilmente umani, semplici, lontani da qualsivoglia mitizzazione, eppure così svincolati dal puro sentimento della nostalgia da parte dell’autore, è la profonda ricerca di un mondo interiore vissuto fra i labili confini del reale e dell’impossibile, un ultra-mondo letterario non certo privo di contraddizioni e controversie, eppure presente a se stesso, capace di sfidare il tempo, di convogliarlo verso un orizzonte di senso collettivo.
Walter Mauro, nato nel 1925 e scomparso nel 2012, c’era il 23 luglio del 1943, a Bari, quando, scarcerato insieme a studenti, professori e intellettuali antifascisti, una pioggia di proiettili provenienti dalle finestre della Sede del Partito Nazionale Fascista, dichiarata chiusa, uccise parte di quegli stessi liberi pensatori che stavano festeggiando la fine di un incubo e pacificamente manifestando contro la soppressione delle libertà individuali; c’era quando nel ’51 Sartre e Camus litigarono ferocemente, ma sempre a colpi di articoli e letteratura, ed era presente quando nel ’62 Elsa Morante telefonò disperata a Moravia per comunicargli il suicidio del pittore Bill Morrow, suo amante dai tempi del ’59.
Eppure, chi vive una vita lunga, prima o poi, si trova costretto a dover fare i conti con il presente all’interno del quale vive: la comprensione di un contesto che non ha nessuna delle caratteristiche sulle quali hai basato le tue certezze e le tue convinzioni: Mauro ha avuto il tempo di osservare e sperimentare (ma senza interiorizzare davvero, e perché pretenderlo?) l’avvento della tecnologia in abito editoriale, quella che scandisce a ritmo di click la civiltà mediatica, fatta di direttori commerciali, di schermi lucenti, di product placement, una rivoluzione linguistica, sensoriale e culturale velocissima, più veloce in effetti del suo amato jazz…
Di Giulia Bocchio
Walter Mauro è stato uno tra i più noti esponenti della critica militante musicale e letteraria ed è stato sovrintendente della società Dante Alighieri. Allievo di Ungaretti, si è occupato, con monografie critiche, di numerosi autori italiani e stranieri, come Sciascia, Alvaro, Fenoglio, Baldwin, Gramsci, Dante, Sartre. In collaborazione con Elena Clementelli ha pubblicato tre antologie dedicate al blues, agli spirituals e ai work songs. Ha pubblicato, tra gli altri, Storia dei neri d’America (Newton & Compton), Il blues e l’America nera (Garzanti), Jazz e universo negro(Rizzoli), Louis Armstrong, il re del jazz (Rusconi) e Miles e Juliette (Giulio Perrone).
In copertina: artwork by Alessandro Bianchi Sicioldr

