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Just dropped in – Intervista a Michele Rossi x Feltrinelli (a cura di Maria Oppo)

In una rubrica dedicata all’editoria italiana era forse inevitabile – anche solo per una questione di simmetria – che trovasse voce quello che, per dirla con Giulio Mozzi, da venticinque anni è l’editore più market-oriented d’Italia. Sì è la volta di Giangiacomo Feltrinelli Editore: fondata nel 1954, è oggi la realtà che tutto vende e tutto ingloba. Funziona anche così, entri in una libreria Feltrinelli per cercare un titolo non Feltrinelli, sperando di trovarlo ovviamente. A chi di noi non è successo…
Anche l’editoria generalista ha un’anima, maneggia ancora un’idea di letteratura? Sono domande complesse ma in questo nuovo episodio di Just dropped in abbiamo contattato l’ex responsabile della narrativa italiana Rizzoli, l’editor Michele Rossi, che attualmente fa parte del gruppo Feltrinelli e che vanta la paternità di ben due premi Strega (Resistere non serve a niente di Walter Siti, Rizzoli, 2013 e La scuola cattolica di Edoardo Albinati, Rizzoli, 2016).

 

Michele Rossi

 


Ciao Michele, tu lavori come editore nel gruppo Feltrinelli sui marchi SEM e Giangiacomo Feltrinelli Editore. Rispetto ad altre realtà editoriali, Feltrinelli è caratterizzata da grandi numeri e da un’identità e un percorso orientati verso la grande distribuzione. Cosa possiamo dire del tuo lavoro lì?

Ciao Maria, io sono entrato nel gruppo un anno fa, a seguito di una pausa di due anni durante la quale sono uscito dal mondo editoriale. Sono passato, infatti, da Rizzoli a Chora Media per poi tornare alle origini e questo per me è stato un “secondo shock” molto utile. Lavorando sempre nello stesso ambiente, infatti, ci si abitua alle varie dinamiche e ai tic del mestiere, per cui andare fuori dal mondo editoriale mi è servito a guardare meglio ciò che pensavo funzionasse in modo diverso. Spaziare in territori nuovi e avere l’occasione di produrre podcast importanti, come quello con Nicola Lagioia o quello con Guido Catalano, mi ha permesso di tornare a fare l’editore con dei mezzi in più. È stata un’altra prima volta e lo è tuttora, dal momento che i libri iniziano a uscire da fine gennaio quindi sta succedendo ora; è tutto in diretta. Il mio lavoro in Feltrinelli è un’esperienza di grande libertà e curiosità. Libertà perché il gruppo mi ha dato la massima autonomia e questo a volte mi fa quasi paura, perché si tratta di immaginare (insieme al resto del team) nuove possibilità e nuove collane, cercando di pensare a un pubblico che ancora non esiste. Uscirà con SEM, per esempio, una collana di crime fiction, Italian Tabloid, che sarà tutto tranne che stereotipata. Saranno libri e collane molto diverse tra loro; ovviamente verrà mantenuta la linea storica di SEM ma sempre osando, sempre proponendo sperimentazioni anche molto serie. Per fare altri esempi: è nata anche la collana Tagli che, come dico sempre, è il nostro metro di libertà in più perché è una collana che innova, che estende il catalogo di un editore storico e connotato come quello di Feltrinelli. Nell’immaginarla ci siamo rifatti a I Franchi Narratori, una collana che all’inizio degli anni ‘70 lanciò Gavino Ledda e Pier Vittorio Tondelli, la quale rappresenta a sua volta un’altra parte del nostro lavoro poiché continua a ospitare grandi autrici e grandi autori come Federica De Paolis. C’è la voglia di indagare il presente ma anche di non mettere autori liberi dentro recinti, e al tempo stesso c’è un’espansione continua che per me è inedita e inebriante e al tempo stesso mi spaventa, mi fa svegliare con l’ansia (ride, ndr). Feltrinelli, essendo anche un gruppo di catene di librerie, è un editore che crede fortemente nel libro, che lo mette al centro, che crede nella politica d’autore e anche per questo cerca sempre di estendersi e aprire il ventaglio. Ecco, questo mio viverlo in diretta e contribuire a costruirlo giorno per giorno sarà una di quelle cose divertenti che spero di rifare più spesso.

Parlerei di una notizia recente: Alessandro Baricco ha ceduto la propria porzione delle quote della Scuola Holden al gruppo Feltrinelli, che ne detiene ora il 100%. Qualche commento su questo?

No, sulla Scuola Holden non commento. Penso che questa manovra faccia parte di un processo naturale.

Nel tuo lavoro in Feltrinelli c’è spazio anche per un ragionamento legato all’attuale perdita di interesse nei confronti della lettura? Esiste una porzione di mercato dedicata al pubblico del futuro oppure ci si rivolge perlopiù allo zoccolo duro di lettori?

Io questo disinteresse per la lettura, stando anche ai numeri dell’AIE, non lo vedo. Negli ultimi tre anni il gruppo è andato incontro a una crescita a due cifre e si è stabilizzato l’anno scorso, quindi proprio il disinteresse non sembra esserci. C’è sicuramente il fatto che il libro deve vedersela e rubare il tempo a tutto il resto: ai social, alle serie tv, al binge watching, a Sanremo, alle cattive abitudini, a TikTok. Penso però, Maria, che i lettori ci siano sempre, basta trovarli, basta cercarli. Noi forse, qui, stiamo puntando su altri lettori, no? È questo il senso di andare su una collana di crime fiction fatta nel modo di cui parlavamo prima, ovvero in una forma diversa da ciò che ci si aspetterebbe, più alta, che si rifà a un immaginario che va da Ellroy in poi. Questo significa rimanere sulla base già presente per poi allargare: in questo ogni libro è come un seme che germoglia. Poi, certo: dentro il catalogo Feltrinelli ci sono anche libri rivolti a quello che tu chiami lo “zoccolo duro”, che sono quei tre milioni di persone che tengono in piedi il mercato, è ovvio, ma ciò che a me interessa è quel libro in più, quella visita in libreria che porta fuori dal conosciuto dell’algoritmo. Amazon, infatti, fa comprare ciò che già si conosce, mentre andare in libreria offre il brivido della perdizione, di scoprire qualcosa che ancora non si sa. Ecco, magari vicino al libro che sei andata a cercare ce n’è un altro che ignori completamente ma ha una bella copertina, una bandella, dei testi che ti ispirano e allora in quei tre secondi magici in cui tu prendi la decisione accade il miracolo. Sono troppo ottimista? Forse sì, perché la verità è che lo scontro sullo scaffale è senza esclusione di colpi e arrivare in cima alle classifiche è veramente un’impresa e serve sempre un’idea forte e tanto convincimento. Quello editoriale – e questo vale per tutti, non solo per Feltrinelli – è un mercato unico nel suo genere. A volte faccio questo esempio: una mia cara amica, direttrice marketing di una multinazionale del mondo “food”, a volte ci chiama per degli assaggi al buio che servono a testare dei prodotti nuovi. E spesso mi dice: “Qua passiamo mesi a fare market test! Come fate voi ad andare sulla fiducia?”. L’editore non ce l’ha mai il market test, si fida solo dell’esperienza, dell’istinto, del catalogo. Ma poi quando un libro ti scoppia in mano, è tutto lì: Silvia Avallone su tutti con Acciaio, che è stato il grande caso che mi ha cambiato la vita, è uscita con 5000 copie e il giorno dopo in casa editrice si parlava solo di lei. Perché succede questo quando un libro funziona, quando c’è quell’alchimia, ed è la stessa cosa che si riverbera poi sullo scaffale. L’ultimo libro di Federica De Paolis, Da parte di madre, ha avuto un percorso simile. L’ho letto in una notte (spesso quando si dice questa frase è falsa, ma in questo caso è andata davvero così), dopodiché i nostri colleghi commerciali lo hanno fatto leggere senza il nome e il libro è esploso, si è generato un movimento naturale che è l’unico movimento possibile, perché noi funzioniamo da lettori solo quando ci dimentichiamo di essere editori. Ci dobbiamo sempre dimenticare di essere editori, altrimenti lavoriamo per schemi mentre invece, ai lettori, degli schemi non importa nulla. È tutto lì, nel pensare a quando abbiamo comprato l’ultimo libro senza averlo deciso prima e analizzare il perché lo abbiamo preso e ce lo siamo portato a casa.

Questo sembra dirci che c’è ancora molto di umano nell’oggetto libro. E mi porta all’ultima domanda: come vedi la possibilità che, almeno per i libri più commerciali, l’intelligenza artificiale si sostituisca, un giorno, agli autori umani?

Ma magari fosse! No, penso che le conseguenze dell’intelligenza artificiale, che non saranno tutte positive, le vivremo altrove. Intendiamoci: se io trovassi un testo che funziona lo pubblicherei, ma deve essere un’intelligenza artificiale veramente brillante e non mi sembra, avendoci anche sperimentato e giocato un po’, che non si corra questo rischio. Perché? Perché l’AI ci dà quello che già conosciamo, e questo non basta. Nell’ ambito degli elaborati per immagini è tutto un altro discorso perché lì si sta andando avanti, anche troppo, ed è possibile trovare immagini generate totalmente in modo artificiale. Un buon libro creato da un’AI, invece, aspetto ancora di leggerlo. Io, da editore, non ho nessun tipo di preclusione, sono totalmente laico, non giudico mai e sono assolutamente amorale. Il libro mi deve convincere. E se anche lo facesse si tratterebbe comunque di una persona che, con il suo Commodore 64, ha addestrato la macchina nel modo giusto, poiché non esiste un programma che scrive romanzi da zero e senza bisogno di prompting. La mente umana, insomma, non può essere tagliata fuori da questo processo.

 

Just dropped in
Intervista a cura di Maria Oppo


In copertina: artwork by Jacek Yerka


 

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