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Just dropped in – Intervista ad Alessandro Gazoia (a cura di Giulia Bocchio)

Quando penso ad Alessandro Gazoia e alla maniera in cui attraversa i tanti e importanti ruoli all’interno dell’editoria italiana, lo immagino indaffarato e immerso in un vorticoso paesaggio in stile Bruegel il Vecchio. Alla ricerca di qualcosa.
Direttore editoriale, editor, curatore, autore
e, soprattutto, sempre lettore. Forse è da qui che tutto comincia. Aprendosi alla scrittura degli altri, creando alleanze fra pari, anche editoriali come quella appena nata tra nottetempo e 66thand2nd, e che oggi lo vede alla direzione dei due marchi.
In questa intervista, che inaugura la rubrica Just dropped inAlessandro Gazoia ci accompagna in una profonda riflessione che lega a sé le possibili plurali sorti di un testo, perché non esistono carriere fatte solo di capolavori e anche un “brutto romanzo” merita, in fondo, un’empatia sudata in stile Bolaño.

 


Alessandro, bentrovato. Sei la persona che inaugura questo viaggio nel mondo dell’editoria italiana. L’idea è nata da una serie di mail che sono arrivate all’indirizzo di Poetarum Silva: file stracolmi di inediti accompagnati da quesiti ricorrenti e simili fra loro: come si fa a pubblicare con voi? Qual è la vostra linea?. Legittimo chiederselo (anche se non siamo una casa editrice), solo che quando si parla di linea, tra me e me, spero sempre che questa si trasformi in un labirinto e in nulla che ricordi un segmento, o una superficie liscia sulla quale far scivolare il proprio ego. Pubblicare può trasformarsi in una vera ossessione, il fatto è che questa, forse, è solo la punta dell’iceberg di un percorso creativo. Tu che ne pensi?

Prima di tutto grazie a voi di Poetarum Silva per l’invito. Parto da un dato di fatto: negli ultimi decenni l’accesso alla pubblicazione è cresciuto in modo costante ed è oggi davvero molto maggiore rispetto al passato. Secondo il rapporto Istat sulla produzione e lettura di libri in Italia “nel 2022, gli editori attivi hanno pubblicato 86.174 opere librarie a stampa”, contando ovviamente tutto, dai Supercoralli Einaudi alla piccola casa editrice locale che si accorda con l’autore per un corposo acquisto copie. Detto questo, comprendo bene che per chi cerca un contratto editoriale la pubblicazione possa diventare un’ossessione; tuttavia, come dici tu, non è che la punta dell’iceberg di un processo creativo e pure di un processo di riconoscimento culturale e commerciale. Anzi spesso il vero problema è che l’iceberg sotto non c’è, intendo dire che la grandissima parte di quelle opere edite viene ignorata o quasi: pubblichi e ti accorgi che tutto finisce lì, non diventi ricco, non ti chiamano “maestro”, non vieni intervistato da Fabio Fazio, non entri in cinquina allo Strega… Anzi non succedono neanche cose molto più piccole. Perché il mercato editoriale, o meglio il pubblico dei lettori, in Italia non può sostenere 250 nuovi libri al giorno. Ma qui andiamo in discorsi intricati e mi fermo.
Mi scuso se ho risposto partendo da “aride cifre”, però ogni autore e autrice, in cerca di editore o già pubblicato, dovrebbe a mio avviso comprendere il contesto concreto in cui si trova a operare, e poi fare le proprie scelte in autonomia, naturalmente.

Uno degli autori che mi ha salvato la vita, tenendomi moltissima compagnia, scriveva «Primo requisito di un capolavoro: passare inosservato». In effetti Bolaño ha nei confronti degli esordienti e degli scrittori più giovani un’empatia sudata, che sa di polvere, di letture disperate, di rifiuti cocenti, di incontri frenetici e fascinazioni anche un po’ astratte. Scrivere ed essere letti, il desiderio di pubblicare, la voglia di condividere una storia: tutto questo genera un certo bisogno di appartenenza, anche se può essere più difficile del previsto perché la scrittura è un atto solitario ma finiamo per pretendere sempre l’opposto, ovvero gli occhi degli altri puntati sulla nostra opera. O forse cerchiamo tutti una versione personale di Cesárea…

Ogni settimana mi prendo del tempo per rispondere agli autori sui manoscritti e quasi sempre le mie mail si concludono con “ci dispiace per questo riscontro non positivo”. È un compito che mi è gravoso, anche quando devo rispondere su romanzi a mio avviso orribili, perché so bene che in quelle pagine l’autore ha messo molto di sé e ha dedicato a quell’opera ore, giorni, mesi di lavoro. Dunque si prova facilmente un’“empatia sudata”. Qui vorrei almeno rassicurare sul fatto che non c’è nessuna cupola, non c’è nessun comitato segreto che s’impegna a tenere fuori talentuosi scrittori e scrittrici inediti per favorire nipoti e cugini di. Anzi, accade il contrario, quasi tutti gli editori cercano autori esordienti ed emergenti, e la provenienza non conta. Non nego l’esistenza di nipoti e cugini (bravi e non bravi) nell’editoria e non nego gli errori di giudizio degli editor, inoltre va pure riconosciuto che in alcuni casi si rifiutano testi interessanti per ragioni commerciali, tuttavia non serve alcuna raccomandazione o speciale relazione per pubblicare. Come tanti altri colleghi, anche io ho consigliato manoscritti che mi sono arrivati in mail o sui social da persone sconosciute. Negli ultimi anni i testi che ricevo sono aumentati, purtroppo non riesco sempre a rispondere a tutti, ma leggo di ogni testo almeno qualche pagina e ogni volta la speranza è quella di scoprire non dico il capolavoro ma il bel libro. Purtroppo accade molto di rado, perché chiunque può in principio scrivere un buon romanzo ma un buon romanzo è una cosa rara.

Tu hai maturato negli anni una vasta e articolata esperienza nei confronti del mondo dell’editoria, vivendola in prima persona, da dentro. Vorrei chiederti questo: ti fidi più dell’autore o dell’opera? Mi spiego, quanto conoscere un autore, averlo già letto, già visto pubblicato, influenza la considerazione che avrà da parte di una realtà editoriale?

Quando uno scrittore o una scrittrice che stimo e conosco da anni mi invia un testo io mi aspetto un certo tipo di qualità, e se non la trovo subito vado avanti, poi magari rileggo dal principio. Insomma è innegabile che quello scrittore o quella scrittrice goda di un credito di attenzione e fiducia, e penso sia giusto così. Da ultimo però quello che conta è il testo. Voglio aggiungere una considerazione banale ma forse non così frequente: è assolutamente normale che un bravo autore scriva un “brutto libro”. Le carriere fatte di soli capolavori sono piuttosto rare… E certe volte i “fallimenti” sono un andare indietro per prendere la rincorsa.

Grazia Cherchi, una delle prime editor freelance italiane sosteneva che «L’editing è un lavoro che richiede una forte dose di masochismo. Bisogna infatti tuffarsi nell’altrui personalità (anche stilistica) abdicando alla propria; (…) è un lavoro che resta rigorosamente anonimo, di cui si è ringraziati solo verbalmente». Questa dose di masochismo, come la chiama Cerchi, salva silenziosamente le sorti di un manoscritto?

In alcuni casi il contributo di un editor può essere importante, ma così come il mondo è pieno di autori vanitosi, e poco disposti a riconoscere il merito della squadra che li sostiene (e che comprende diverse figure oltre all’editor), così è pieno di editor che a bassa voce dicono “sai, gli ho suggerito io di mettere pure il castigo, se no quello faceva solo il delitto e veniva fuori un romanzaccio”. Sul “masochismo” sono piuttosto d’accordo, inoltre pure sulla frustrazione (senza virgolette) e gli editing che, per diverse ragioni, non vanno bene ci sarebbe qualcosa da dire. Anzi no, perché quello che accade dietro il testo deve rimanere dietro il testo, soprattutto in queste circostanze.

C’è una notizia freschissima: nottetempo e 66thand2nd uniscono le proprie forze e danno vita a quella che Andrea Gessner – alla direzione strategica del progetto insieme a Isabella Ferretti – ha definito un’alleanza tra pari. Alla direzione editoriale dei due marchi ci penserai tu: quali sono le radici comuni di questa alleanza?

In primo luogo l’affinità tra i due editori, persone di grande passione, competenza e correttezza. Poi c’era da tempo il desiderio di provare a unire le forze, convinti che il totale sarebbe stato più grande della somma delle singole parti. E c’era pure la necessità di essere più efficienti in un contesto non certo semplice come quello attuale. Insomma, l’alleanza tra pari nasce da ragioni ideali e materiali. È una scommessa, ma anche una decisione ben ponderata.

 

Just dropped in
Intervista a cura di Giulia Bocchio

 

 


In copertina: Alessandro Gazoia


 

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