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Infinite quest: Dialogo con Paolo Zardi – Una rubrica a cura di Giulia Bocchio

Domanda e risposta: due entità complementari, eppure l’una genera l’altra, in un interscambio potenzialmente infinito, mai esausto, mai uguale a se stesso. La sintesi dell’incontro, il binomio preferito della conoscenza. E della curiosità. “Intervista” è solo il nome che ne racchiude l’atto e l’intenzione ma, in questa rubrica, protagonista sarà il dialogo – l’incontro – lo scambio.  Esseri umani che hanno una visione e che si sono imbattuti nel proprio labirinto personale. Perdersi significa anche attraversarlo. E magari raccontarlo.
Creatività, arte, progetti, riflessioni, esperienze e uno sguardo rivolto al futuro, in quell’orizzonte  magnetico che è la parola.

Giulia Bocchio

 


C’è un passaggio di Stella Maris in cui Cormac McCarthy fa dire ad Alicia Western: “Uno dei problemi è che ogni ricordo è il ricordo di un ricordo precedente. Impossibile ricordare la circostanza che ha ha occasionato il ricordo effettivo. (…) Per mancanza di una nozione cui contrapporlo. E di nuovo la questione della natura di quella realtà che non aveva testimoni. (…) Ma le nostre convinzioni circa la natura della realtà devono anche rispecchiare i limiti con cui la percepiamo”.

Limiti e relazioni e relazioni col limite.

Le relazioni sono definite da legami di senso più o meno credibili, ma funzionano (o meglio, esistono) dalla notte dei tempi. Siamo relazione, ne abbiamo bisogno e questo bisogno può concorrere a definirci. I racconti sono un’ottima metafora per esprimere le contraddizioni che fanno parte dell’essere umano, piccole diapositive che ci ricordano che è la quotidianità stessa la fucina creativa per eccellenza: c’è molto materiale sul quale riflettere e quando non c’è è così evidente da essere lampante e allora anche la mancanza diventa qualcosa. Tutto si definisce in base a qualcos’altro? In questo momento non so davvero rispondere e non l’ho chiesto nemmeno a Paolo Zardi, oggi protagonista di questo bellissimo dialogo.
La sua raccolta La meccanica dei corpi (Neo), parla proprio di relazioni, di viaggi nel tempo  e di piramidi sociali che possono diventare improvvisamente scivolosissime…

 


Paolo, bentrovato. La meccanica dei corpi è una raccolta di racconti che sostanzialmente indaga le relazioni umane ma, prima di addentrarci nel vivo di questo libro, parliamo della differenza che c’è fra i personaggi che compaiono solo in un racconto e quelli che invece abitano un intero romanzo.
David Foster Wallace diceva che “Scrivere un romanzo può essere molto strano, tipo avere un amico invisibile da bambini; poi lo ammazzi e devi rimetterti a fare la spesa, a parlare con la gente alle feste. I personaggi dei racconti sono diversi. Li vedi prendere vita solo con la coda dell’occhio. Non ci devi vivere insieme giorno dopo giorno”…

La definizione di David Foster Wallace, che tra l’altro è uno degli autori che ha acceso la miccia della mia passione per la scrittura, tra il 2007 e il 2008, rappresenta una sorta di ammonimento, e insieme una sfida, per chi scrive racconti: ci ricorda che i personaggi a cui stiamo dando vita nel racconto saranno dimenticati non appena la storia sarà finita, a meno che non si riesca a donare loro qualcosa di indimenticabile. Il romanzo è come una lunga vacanza passata insieme a persone che non conoscevamo, durante la quale si ha il tempo per farsi un’idea dei nostri compagni di viaggio, per affezionarsi, per vivere un’esperienza condivisa; un racconto, invece, è “una serata e basta” e, come diceva qualcuno, non esiste una seconda possibilità di fare una buona impressione. Però credo che sia necessario almeno provarci, quando si scrive un racconto; lottare contro il destino che condanna all’oblio l’essere umano che stiamo tirando fuori dal nulla per il breve spazio di qualche pagina. La signora con il cagnolino di Čechov è immortale, ed è sopravvissuta per oltre un secolo nel ricordo dei lettori che hanno avuto la fortuna di incontrarla; e anche il povero Gregor Samsa continua a seguirci, con le sue sei zampe e le lunghe antenne.

Non passa invano il tempo è un racconto che mi ha colpito molto e sostanzialmente le ragioni sono due. La prima è il ruolo che sogno e suggestione hanno all’interno delle nostre vite, sono componenti mentali potenti, capaci di modellare un intero immaginario e di convincerci di cose che non è detto siano vere. La seconda è quella commistione di fascino e paura che la possibilità di un viaggio nel tempo ha su di noi, specie sulle nostre certezze. Viaggiamo nel tempo continuamente in effetti, con la mente…

Esistono due importanti correnti di pensiero, tra loro contrapposte, su cosa sia, in concreto, il tempo: c’è chi crede che esista solo questo preciso momento, e chi invece ritiene che esista tutto contemporaneamente: per loro, il presente non è altro che il punto in cui si trova la puntina di un giradischi. Potenzialmente, tutti i fenomeni fisici sono reversibili e questo significa che non esiste una direzione, e quindi il tempo, nella trasformazione da uno stato all’altro dell’Universo; d’altro canto, la seconda legge della termodinamica, che definisce il concetto di entropia, sembra suggerire il contrario. Ma al di là di queste considerazioni superficiali sulla fisica del tempo, il mio punto di vista, cioè il punto di vista di un essere umano che si trova inevitabilmente coinvolto nel trascorrere del tempo, e che quindi ne fa una quotidiana esperienza, è che la mente possieda, in effetti, la possibilità concreta di viaggiare nel tempo, non come allegoria o metafora, ma nel suo significato letterale: ciò che abbiamo vissuto è stato registrato dentro di noi, ed esiste – usando un termine informatico, possiamo mandare in esecuzione un certo insieme di ricordi, ricostruendo il particolare stato emotivo e sensoriale di un momento che appartiene al passato. Quando ero giovane, dietro di me non c’era poi molto; mi proiettavo sempre in avanti, verso il mistero del futuro, che allora si presentava come uno spazio quasi sconfinato di possibilità. Un po’ alla volta, quel mondo immaginato si è concretizzato: ho finito gli studi, ho trovato un lavoro tra i tanti che avevo visto, mi sono sposato, dando così un’identità precisa alla donna o all’uomo con il quale pensavo di vivere, e ho conosciuto i miei figli, tra gli infiniti che potevo avere. La mia vita si è in qualche modo compiuta. Davanti a me, ora posso sperare di avere ancora una ventina di anni “buoni”; dietro, ne ho più di cinquanta, stracolmi di esperienze tra le quali posso navigare. La cosa bella è che quel passato interiore, che appartiene solo a me, può essere corretto, manipolato e trasformato a mio piacimento; la cosa preoccupante emersa di recente, invece, è che anche il presente che stiamo vivendo inizia a possedere queste proprietà. La differenza inconciliabile di punti di vista su alcuni specifici argomenti (per prendere i più recenti, direi Covid, guerra in Ucraina, conflitto tra Israele e Palestina, forma della terra) può essere spiegata solo presupponendo che esistano immaginari totalmente diversi, e tra loro ortogonali, dove i fatti vengono costantemente trasformati, manipolati, corretti; potremmo chiamarle “allucinazioni collettive”, e ovviamente nessuno, me compreso, sa quale siano le caratteristiche di quella a cui ha scelto di aderire.

Paolo Zardi (fonte foto Neo Edizioni)


In questi racconti ci sono alcune citazioni letterarie, la più lampante viene dalla righe de
Il signor Bovary, un testo che ricorda sottilmente un altro romanzo ancora, specie da un certo punto in poi, ovvero Domani nella battaglia pensa a me, di Javier Marías. La crasi fra le due opere, però, ci suggerisce che ogni piramide sociale è prima di tutto una piramide di nevrosi e apparenze.
E che l’amore è (anche) lotta di classe.

L’evento centrale de Il signor Bovary è sicuramente ispirato a quello, analogo, che mette in moto la lunga narrazione di Domani nella battaglia pensa a me, un libro che ho iniziato a leggere due volte, nel 2008 e molti anni dopo, ma che, pur riconoscendogli un enorme valore, non sono mai riuscito a finire. È corretto dire che ci sono sono diverse citazioni letterarie: per me la scrittura è un prolungamento della lettura e non può quindi prescindere dai libri che ho amato. In Madame Bovary, tutto è apparenza e tutti recitano un ruolo (con un’unica eccezione, il giovane Jean, sinceramente innamorato di Emma). Uno dei motivi per cui il romanzo di Flaubert fu accusato di oscenità, rischiando così di non essere pubblicato, è che Emma non si uccide spinta dal pentimento ma perché travolta dall’amore fedifrago e dal peso del denaro: non potendo giustificare le folli spese sostenute per essere all’altezza del suo immaginario amoroso, sceglie la strada della morte come unica soluzione possibile, la forma più radicale di estinzione di un debito. Ed è proprio questo il tema al centro del mio racconto: il protagonista, convinto di poter esercitare il proprio potere anche in amore, si trova prima travolto dalla passione, della quale diventa succube, e poi proprio da quei soldi sui quali lui, come direttore della filiale di una banca, ha costruito e basato la propria vita. La lotta di classe, che è stata di fatto rimossa dall’agenda di qualsiasi soggetto politico e da qualsiasi tentativo di analisi della società contemporanea, riemerge in modo per così dire naturale nei rapporti interpersonali, dove il conflitto tra chi ha i soldi e chi non ne ha non ha mai smesso di esistere. Le battaglie di emancipazione delle donne mettono spesso al centro l’emancipazione economica della donna come strumento per la costruzione di un rapporto d’amore basato sulla simmetria di potere.

Oggi siamo costantemente immersi nelle storie: sono storie le notizie più o meno filtrate che leggiamo, gli account social, il mondo della scrittura che vive online. Potremmo semplicemente esserne saturi e invece il presente è una fucina di contraddizioni così variegate e allucinate da fornirci nuovi elementi (anche drammatici) per farne letteratura. Tu che ne pensi?

Chi scrive cerca disperatamente di raggiungere qualcosa di universale attraverso la rappresentazione del mondo in cui è immerso: non può scegliere gli argomenti di cui parlare, perché non può scegliere in quale tempo vivere, in quale società, in quale contesto. In questi anni, è difficile distogliere lo sguardo dalla complessità prodotta dalla presenza dei social. Per un millennio, qui in Occidente, l’unico modello interpretativo della realtà era il cristianesimo, che regolava la vita politica, la vita pubblica e quella privata – un modello onnicomprensivo che offriva una verità unica e inoppugnabile. Il ventesimo secolo è stato funestato dai totalitarismi, mossi da aspirazioni analoghe; nel ventunesimo secolo, invece, l’unico punto fermo, il motore di ogni decisione, il metro per giudicare ogni azione è il capitalismo. Sotto la spinta del profitto, si sono polverizzati la politica, la religione, il concetto stesso di democrazia, il trascendente, l’anima, la fiducia nella scienza, una morale condivisa (o imposta). Non servono, o sono di ostacolo. Adesso la costruzione della realtà viene demandata, ogni giorno, a miliardi (il numero non è esagerato) di tweet, messaggi e post prodotti da singoli individui, in una totale assenza di riferimenti condivisi. Non è peggio di prima: è diverso. A un pensiero unico si è sostituito un mondo disegnato con la tecnica del puntinismo; il problema vero è che, per quanto ci si allontani dal quadro, non si riesce a scorgere il soggetto che ne sta emergendo. Il pensiero ha cambiato consistenza e si sta liquefacendo. Ci sarà una reazione? Probabile. L’essere umano sembra irresistibilmente attratto dall’apparente sicurezza offerta dei modelli solidi. Ma per il momento viviamo questa esperienza: questo è il mondo nel quale si muovono gli scrittori del ventunesimo secolo, e questa è la materia prima della letteratura di oggi.

Dove andrà a finire l’umanità nei prossimi secoli? Domanda un po’ difficile, ma che è ormai un classico di questa rubrica…

È sempre divertente leggere le previsioni sul futuro che erano state fatte nel passato. Alla fine degli anni Settanta, nessuno dei premi Nobel, a cui fu chiesto di descrivere cosa avrebbe caratterizzato i primi anni del nuovo millennio, fu in grado di immaginare la diffusione dei telefoni portatili, qualcosa di equivalente a internet, i motori di ricerca, e tanto meno i social network o l’intelligenza artificiale. In generale, esistono delle discontinuità forti, nella storia del mondo: secoli di immobilità seguiti da anni di cambiamento frenetico. Attualmente, forse ci troviamo nel secondo scenario. Posso dire, però, come mi piacerebbe che fosse il mondo in cui vivranno i miei nipoti: sereno, senza guerre, finalmente riappacificato. Sognare è un lusso che non costa nulla.

Infinite quest

Una rubrica di Giulia Bocchio


Paolo Zardi vive a Padova, ha pubblicato con la Neo Edizioni le raccolte di racconti Antropometria (2010), Il giorno che diventammo umani (2013), La gente non esiste (2019), e i romanzi XXI Secolo (finalista Premio Strega 2015) e La Passione secondo Matteo (2017). Suoi i romanzi Tutto male finché dura (Feltrinelli, 2018), L’invenzione degli animali (Chiarelettere, 2019), Memorie di un dittatore (Perrone, 2021). In ebook ha pubblicato i romanzi Il principe piccolo (2015), La nuova Bellezza (2016) per Feltrinelli Zoom e Eva (Kobo Originals, 2022). Suoi racconti sono apparsi in numerose antologie, e sono stati tradotti e pubblicati dalla rivista Lunch Ticket dell’Università di Antioch (Los Angeles).


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