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Si è sempre fatto così! – Intervista ad Alessia Dulbecco (a cura di Elena Cirioni)

C’è chi vorrebbe credere o farci credere che il nostro sia il migliore dei mondi possibili.
In fondo tutti noi pensiamo sia così. Tolto qualche piccolo ostacolo come guerre, ingiustizie razziali, ingiustizie di genere, economiche, questo è veramente il migliore dei mondi possibili.
Se si ha questa convinzione cambiare diventa una vera e propria sfida, d’altronde se si è sempre fatto così perché proporre un modo differente di percepire la nostra realtà e mettere in discussione abitudini e comportamenti?

Si è sempre fatto così! Spunti per una pedagogia di genere (Tlon) è il titolo del saggio di Alessia Dulbecco, pedagogista e counsellor specializzata nel contrasto alla violenza di genere.
Alessia Dulbecco per oltre dieci anni ha lavorato in vari centri antiviolenza e oggi collabora con scuole, aziende e diverse associazioni, il suo saggio ha come scopo quello di scardinare stereotipi che condizionano la vita delle persone fin dalla primissima infanzia per cercare di aprire le gabbie delle costruzioni sociali che limitano le nostre possibilità di scelta e spesso danno vita ai vari ostacoli del nostro mondo, compresa la violenza di genere.

Poetarum ha incontrato Alessia per parlare del suo saggio e del suo lavoro.


Cos’è la pedagogia di genere?

La pedagogia di genere in Italia risulta ancora poco conosciuta, la sua nascita risale al 1973 quando venne pubblicato il testo Dalla parte delle bambine scritto dalla pedagogista Elena Gianini Belotti. Nel saggio, che ottenne un grande successo, è esposta questa tesi: le differenze
caratteriali tra maschi e femmine non sono innate, ma frutto di condizionamenti culturali che le bambine e i bambini iniziano a subire già dai primi anni di vita. Elena Gianini Belotti ha elaborato questa sua tesi a seguito di un lavoro sul campo pionieristico; coordinatrice di spazi dove incontrava bambine e bambini, iniziò a osservare i loro comportamenti e si rese conto quanto alcuni stereotipi, come per esempio l’accettazione di un bambino agitato che rompe gli oggetti e al contrario il contrasto degli stessi comportamenti nelle bambine, fossero costruzioni sociali volte a dividere la società.

Si ha l’idea che negli anni seguenti sia capitato qualcosa che ha fermato questo processo di ricerche. È così?

Sì, alla fine degli anni Sessanta questi studi vennero recepiti con molto entusiasmo complice anche la fase storica: la rivoluzione sessuale e il femminismo degli anni Sessanta. È un momento molto importante in cui si iniziano a smantellare le condizioni sociali del ruolo femminile. Nei decenni seguenti, tra i Settanta e gli Ottanta, da queste basi fioriscono progetti pionieristici nelle scuole. È dalla fine degli anni Ottanta che qualcosa cambia, si iniziano a innestare teorie che riflettono sugli aspetti più peculiari della femminilità, la maternità, la propensione alla cura, tutte queste caratteristiche vengono esposte come vessilli in antitesi al maschile. È una fase delicata dove assistiamo a un blacklash, un contrattacco del patriarcato che svaluta gli studi degli anni Sessanta con lo scopo di riportare tutto a come era prima. In questo periodo questo si sta riverificando e basta veramente poco per ritornare indietro dimenticando tutti i progressi fatti in questi anni.

In Europa quali sono i paesi più evoluti sotto questo aspetto?

Al primo posto troviamo sempre i paesi scandinavi e si è visto come lavorare sull’educazione affettiva abbia abbattuto il rischio di malattie sessualmente trasmissibili e gravidanze non volute.
Il problema dell’Italia è un problema culturale. I cambiamenti legislativi sono troppo veloci e non è facile introiettarli. Negli ultimi tempi l’effetto dei casi di cronaca ha reso molti cittadini consapevoli della responsabilità di ognuno di noi che non significa essere colpevoli, ma essere coscienti delle proprie azioni.

Nel tuo saggio parli di come il sistema consumistico abbia accentuato ancora di più la divisione tra maschile e femminile per puri scopi commerciali. Sembra anche questa una forma di controllo…

Lo è. Il consumismo e il patriarcato sono sistemi di potere che opprimono e tendono a creare divisioni per controllare i nostri comportamenti. Per esempio, riflettere su un abito o un giocattolo che compriamo per una bambina o un bambino può sembrare una cosa da poco, ma in realtà è un gesto importante che deve essere fatto con consapevolezza senza affidarci a una regia nazionale che tende a non volerci consapevoli delle nostre azioni. È importante sottolineare che questo sistema fa male anche agli uomini, che fin dalla primissima infanzia vedono limitate le proprie emozioni e questo crea una frustrazione capace di influire sull’intera vita.

Se da domani potessi essere la nuova Ministra dell’Istruzione che tipo di riforme attueresti?

La prima riforma da fare sarebbe un programma serio sulle scuole, introdurre la pedagogia di genere come disciplina e non marginalizzata come adesso nelle ore pomeridiane. Un altro passo fondamentale sarebbe quello di lavorare sulle parole e sui simboli senza imporre regole, ma con l’intenzione di imparare a far usare un linguaggio equilibrato. Inoltre, un altro passo importante sarebbe quello di riformare la televisione, la nostra ha un immaginario vecchio, obsoleto. Come ha fatto in passato con l’alfabetizzazione la tv dovrebbe rieducare anche rispetto a queste
tematiche. Ci vorrebbe un Maestro Manzi della pedagogia di genere! Questo perché siamo in un momento molto delicato, è come se ci trovassimo a pochi metri dalla vetta, possiamo arrivare in cima oppure precipitare nel vuoto. Sta a noi capire quale strada scegliere.

A cura di Elena Cirioni

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