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Noi ci siamo conosciuti nell’oscurità: Dialoghi in cielo di Can Xue (di Giulia Oglialoro)

Immaginiamo di comporre la nostra autobiografia non attraverso i fatti realmente accaduti, quel che ricordiamo o crediamo di ricordare, le persone e gli incontri e tutto ciò che nel tempo ha composto la materia affidabile dei giorni, ma soltanto attraverso ciò che abbiamo vissuto nei sogni.
Ecco che quella garanzia di veridicità che di solito associamo all’autobiografia crollerebbe, i nostri cari apparirebbero sotto luci più inquietanti, i confini tra persone e animali si farebbero più labili, persino i luoghi si assommerebbero come le fantasmagorie iridescenti di un caleidoscopio.
Leggendo Dialoghi in cielo di Can Xue, pubblicato da Utopia Editore con la traduzione di Maria Rita Masci, si ricava esattamente quest’impressione, quella di una raccolta di racconti che si avvicendano come accurate trascrizioni di sogni, dove il realismo è abolito, e l’io narrante, pur mantenendo una voce limpida e riconoscibile, anziché tentare un racconto via via più compatto non fa che disgregarsi, mutando genere e aspetto, confondendosi a un fantasma, a un uccello o a un paesaggio, fino a divenire qualcosa di vivido eppure incorporeo, con la stessa disponibilità di una pellicola fotografica su cui è possibile imprimere qualsiasi forma.
Dalle poche informazioni che circolano sul conto di questa autrice – che ha “scritto” persino il proprio nome: Can Xue è infatti lo pseudonimo di Deng Xiaohua – scopriamo che è nata nel 1953 a Changsha, nel sud della Cina, che i suoi genitori furono perseguitati dal regime e costretti nei campi di lavoro, e che per questo trascorse molto tempo con la nonna, la quale le trasmise una precisa conoscenza delle erbe e dei medicamenti naturali. Sono dettagli, questi, che ritornano trasfigurati nel primo racconto della raccolta, La splendida estate del sud, in cui la narratrice racconta squarci della propria infanzia, insieme all’attrazione intensa e improvvisa verso la scrittura.
«Mi sento di affermare che i miei scritti brillano di una luce che attraversa ogni parola e ogni riga. Ci tengo a sottolineare che la mia produzione letteraria è stata stimolata dallo splendido sole ardente del sud. Proprio perché nel cuore ho la luce, l’oscurità diventa vera oscurità. È perché esiste il paradiso che possiamo avere una profonda esperienza dell’inferno, ed è perché l’uomo è pieno di amore universale che può distaccarsi e sublimare nella sfera dell’arte».

Si ha l’impressione che questo primo racconto, dove le atmosfere oniriche sono presenti ma più smorzate rispetto al resto della raccolta, sia nientemeno che un’esca dell’autrice per attrarre a sé il lettore, prima di spingerlo in mezzo a storie altamente inquiete e spiazzanti. Avanziamo lentamente nella lettura come in un bosco in pieno inverno, quando la neve ha ricoperto ogni sentiero, e l’unico orientamento possibile risiede nell’intuizione, negli indizi esilissimi disseminati nel paesaggio, nelle tracce che ci riporteranno a casa oppure verso deviazioni continue, ma non importa: l’assenza di una direzione chiara, di un messaggio univoco, la divagazione continua che non scade mai, prodigiosamente, in una facile confusione, sono ciò che davvero ci incanta di questi racconti.
Basti pensare a L’appuntamento, in cui la protagonista si prepara a incontrare un uomo scaturito dalle proprie fantasie – cosa che ci viene comunicata già dall’incipit, con quel misto di candore e al tempo stesso di strenua opposizione alla logica che è poi la cifra della scrittura di Xue; eppure, l’assurdità della situazione non ci impedirà di provare un sincero dispiacere per questo amore mancato.
Ancor più straniante è Bolle di sapone sull’acqua sporca, in cui la definitiva separazione tra madre e figlio si fa più che mai concreta: «Mia madre si è sciolta in una bacinella di acqua saponata. Non lo sa nessuno. Se qualcuno sapesse come sono andate le cose, mi darebbe della bestia, dell’assassino sordido e sinistro». Inutile tentare interpretazioni psicanalitiche, approcciandosi a episodi e personaggi come fossero simboli da decifrare: tutto è letterale nei racconti di Xue.
Proprio come nei sogni, le persone possono davvero sciogliersi in una bacinella di sapone; possono volare, come accade alla protagonista dell’ultimo dei tre Dialoghi in cielo; possono sopravvivere in luoghi aridi e disseminati di serpenti velenosi, oppure possono dimenticarsi di essere marito e moglie e spaventarsi vicendevolmente nella propria casa come spettri.
«Tutto era bianco davanti ai miei occhi. Ho attraversato file di palazzi, boschi sussurranti, antichi precipizi che emanavano una luce fredda e atona, simili a luoghi remoti e illusori ormai dimenticati. Un uccello notturno dalle piume color cenere mi volava accanto, ma sapevo che non era affatto un uccello, era una gru di carta che avevo modellato molto tempo prima in cucina e che mi avrebbe seguito fino alla fine dei miei giorni».
Con una lingua piana eppure capace di aperture liriche, grazia alla continua sovrapposizione di immagini, Xue ci conduce in una natura proteiforme; non ci è davvero chiaro, infatti, se i racconti siano ambientati in città o in luoghi remoti, perché ecosistemi diversi sembrano convivere nello spazio di una pagina. Incontriamo alberi di palma e poco dopo davanzali ricoperti di brina, mentre le strade si snodano infinite, piene di polvere e luce, solcate da «lucertole splendenti» e dai rivoli fangosi che in seguito a violente tempeste diventano pozze ghiacciate, di un «fulgore eterno che ferisce gli occhi»; il mare può comparire all’improvviso, le città sono squarciate da ampi tratti desertici. L’onirismo abolisce le coordinate spaziali, certo, eppure in questi racconti – pubblicati in Cina nel 1991 – c’è anche, chissà quanto consapevolmente, la premonizione di luoghi in drammatico mutamento nell’epoca dell’Antropocene.
«Noi ci siamo conosciuti nell’oscurità» dice al suo amato la protagonista del racconto Dialogo in cielo II: è forse la frase che riassume l’atmosfera dell’intera raccolta. Davvero l’oscurità di queste pagine ha rivelato qualcosa di noi, e di questa autrice così strana e prolifica, che un giorno, allo scoccare dei trent’anni, nella Cina rurale fatta di palazzi ma anche di foreste e rovine muschiose, ha cominciato a scrivere e non ha più smesso.

 

Di Giulia Oglialoro


In copertina: artwork by Hans Withoos


 

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