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Illusioni ritrovate: “Una breve visita” l’esordio di Andrea Betti (una rubrica a cura di Omar Suboh)

In un panorama editoriale saturo di pubblicazioni, che per eccesso di titoli in uscita rischiano di soffocare la qualità a discapito della quantità, esistono ancora isole felici. 
Scritture radicali, che non hanno paura di guardare in faccia l’abisso, e che si consegnano volentieri agli artigli dei propri demoni: perché la scrittura non è mai terapeutica, come scrive Michele Mari: alcuni scrittori «hanno nell’ossessione non solo il tema principale ma l’ispirazione stessa» e scrivendo «finiscono di consegnarsi inermi agli artigli dei demoni che li signoreggiano».
Questo è lo spirito che anima la nascita di questa rubrica, dal titolo che rimanda al celebre romanzo di Balzac Illusioni perdute: le vicende di Lucien, aspirante scrittore nella Parigi della prima metà dell’Ottocento, sono lo specchio di una società in cui le aspirazioni di ognuno fanno a pugni con i giochi di potere, gli inganni e le sopraffazioni per svettare sopra gli altri.
La ricerca di nuove voci capaci di sorprendere, di raccontare le metamorfosi del tempo in cui viviamo abbagliati da uno schermo luminoso qualunque, perennemente acceso come un faro sulla notte del mondo: gli esordienti e la scrittura, questo è l’ordine del discorso.
– Omar Suboh

La classe, Amirah Suboh

 


«La nostra tecnologia si è accartocciata come una medusa al sole,
I nostri satelliti, internet, il socius, tutto andato alla deriva nel Radio Caos»

 

Se il tempo è soltanto illusione, come si racconta per esempio in Ubik di Philip K. Dick, l’universo potrebbe essere veramente il prodotto di un inganno, la proiezione perversa di un genio maligno che si prende gioco di noi.

Quattrocento anni nel Dopo, ovvero all’indomani del grande avvenimento che ha sconvolto per sempre le sorti della civiltà umana – l’arrivo sulla Terra dei Cilestrini, una specie aliena completamente indifferente ai suoi abitanti –, Marcus si risveglia dalla criogenesi e descrive quello che lo circonda nel suo Diario: la Manhattan Celeste, sorta di fabbrica che rappresenta per il nuovo tipo umano che vi accorre il corrispettivo della Mecca per i musulmani. Sulla soglia è inciso il motto In Speculum Et Ænigmate, tra maschere dorate che vorticano intorno e i synth, che accompagnano la venuta del Buddha Montagna di Giada.
Marcus è un giovane affetto da una strana forma di dispercezione olfattiva causata da psicosi allucinatoria – oltre a essere affetto da eliotropismo, una particolare reazione allergica a luci e suoni –, che lo ha indotto alla catatonia dopo l’apparizione dei Cilestrini sul nostro pianeta: descritti attingendo alla terminologia della religione vedica e induista, dai «volti umani ma stranianti», in una Tangeri tossica come nei romanzi di William Burroughs. 

I Cilestrini si esprimono attraverso il Rumor Bianco, una sorta di fruscio in cui è racchiuso il suono della radiazione di fondo dell’universo. Una delle conseguenze più nefaste del loro sbarco è un’epidemia globale di depressione endemica chiamata Panacedia, che ha condotto irrimediabilmente al crollo delle religioni monoteistiche e alla nascita di due movimenti insurrezionali chiamati rispettivamente SVA – Movimento Svalutazionista degli umani, incapaci di stabilire un contatto con gli alieni, e che per combattere la Panacedia utilizza i rituali collettivi di rinuncia della volontà –, contrassegnati dal simbolo dello zero spaccato; e i RAD – Movimento di eradicazione culturale –, guidati dal loro leader Hyeronimus, prima attivista no global e successivamente «radicalizzato nella alt–right metafisica»: predicano il ritorno dell’umanità allo stadio animale, con una serie di fasi scandite in cinque movimenti che dovrebbe portarli all’estinzione perpetua dell’uso della parola.

 

Cercano di conservare la propria rendita di posizione invece il gruppo dell’Elitel – L33TEL –, l’élite di intellettuali e scienziati arroccati sulle proprie posizioni di potere che lottano per il mantenimento dei loro privilegi. Sullo sfondo dei grandi stravolgimenti che hanno portato al Nuovo Secolo del Fullerene prima – dal nome di un particolare materiale innovativo utilizzato per la produzione di computer quantistici Deutsch–Jozsa e per la sonda Gagarin, quest’ultima impiegata nell’assimilazione con il Coriolano, un sottomarino fondamentale nella missione del professore Amirani e della sua squadra per il salvataggio del patrimonio artistico in Europa e nel Mondo –, e dei Secoli Oscuri e della Torre poi, la comparsa della Fessura – una incrinatura nello Spazio–Tempo, fenomeno ignoto apparso nella Nube di Oort nei primi anni del Secolo Acidificato – si accompagna con la fuoriuscita di corpi cometari simili a enti bidimensionali il cui strappo è da immaginare come in continua espansione.
La misteriosa Fessura si richiude cinque anni nel Dopo, ma le ragioni della sua comparsa sono ancora ignote per l’ordine monastico dei Kibernetes, a cui dobbiamo il Manuale del Kiberneta Meticoloso, ovvero la tassonomia e la cronaca dei principali avvenimenti della Storia e del world building sapientemente ricreato da Andrea Betti nel suo esordio dal titolo Una breve visita (Wojtek edizioni, 2022).

Testo iniziatico più che fantascientifico, il romanzo fonde distopia e utopia al contempo, fornendo al lettore una serie di elementi che solamente alla fine risplendono nella loro (quasi) completezza, illuminando retrospettivamente i fatti elencati dalle voci plurime raccolte dal monaco a cui dobbiamo il materiale che Betti dosa come una miscela di sostanze dagli effetti allucinogeni. E, di fatto, il libro è un trip psichedelico che apre le porte della percezione riflettendo sul superamento del concetto di antropocentrismo e sul significato di futuro oggi. Come se il tempo fosse un continuum in cui passato e presente si mescolano continuamente riscrivendo gli scenari, e le sorti, di ogni epoca. Pensando a Marcus, e a sua sorella Guinevere che si prende cura di lui in quel di Hamistadt – la capitale culturale del nuovo impero, dove è nato il grande artista Eugen Urmach, il cui atelier dal nome evocativo di Sarasvatī Building è un chiaro omaggio alla dea hindu delle arti e della conoscenza –, torna alla mente un altro grande classico della letteratura come Mattatoio n. 5 di Kurt Vonnegut, e alle vicende del suo protagonista Billy Pilgrim scampato alla Seconda guerra mondiale e al bombardamento degli americani di Dresda prima e al trasferimento nel pianeta Tralfamadore successivamente – dove verrà in contatto con  una specie aliena sconosciuta, chiamati appunto Tralfamadoriani; creature che abitano tutti gli istanti del tempo, dalla creazione dell’universo sino al suo sfaldamento –.
Manifesto dell’antimilitarismo, il testo di Vonnegut intende scandagliare con lucida e critica imparzialità il ruolo delle parti nel conflitto senza concedere attenuanti a ciascuno, dimostrando come non esistano, in forma definitiva, le dimensioni di spazio e di tempo, ma come queste si attraversino continuamente trapassando le varie fasi della Storia e dei secoli che la compongono in una sorta di unico eterno presente – un po’ come scrive Georgi Gospodinov in Fisica della malinconia quando fa esprimere al suo protagonista la volontà di restituire «un pezzetto di passato, portar qui un litro di tempo trascorso nell’ambito di una vita umana oltraggiosamente breve», anch’esso affetto da una strana forma di patologia: l’empatia verso ogni cosa esistente, dai minerali, agli animali e le piante, così come con ogni essere mitologico (il Minotauro ucciso nel labirinto ) e l’”io” è soltanto la somma del Tutto della Natura, dove proprio negli elementi all’apparenza più insignificanti, può nascondersi dio stesso –. 

Una breve visita è rivalutazione dell’irrazionale, degli strati invisibili della coscienza e della sua espansione psichedelica. È la cronaca dello «strappo traumatico e mitologico fra cielo e terra, fra materia e spirito», così come l’autore già in un altro scritto apparso per il volume La scommessa psichedelica (Quodlibet, 2020), a cura di Federico di Vita, riflette sul tema del valore controculturale in prima istanza, oltre a quello prettamente terapeutico, del cosiddetto Rinascimento psichedelico – portato alla ribalta dal successo di libri Come cambiare la tua mente di Michael Pollan –, e delle possibilità di rivalutazione del pensiero alla luce delle sostanze, e delle componenti politiche legate alla dimensione dei rave party, della tekno, del delirio: «dove il pharmakon è succedaneo di rituali, di preparati, pozioni, tisana e decotti, di sacrifici. La forma che doveva assumere Jikuri per tornare fra di noi occidentali meccanizzati era evidentemente quella di gocce sintetizzate per ventura alla Sandoz […], una specie di lubrificante psichico per un cervello fortemente implementato a prodotti automatizzati e scenari artificiali». Conferire piena dignità all’immaginazione, espunta da ogni agenda politica, significa restituirle la sua visione progettuale, oltre che rivoluzionaria. Aprirsi all’ignoto, al dominio dell’invisibile, per aprire le ali al volo magico contro ogni repressione del dissenso: «È il cancro dell’ortodossia, la miopia degli occhiuti, il ponzare vano di chi sforza, il rigore che irrigidisce e atrofizza la plasticità mentale». 

A cura di Omar Suboh

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