Il portolano è un manuale per la navigazione che si basa sui rilievi e sull’esperienza di chi è stato per mare. Con note, disegni e carte riporta elementi utili alla traversata, consente di conoscere i posti e ammonisce circa gli eventuali ostacoli.
Quello di Nicola Dal Falco è il Portolano del corpo (La vita felice), una mappa nella quale ciascuna parte della figura è rappresentata come luogo d’indagine dal quale si è tornati dopo averne sperimentato la meraviglia. Qui, la persona non è solo l’oggetto della narrazione, ma anche riverbero del pensiero. Il poeta compila una guida basata sull’esplorazione concreta che in questi versi sembra percorsa come da un soffio vitale: l’immagine guardata, percepita con i sensi, non è mai altro da sé, ma diventa parte dell’autore stesso e, come tale, palpitante e preziosa. Come in un diario, Dal Falco celebra il corpo e, allo stesso tempo, si immedesima in esso e si riconosce, cedendo alla pagina qualcosa di lui. Sono appunti di bordo, le cui metafore richiamano continuamente il paesaggio marino e raccontano di un corpo-seppia, un corpo-riva, un corpo-conchiglia che si imprime negli occhi del viaggiatore e orienta chi legge.
Nel nominare lo zigomo, la bocca, i piedi o la mano, si fa un bilancio: cosa rimane del gioco del ricordo? Soltanto l’accaduto, o – come sosteneva Borges – la nostalgia impossibile, la memoria di ciò che sarebbe potuto essere e non è stato? Forse, il responso può trovarsi in questa frase: “Intanto, è come se un’orma/ m’accarezzasse,/ lasciando di sé un vuoto scritto,/ un corpo atteso”: l’evocazione colma l’attesa, inventa l’avverabile e si lascia frantumare dall’oblio: ciò che è perduto, separato, allontanato regala uno stupore di cui sempre si avverte l’assenza. Continua, poi, il poeta raccontando del rientro dal viaggio: “riaffiora il sorriso etrusco:/ nodo che s’allenta,/ riviera./ Modulato sul ritorno,/ su ciò che solo il cuore potrà dire”: ancora una volta a parlare non è un mero testimone, ma un essere umano capace di emozionarsi che si culla nell’idea di quell’unico corpo e, appunto perché unico, non smette di amarlo.
In questo, riporta alla mente un’altra geografia letteraria che esalta le fattezze umane per le molteplici singolarità: Anatomia sensibile, di Andrés Neuman. Proprio nell’aggettivo del titolo sta il significato della riflessione dello scrittore di origine argentina: quanto più l’osservazione è attenta e sgombra da pregiudizi, tanto più ciò che si guarda sfugge all’ovvio e si illumina di un’aura nuova lasciandosi finalmente voler bene e mostrandosi parte senziente. Lì, l’invito è quello di vedersi con maggiore indulgenza, qui, quello di farlo con desiderio, cioè con l’occhio della mancanza.
Alla fine del libro, Dal Falco non tradisce né dimentica la sua originaria passione per la vita campestre e unisce alla silloge una “Appendice di terra” in cui scrive: “All’orecchio che si fa stanza,/ sul precipizio del bosco,/ giungono i rapidi rintocchi del picchio/ come una frana breve che distenda,/ dopo aver ripreso fiato./ Tra le connessure del tronco/ è un lento smangiare di tarli,/ incroci di formiche e sonni mossi da larve./ Fischi di poiane alla
riva/ e sopra la cava/ e quel bussare a tempo/ di chi nasce”. In questa ultima parte, il mare diventa un’eco lontana, un luogo – come il corpo – di cui fare tesoro, e anche gli orti, i boschi, le api e i promontori appaiono capaci di appagare la mente e far risplendere il foglio bianco. Nei componimenti qui raccolti, l’orecchio si tende all’ascolto e l’autore si fa più pronto alla risposta.
Il navigante è tornato sulla terraferma e diventa faro per chi si trova ancora tra le onde. Detta “guasti e tracce/ a chi, fuori, morde di stelle/ il cielo”. Si fa approdo sicuro, come la poesia.
A cura di Annachiara Atzei
Cinque poesie da Portolano del corpo (La vita felice, 2018)
PORTOLANO DELLA SCHIENA
Natura di seppia
che tiene il mare come un’ala
silenziosa, occhiuta,
porto di sabbie e correnti.
Un semplice tra,
domanda che non cede risposte,
ma le ammucchia come alghe.
*
PORTOLANO DEI PIEDI
È ai due giullari che chiederò
le canzoni più sboccate e le strofe vere,
per ogni sasso, fiume e spina
che ci toccherà in sorte.
A loro, anche gli addii,
le riverenze, i pugni,
il seme dei baci.
E ripeteranno,
per filo e per segno,
il viaggio a piedi,
l’intreccio di domande
e di risposte.
Intanto, è come se un’orma
m’accarezzasse,
lasciando di sé un vuoto scritto,
un corpo atteso.
*
PORTOLANO DEL SONNO D’ESTATE
Tinge di sole la stanza
uno scalpiccio sul muro
come riflessi di mare;
lingua vegetale il silenzio,
spazio descritto in cerchi,
dalla mano che scende
ad angoli più acuti,
a invidiosi ascolti,
a un tratto che consegna
ancora e nuovi
decori su carte cieche,
tiepide di nomi.
*
PORTOLANO DEL POETA
Voce da terra
ai naviganti,
luce bianca
intermittente,
dettando guasti e tracce
a chi, fuori, morde di stelle
il cielo.
La smisurata sera.
*
unisci la foglia alla luce,
sistemala come un piccolo bronzo
che assorba l’età, l’inclemenza,
l’aia fresca del muro,
metti pace nei passi dell’entrata;
la povera attesa di un bacio
supera piano le ragioni in fila,
la festa acclamata come alba,
controlla ancora l’erbario dei ricordi,
i nomi cantati, saliti in gloria su uno stelo,
convinti di stare sempre tra cielo e terra,
odissea di cui splende la pagina.