Qualcosa di artisticamente tetro: H.P. Lovecraft, ‘Il Simbolo della Bestia’

Lovecraft fu anche poeta, i suoi versi, sono stati più volte oggetto di studio, sebbene offuscati dalla potenza dei racconti; una dimestichezza con la metafora e il buio multiforme che ha accompagnato la scrittura a ragnatela di questo autore, capace di scardinare l’estetica di ogni immaginario horror.
Un esempio?
Proponiamo di seguito un estratto della postfazione de H.P. Lovecraft: Il Simbolo della Bestia (Joker, 2022, traduzione e cura di Paolo Castronuovo), firmata da Marco Sonzogni e alcune poesie selezionate.


“Oltre all’infinita serie di racconti, Lovecraft si è dedicato – come attività letteraria del tutto secondaria – alla poesia con circa cinquecento componimenti, i più pubblicati sulle riviste «Weird Tales» e «The Tryout».
Componimenti poetici dalle visioni oniriche e soffocanti sono spesso confluite nei racconti, altri invece sono semplici biglietti di auguri di Natale inviati ai suoi conoscenti. Non da meno sono le poesie in cui si evidenzia il suo amore per i gatti, già esplorato nel racconto I Gatti di Ulthar.
Ad oggi, l’unico volume edito a contenere tutte le sue opere in versi è The Ancient Track: The Complete Poetical Works of H.P. Lovecraft (Night Shade Books, San Francisco, 2001) curato da Sunand Tryambak Joshi, poi rivisitato e riedito da Hippocampus Press, New York, 2013. In Italia invece la poesia lovecraftiana è arrivata con la pubblicazione della raccolta di inediti Il Vento delle Stelle (Agpha Press, 1998), del poema I Funghi di Yuggoth, sotto il titolo di Gli Orrori di Yuggoth (Barbera, 2007), e di alcune poesie pubblicate sulla rivista «Antarès» (Bietti, 2014) tutto a cura di Sebastiano Fusco.
In questa edizione vengono riportate alcune poesie – inedite in Italia e non – del solitario di Providence con una nuova traduzione e disposte in parte nell’ordine comparso su The Ancient Track.
È doveroso sottolineare che il talento massimo di H.P. Lovecraft si manifesta nei racconti, e le sue poesie non hanno una gran valenza letteraria, pur rimanendo un documento che arricchisce il suo vissuto di autore.
(…) Una scrittura, come spiega Castronuovo, che è contaminata da fantascienza, mitologia, astronomia, occultismo e riferimenti scientifici al punto da diventare weird – chi vuole può consultare un dizionario per cogliere più a fondo la complessità di termine apparentemente semplice e superficiale.
Lovecraft è uno di quegli scrittori in grado di trarre dalla lingua inglese temi, tempi e tonalità che prima o poi vanno oltre la pagina – che hanno ispirato, appunto, evoluzioni e modulazioni non soltanto letterarie ma anche musicali e cinematografiche. Questo tipo di eredità non è necessariamente garanzia tout court di qualità – spesso è vero il contrario e si possono certamente trovare esempi anche nelle opera di Lovecraft”

– Marco Sonzogni


Tre poesie tradotte tratte da Howard Phillips Lovecraft Il simbolo della bestia (cura e traduzione dall’inglese di Paolo Castronuovo, postfazione di Marco Sonzogni)

I gatti

Cumuli di mattoni spuntano verso l’alto dei cieli,
fiamme di futilità turbinano sotto;
funghi velenosi nell’anello di mattoni e pietre,
lanterne che tremano e luci di morte che brillano.

Ponti neri mostruosi attraversano fiumi oleosi,
ragnatele filate da creature innominate;
catacombe abissali che dall’oscuro offrono
scie di fetore umano che marcisce al sole.

Colore e splendore, disagio e decadenza,
urlano e stridono arrampicandosi follemente,
la gente di campagna venera strani dèi,
miscugli di odori soffocano la mente.

Legioni di gatti dai vicoli notturni
miagolano nel bagliore della luna,
urlano il futuro con bocche infernali,
ringhiano alla runa rossa di Plutone.

Alte torri e piramidi fatiscenti coperte di edera,
pipistrelli in picchiata nelle strade di erbacce;
desolati ponti rotti sui fiumi il cui rimbombo
si unisce taciturno alla marea che si abbassa.

Campanili ombrosi tremolano contro la luna,
caverne dalle bocche coperte di muschi
echeggiano al vento e all’acqua:
ma sono solo gatti che miagolano tra i rifiuti!
(15 febbraio 1925)

*

Il bosco

L’abbatterono, e laddove i passaggi neri di pece
della foresta notturna avevano nascosto cose eterne,
scaldarono il cielo con torri e pile di marmo
per farne un falò per le loro feste.

Bianco e sorprendente per le terre intorno
sorse quella meravigliosa ricchezza di cupole e torrette;
cristallo e avorio, sublimemente incoronati
con pinnacoli che portavano nevi impenetrabili.

E per le sue sale risuonavano il flauto e il sistro
mentre il vino e la rivolta portavano le loro macchie scarlatte;
mai una voce di antiche meraviglie ha cantato,
né nessun occhio ha richiamato le colline e le pianure.

Così nel corso degli anni, fino alla notte viola
un menestrello ubriaco coi suoi versi svogliati
pronunciò parole vili che non avrebbe mai dovuto dire
risvegliando le ombre di un’antica maledizione.

Possono abbattere le foreste, ma non il crepuscolo che esse proteggono;
e nel punto in cui si trovava quella città orgogliosa,
l’alba tremante non rivelò nessuna pietra,
ma fuggì dall’oscurità di un bosco primordiale.
(Gennaio 1929)

*

Nel sagrato di Providence dove aveva camminato Poe

Eterne sono le ombre su questo suolo,
Di secoli andati nei miei sogni;
Grandi olmi si alzano tra lastre e cumuli
Arcuati sul mondo nascosto che fu
Riaffiorano le immagini in luci di ricordi

Abbandonano le foglie nei giorni andati
Lungimiranti visioni e suoni mai più tornati.
Lugubre un fantasma vaga solitario
Attraverso i posti in cui in vita camminasti;
Nessuno sguardo lo nota, anche se il suo canto

Piove dal tempo con la sua misteriosa voce:
Oh, solo i pochi che conoscono i segreti della stregoneria
Entreranno nel sepolcro ombroso di Edgar Allan Poe!
(Agosto 1936)

 

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