Derek Walcott, ‘Mappa del Nuovo Mondo’: la lingua delle isole come segno di identità (a cura di Annachiara Atzei)

Welder Wings, Time to fly

Quando si apre Mappa del Nuovo Mondo si rimane incantati. Le onde del mare, le foreste pluviali, le ombre nervate delle palme e ancora la spiaggia illuminata dalla luna, il rumore delle conchiglie e lo schianto del tuono esistono nelle pagine e si proiettano nello sguardo. Con la raffigurazione epica di luoghi esotici, Derek Walcott ci trasporta nel vasto arcipelago delle Indie occidentali, suo paese di nascita e ragione di scrittura e di vita. In questa raccolta, così come in tutta la sua opera, “la natura sboccia in arte”.
Ma sarebbe riduttivo parlare della poesia di Walcott unicamente per la straordinaria abilità del poeta di descrivere il paesaggio perché, in lui, la bellezza degli scenari coincide con l’intento di riscattare la storia antica dei Caraibi che ha visto l’avvicendarsi nel tempo dei grandi imperi coloniali europei, causa di una dolorosa schiavitù.
Questo tema attraversa l’intero lavoro assieme a quello della riscoperta dell’identità di un popolo e, per esso, di un uomo che si riconosce in quello che lui stesso definisce “arcipelago di stelle”.
Scrive Walcott: “Le isole possono esistere solo se in esse abbiamo amato” e dichiara l’insofferenza per le pesanti catene imperiali così come per un turismo arido che percepisce quelle mete solo come immagine da cartolina: “intanto i piroscafi che dividono orizzonti/ dichiarano/Noi perduti;/ Trovati solo/ In opuscoli turistici, dietro ardenti binocoli,/Trovati nel riflesso blu di occhi/ Che hanno cosciuto metropoli e ci credono/ felici, qui”.
L’autore trasforma la sua “isola prona” da immagine patinata a spazio reale e le restituisce la dignità e la forza di terra d’origine e di formazione umana e intellettuale. Solo ad uno sguardo superficiale Saint Lucia appare come periferia del mondo e invece è il centro dell’esistenza di chi la abita.
Si tratta del nucleo della poetica di Walcott dal quale prende il via la rivalutazione profonda di quella parte di mondo proprio attraverso la poesia che, come scrive Iosif Brodskij a proposito dell’opera del collega e amico, “essendo suprema versione del linguaggio, è perciò strumento di arricchimento personale, cioè un modo per scavare nell’identità”.
A proposito di linguaggio e di lingua della poetica, colpisce che, pur essendosi formato in un crogiolo di culture e lingue – anzi, forse proprio per questo – il poeta utilizzi quella inglese come veicolo del suo pensiero, mentre usa il patois creolo in omaggio all’idioma che parlava da bambino. Walcott, infatti, avverte in sé l’intersecarsi di infinite storie e destini e li racchiude nelle sonorità di una lingua eletta a strumento idoneo a riprodurre il soffio del vento o l’alzarsi della marea così come il grido di un popolo: “io sono soddisfatto/ se la mia mano ha dato voce al dolore di un popolo” afferma Shabine, suo alter ego ne La goletta Flight.
Il magma linguistico di Walcott somiglia a quello di altri autori che nella loro produzione letteraria hanno operato una scelta che si confacesse alla sete di comunicare e all’esigenza di raccontare la storia personale e quella collettiva.
Tra i tanti, viene alla mente Elias Canetti, che usa il tedesco – la quarta lingua che imparò nel corso della sua vita nomade – per la stesura della sua opera e che ebbe un ruolo decisivo – come lui stesso racconta ne La lingua salvata – per la determinazione della propria identità. Lo stesso fa Charles Simic, che opta per l’inglese dopo l’allontanamento da Belgrado, come pure Amelia Rosselli la quale, fuggita dall’Italia a causa della persecuzione fascista, fa della lingua sostanza traumatica della sua poesia e centro del sé esprimendosi in italiano, francese e inglese.
In questo libro, Walcott riesce a usare la parola come segno identitario fino a crearne una propria con l’invenzione di nuove immagini, nuove metafore e, di conseguenza, di un nuovo io. La maneggia come mezzo che non solo delinea lo spazio della bellezza e del ricordo, ma che inventa anche un tempo perpetuo – quello letterario – dalla potenza tale da farsi rivelazione e premonizione. In proposito, scrive nel discorso per il Nobel: “La poesia, che è il sudore della perfezione ma deve sembrare fresca come gocce di pioggia sulla fronte di una statua, coniuga entrambi i tempi verbali simultaneamente: passato e presente. C’è la lingua sepolta e c’è il lessico individuale, e il processo della poesia è un processo di scavo e di scoperta di sé”.
Così facendo, Walcott traccia la sua mappa del Nuovo Mondo, un mondo che non è suddito né nostalgico, ma ancora capace di slancio e meraviglia e fa al lettore un grande dono: gli consegna le sue Isole e se stesso: “Arranco per miglia su questa falce di spiaggia illuminata dalla luna,/ mi abbronzo, brucio/ per spogliarmi/ di questo amore per l’oceano che è amore di sé./ Per cambiar lingua devi cambiar vita” e lascia che i rimandi e le suggestioni di questa raccolta rimangano impressi nella memoria anche una volta riposto il volume e che la poesia continui a risuonare come voce suprema di una ancor viva identità

A cura di Annachiara Atzei


Quattro poesie da Mappa del nuovo mondo (Adelphi, 13° edizione, febbraio 2012)

STELLA
Se, alla luce delle cose, tu scolori
vera, eppure debolmente sottratta

alla nostra determinata e giusta
distanza, come luna lasciata accesa
tutta la notte tra le foglie, possa
tu invisibilmente allietare questa casa;
o stella, doppiamente compassionevole, venuta
troppo presto per il crepuscolo, troppo tardi
per l’alba, possa la tua pallida fiamma
dirigere il peggio in noi
attraverso il caos
con la passione del semplice giorno.
*

AMORE DOPO AMORE
Tempo verrà
in cui, con esultanza,
saluterai te stesso arrivato
alla tua porta, nel tuo proprio specchio,
e ognuno sorriderà al benvenuto dell’altro,

e dirà: Siedi qui. Mangia.
Amerai di nuovo lo straniero che era il tuo Io.
Offri vino. Offri pane. Rendi il cuore
a se stesso, allo straniero che ti ha amato

per tutta la tua vita, che hai ignorato
per un altro e che ti sa a memoria.
Dallo scaffale tira giù le lettere d’amore,

le fotografie, le note disperate,
sbuccia via dallo specchio la tua immagine.
Siediti. È festa: la tua vita è in tavola.
*

CONCLUDENDO
Vivo sull’acqua
solo. Senza moglie né figli.
Ho circumnavigato ogni possibilità
per arrivare a questo:

una piccola casa su acqua grigia,
con le finestre sempre spalancate
al mare stantio. Certe cose non le scegliamo noi,

ma siamo quello che abbiamo fatto.
Soffriamo, gli anni passano, lasciamo
tante cose per via, fuorché il bisogno

di fardelli. L’amore è una pietra
che si è posata sul fondo del mare
sotto acqua grigia. Ora non chiedo nulla

alla poesia, se non vero sentire:
non pietà, non fama, non sollievo. Tacita sposa,
noi possiamo sederci a guardare acqua grigia,

e in una vita che trabocca
di mediocrità e rifiuti
vivere come rocce.

Scorderò di sentire,
scorderò il mio dono. È più grande e duro,
questo, di ciò che là passa per vita.

*

MAPPA DEL NUOVO MONDO
Arcipelaghi

Alla fine di questa frase, comincerà la pioggia.
All’orlo della pioggia, una vela.

Lenta la vela perderà di vista le isole;
in una foschia se ne andrà la fede nei porti
di un’intera razza.

La guerra dei dieci anni è finita.
La chioma di Elena, una nuvola grigia.
Troia, un bianco cumulo di cenere
vicino al gocciolar del mare.

Il gocciolio si tende come le corde di un’arpa.

Un uomo con occhi annuvolati raccoglie
la pioggia
e pizzica il primo verso dell’Odissea.

 

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