‘La memoria degli ultimi è la prima’: Termini per una resa, di Massimo Del Prete

David, particolare

Il libro che proponiamo oggi è la nuova raccolta poetica di Massimo Del Prete, Termini per una resa (Nino Aragno Editore) con la prefazione di Gabriel Del Sarto e la postfazione di Alessandra Corbetta. Di quest’ultima, proponiamo di seguito un estratto:
“Lo scrivere di Del Prete, nonostante la calibratura del verso e del suono e nonostante le ripetute invocazioni a un silenzio generativo, non è mai statico e nemmeno attutito; in altre parole Termini per una resa, come anche i nomi delle tre sezioni costitutive suggeriscono (Altre vigilie, Termini per una resa, Lasciando l’avamposto), sono tutt’altro che un’opera tesa al nichilismo o alla passività, poiché si pongono come invito a fare e ad agire. Soldati stremati dalle pene della lotta, della quale si fatica ad ammettere la consustanziale inutilità, che ancora alzano la testa, che ancora, nelle luci fioche di un cielo destinato a sopravvivergli, cercano una risposta o, almeno, il senso della domanda: sono combattenti che prendono forma di innamorati, di legami familiari; sono i noi di oggi rispetto a quelli che eravamo; sono gli estranei che contribuiscono a definire chi siamo o non siamo; sono le ombre che, tra sogno, sonno e veglia, si aggirano per tracciare confini, marcare territori. La poesia di Massimo Del Prete segue l’ago che la mano muove per tessere e cioè per tenere insieme ciò che sarebbe disgiunto; ha un movimento, quindi, di dentro/fuori, di su/giù, di pieno/vuoto. È una poesia inclusiva e volta all’apertura, poiché tenta di unire gli opposti, di ricomprendere le dicotomie, di sospendere qualsiasi forma di giudizio. E sebbene lucida sia un aggettivo adatto per descriverla, dal momento che ogni immagine proposta è sempre frutto di meticolosa elaborazione sia nella vita che nella resa stilistica, nessun testo che la compone lascia fuoriuscire gelo, perché in Del Prete c’è un’energia di amore e di slancio (…)” . 


Quattro poesie da ‘Termini per una resa’, di Massimo Del Prete

 

Gli alberi che ti infoltivano le ciglia
gli alberi che ti fanno corteccia
nelle iridi oscillanti a fine inverno
resistono stremati in intricate
sgorbiature di rami, congelate e infisse
nella calotta azzurra dei mattini
bisbigliano intonando questa brezza
di attendere il tuo tocco infine
verdeggiante, come di un cielo
che ha fuggito le sue nubi –
per questo aspetto
                                         aspetto dentro la tua sera
per capire se è qualcosa e non il nulla
un istante senza il suo futuro.

§

Ti chiamo per illudere
un dolore ed una fuga, per raccontarmi
che non sto scappando. I pixel
del mio volto ti raggiungono
in frazioni di secondo, la tua voce
sempre più tersa al passare degli anni.
                              “Che tempo fa nel tuo cuore?”
questo cuore che sai
ma che glissa che evade
perché non sa rispondere perché non c’è
qualcosa come colmare le distanze
c’è solo un tasto rosso da toccare
e il mondo vero che precede e segue
il gesto: questa stanza con un sole
senza senso, compagno della polvere
e dei sogni:
                          di cose inanimate.

§

La memoria degli ultimi è la prima
a scomparire: ultimi come noi
uomini stanchi che cedono
alla disgrazia del tempo.
Scrivere e tramandare non si equivalgono
più: pensiamo di potere ma non possiamo
fissare la catena del ricordo
che si inanella a ritroso gettandosi
in un vuoto in una nebbia.
Anche noi cadremo in questa sorte
basterà un nipote e suo figlio bambino
a cui nessuno dirà il nostro nome –
questo
                questo sarà sbiadire
                aver vissuto per un altro mondo.

§

I miei versi erano questo
o questo suggerivano
nel maggio che ho scritto a malapena
se la parola non rivolta la zolla
e il vomere si incastra nell’inverno –
eppure, i miei versi sono questi ancora
negli intermezzi di acquazzoni
alla finestra spalancata
come bocca urlante –
                                       di fronte
la vita che si ostina si tramanda
in povere inconsce resistenze:
il vecchio in tuta si difende
dalla breccia del sole
e due bambini saltano sul letto
come piccoli bioccoli di riso
come altri fiocchi
in questo vortice di polline
lui fecondandomi
                                          di nuovo oggi
la mente la mano la matita


Massimo Del Prete (Taranto, 1993) ha vissuto a Martina Franca, in Puglia, e attualmente abita e lavora a Milano. È laureato in Ingegneria chimica presso l’Università di Pisa e in Storia della
Lingua Italiana presso l’Università degli Studi di Milano. Ha pubblicato nel 2018 la sua prima raccolta poetica, Soglie (Ladolfi). È incluso nell’antologia Abitare la parola. Poeti nati negli anni
Novanta, a cura di Eleonora Rimolo e Giovanni Ibello (Ladolfi, 2019), e in Distanze obliterateGenerazioni di poesie sulla rete, a cura di AlmaPoesia (Puntoacapo, 2021). Alcuni suoi inediti sono comparsi su «Atelier». «Medium Poesia» e sulla ‘Bottega di Poesia’ de «La Repubblica», a cura di Vittorino Curci. Per il blog «Menti Sommerse» ha curato dal 2019 al 2021 la rubrica di approfondimento poetico ‘Camera Oscura’.

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