Gli scomparsi sono i libri che non abbiamo mai saputo di voler ritrovare: libri dimenticati, libri fuori edizione, libri introvabili, libri mai tradotti, libri trascurati. Ogni settimana qualche brano da un libro“scomparso”, nella speranza che questo piccolo spazio nascosto possa contribuire a riesumarne qualcuno.
Edoardo Pisani

Il libro di oggi è doppio: Hijos sin hijos, di Enrique Vila-Matas, uno dei suoi libri più belli, pubblicato nel 1993 e mai tradotto in italiano, e Dietario voluble, sempre di Vila-Matas, uscito nel 2008 e anch’esso inedito in Italia. Hijos sin hijos, cioè Figli senza figli, è una raccolta di racconti che ruota intorno a diverse citazioni di Franz Kafka; è al tempo stesso un gioco e una passeggiata letteraria, come sempre in Vila-Matas. Traduciamo un brevissimo racconto intitolato Segnali di identità. Dietario voluble invece è una specie di diario letterario (e filosofico) di cui proponiamo un brano riguardante un divertente incrocio fra Vila-Matas e Claudio Magris.
Segnali di identità, da Hijos sin hijos
L’America è soprattutto una grossa farsa.
Walter Banjamin
Non ho conservato alcun ricordo di quell’anno se non che ci furono delle elezioni e che qualcuno, in una notte che mi parve infinita, giurò e rigiurò che ero catalano. Svoltavo all’angolo di una strada. La tramontana soffiava forte, e mi ricordai che nella mia giovinezza desideravo essere molte persone e molti luoghi alla volta, perché essere una sola persona mi sembrava ben poco. Svoltando a un altro angolo di strada e facendomi frustare più violentemente che mai dal vento, constatai qualcosa che sospettavo da tempo. Siamo troppo simili a noi stessi, e corriamo il rischio di finire per assomigliarci troppo. Man mano che avanziamo nella vita le stesse manie e lo stesso insignificante personaggio si fissano sempre di più. Svoltavo ancora a un angolo di strada e da allora non mi sono ancora svegliato da quest’incubo che consiste nello svegliarmi da un incubo e nel vedere che sono sempre nel circo di Oklahoma, e che non c’è via d’uscita.
da Dietario voluble
Claudio Magris di notte a Roma, appena arrivato dalla Finlandia. Sa che quest’estate ho trascorso una settimana a Helsinki. Si mischiano i rispettivi ricordi e confermo che la Finlandia unisce perché crea dipendenze e entusiasmi. È sabato sei ottobre. Piove in una Roma grigia, malinconica, con uno strano cielo color cenere. Ci troviamo nel mezzo di un ballo di ombrelli che entrano nel teatro Parioli, dove si consegnano i premi Elsa Morante di quest’anno, che Magris riceve nella modalità “alla carriera” (per la totalità della sua opera), modalità sulla quale ironizza dicendo che la distinzione gli ricorda una ragazza che l’altro giorno gli ha detto: “Sa che si è diplomato con mia nonna?” Dice che nemmeno ventiquattro ore fa vagava con suo figlio maggiore in un bosco finlandese, cercando funghi, e che per distinguere fra quelli commestibili e quelli velenosi si lasciava guidare dalle istruzioni di un libro ben ragguagliato sul tema. E io me lo immagino con il libro in una mano – è incredibile fin dove può arrivare la fiducia nella parola scritta – e l’altra libera per strappare il fungo appena incontrato e farlo passare per il filtro dell’esame libresco. Vita e letteratura, più unite che mai, legate strette da questa perfetta scena di un’escursione finlandese. La vita che dipende pericolosamente da un filo, o meglio, la vita che dipende da un libro apparentemente pieno di senso. E come non pensare a qualcosa che sentii dire dallo stesso Magris, lo scorso aprile? “La letteratura non salva la vita, però può darle un senso.” Non c’è citazione che sintetizzi meglio la sua visione del rapporto intimo fra vita e esistenza. D’un tratto si ricorda di quando l’inverno scorso confuse il mio cappotto con il suo. Gli rispondo che da quel giorno indosso il mio cappotto con grande orgoglio e a chi vuole saperlo dico: “Mi chiamo Claudio Magris, come tutti quanti.” Magris sorride, probabilmente sconcertato.
(“Per questo me ne vado. Ma resto qui.” Enrique Vila-Matas, Dalla città nervosa. E con queste parole la rubrica de Gli scomparsi si concede una piccola – forse non meritata – pausa estiva).