Gli scomparsi sono i libri che non abbiamo mai saputo di voler ritrovare: libri dimenticati, libri fuori edizione, libri introvabili, libri mai tradotti, libri trascurati. Ogni settimana qualche brano da un libro“scomparso”, nella speranza che questo piccolo spazio nascosto possa contribuire a riesumarne qualcuno.
Edoardo Pisani

Il libro di oggi è Soltanto le parole, il carteggio di Ennio Flaiano, purtroppo ormai introvabile. Proponiamo uno scambio tra Flaiano e una giovanissima Ginevra Bompiani, che gli aveva dato alcuni racconti in lettura. Il racconto della lettera è rimasto inedito.
Cara signorina,
Le scrivo su questa carta gialla perché sono un pochino arrabbiato con lei. Ho letto il suo racconto e adesso faremo i conti. Non si stupisca delle cose che le dirò e non mi rimproveri se le dico tutta la verità. Mentire a una persona della sua età sarebbe un grave delitto, quindi niente complimenti. È pronta?
Dunque, ho letto il suo racconto. Mi ha sorpreso perché lei continua a dimostrare un’attenzione per una vita che non è la sua. Mi domando ancora come fa ad immaginare personaggi e rapporti che sono così estranei alla sua esperienza personale, e che la portano a dimostrazioni un pochino astratte, più da commediografo che da narratore. Lei vuole cavare un succo da limoni spremuti e nemmeno suoi. Una intera generazione di romanzieri e di commediografi si è accanita sui rapporti coniugali col romanzo e con la commedia psicologica. Lei, che ha sedici anni, prende già questa strada. Mi domando: che cosa spera di trovarvi? La verità? No, perché i suoi racconti concludono sempre con battute molto abili, quindi dimostra di accontentarsi di una conclusione ad effetto, non “vissuta”, e quindi retorica. Il suo ultimo racconto conclude con una battuta: “Mia moglie – dice il protagonista – è vedova dal giorno del matrimonio” – E con ciò vuol giustificare la sua delusione, la sua vita, i suoi viaggi, il suo odio. Può essere giusto, ma sente lei che è anche troppo poco? che una volta presa questa strada si finisce a Bourget […]?
Se, a questo punto, lei ha resistito alla tentazione di strappare la lettera, posso continuare. Il peggio è passato. Devo anzi farle i miei complimenti perché lei scrive bene, con proprietà di linguaggio, e comunque questo racconto è migliore dell’altro.
Ha un pochino l’impianto di un atto unico, non di un racconto, ma insomma va bene. Ma lei è giovane e perché non fa dunque convergere i suoi interessi verso il mondo che le è più vicino e di cui sappiamo tanto poco? Perché non si affida più al suo occhio che alla sua immaginazione? In poche parole, lei ha davanti a sé anni e anni di lavoro proficuo da svolgere. Non cominci dalla parte sbagliata, non guardi avanti, si guardi intorno. Sfugga la “novella”, che presume sempre una conclusione letteraria o sentimentale, e vada verso il racconto, cioè verso i fatti, non cercando per ora di interpretarli, ma porgendoli in modo che offrano da sé stessi, per la loro scelta, un’interpretazione. Non so se mi sono fatto capire.
Io vorrei dirle cose che la incoraggino a scrivere, ma anche a metter ordine nelle sue idee. Forse sono cose che scrivo anche per me e quindi non se l’abbia a male. Ha mai fatto da bambina quel gioco che si chiama “la visita”? I bambini si vestono col cappello e le scarpe del padre, le bambine mettono il cappello e la pelliccia della madre, si danno un po’ di trucco e di cipria e poi cominciano a parlare: parlano di bambini, di balli, di villeggiature, eccetera. Prendono il tè, mangiano biscotti.
Volevo dirle che i suoi racconti mi fanno un pochino pensare alla “visita”. C’è insomma in essi un desiderio di contraffazione che mi turba. Lei evidentemente è bravissima in questo giuoco e se non conoscessi la sua età potrei anche pensare che lei è una signora già fatta. Ma ogni tanto, nella conversazione, lascia cadere piccole frasi, oh, inezie, che chiariscono meglio la sua giovane età e fanno intravedere il giuoco.
Morale: lei è giovane, scrive bene. Perché si interessa di personaggi, di argomenti che non sono “suoi”, cioè non passati attraverso la sua esperienza e la sua vita? Così rischia di scivolare nel già fatto e se per ora a salvarla sono le sue indubbie qualità di gusto e di misura, domani lei potrebbe restare vittima di un equivoco. Nel suo racconto, così difficile, perché tocca i rapporti tra due coniughi, lei sfiora di continuo la verità, ma questa verità non viene mai fuori alla fine perché si sente che lei non l’ha sofferta o veduta soffrire. O comunque, ammettendo che lei l’abbia sofferta o veduta soffrire, questo non si vede: manca l’aria attorno alla sua dimostrazione, manca l’atmosfera. I personaggi non hanno nome, non hanno casa, non si sa in che epoca vivono, non c’è insomma un’osservazione reale dei fatti. Lei si tiene a mille metri da terra. Lei vuole dimostrare qualcosa, ma omette i termini del problema, come se già li conoscessimo. Lei vuol arrivare all’essenziale. Questo è molto difficile.
Probabilmente il giuoco le sarebbe riuscito meglio se lei avesse cominciato a narrare la sua storia dal giorno delle nozze, si fosse cioè posta davanti al problema. Forse il racconto sarebbe stato più lungo, o più corto, ma non risulterebbe “enunciato”, e per bocca del protagonista.
Cara signorina, avrei molte cose da dirle, ma per oggi basta. Forse lei si sarà abbastanza annoiata. E io non pretendo che mi dia ragione, ci mancherebbe altro. So che è molto difficile resistere alla voglia di pensare che è comodo criticare, bisogna fare. Ora, lei è troppo brava, e non capisco se si rende esattamente conto delle sue qualità e se non le stia sciupando. Ecco tutto.
Aggiungerò che lei non mi sembra lontana dai problemi d’oggi, che vede la vita come un rapporto tra noi stessi e la realtà e cerca di spiegarseli. Ma allora abbia il coraggio di una dimostrazione più forte. Faccia un racconto su una ragazza della sua età, sui luoghi e gli ambienti che conosce, non abbia timore di apparire banale in questo senso. Se lei mette il suo ingegno al servizio di argomenti che sa di poter “dominare” (ma per ora non osa affrontare), farà cose sempre più belle. Questo è l’augurio che le faccio, pregandola di prendere questa mia lettera come lo sfogo di un vecchio zio – o di un narratore fallito.
La prego di salutare i suoi Genitori e si abbia una cordiale stretta di mano dal
suo
Ennio Flaiano
Milano 21.12.57
Caro signor Flaiano,
sono ben lontana dal toglierle il saluto! Anzi la ringrazio con tutto il cuore della sua magnifica lettera. Non le dico che ha ragione perché lei non vuole che glielo dica. Le dico soltanto che essendo riuscita a star ferma fino alla fine, le sono molto grata e sono molto contenta che mi abbia detto tutte quelle cose. Con un giorno di ritardo è arrivato il suo telegramma che mi ha commosso. Non so proprio come ringraziarla, non solo della sua lunga lettera, ma della sua preoccupazione che potesse dispiacermi.
Vorrei farle capire che cosa straordinaria e splendida è questa per me, e quanto sia felice di tutto quello che mi ha detto, anche delle critiche. Lei vuole che mi difenda e cercherò di farlo, almeno un po’!
Prima cosa, lei dice di essere sorpreso che io mi occupi di vite e personaggi che non sono miei, che non “conosco”. Bene, questa novella non è nata tanto per i personaggi (questo è un difetto, lo so) quanto per il sentimento del marito, che non ho immaginato, ma sentito, io, per prima. Ho voluto trasferire lo stesso disagio che avevo provato io, in una situazione diversa, in cui diventasse un fatto più grave, decisivo. Questo anche perché non potrei mai descrivere un fatto accaduto a me così come mi è accaduto. Per questo ogni tanto avvengono delle strane trasposizioni.
Per mia semi-discolpa dirò che questa novella l’ho scritta quasi due anni fa, e l’ho soltanto corretta ora, e che in quest’ultimo periodo mi sto convincendo di quello che
lei dice. […] Mi chiede perché non parlo dei giovani e del mondo che conosco. Le posso spiegare perché non ne parlavo fino all’anno scorso: perché ero troppo in mezzo a quel mondo e non si può parlare di qualcosa che si vive, mentre lo si vive. E poi, che cos’è meglio? Immaginare dei fatti e dei personaggi che sono soltanto miei, a cui però cerco di dare tutto quello che devono avere, meglio dire di renderli completi; o parlare di qualcosa che si è avvicinato, ma non per questo conosciuto, e che perciò rimarrebbe incompleto come tutto quello che si conosce direttamente? Non creda che io pensi già la risposta, glielo chiedo perché non lo so.
Lei mi dice di guardarmi intorno. È vero, io non so guardare, so ricordare, cioè non vedo quello che mi obbligo a guardare, e quindi in un certo modo scelgo prima. Se vedo qualcosa però, non lo vedo al momento, ma mi ritorna poi, così tutto quello che ho vissuto c’è insensibilmente in tutto quello che scrivo. Anche se lo sembrano, non sono fatti estranei, che non mi coinvolgano.
Lei mi chiede anche un’altra cosa, se cerco “la verità”, e risponde subito di no. Le sembrerà stupido, ma io credo di sì. Per lo meno una verità, di rapporti e non di conclusioni, le conclusioni non mi interessano. Cerco di descriverli, per chiarirli a me stessa, i rapporti falsi, sbagliati, quelli che ormai sono comuni, insomma i rapporti standardizzati. È vero quello che lei dice, che cioè vedo la vita come un rapporto tra la realtà e noi, e penso anche che il rapporto sia la cosa più importante in questo momento; o per lo meno lo credevo quando ho scritto questa novella.
E se non è ambientata, se non ha “nomi” è perché non mi interessava altro che questo. La prego di scusarmi se mi sono spiegata male, in realtà penso veramente che lei abbia ragione, e la ringrazio di chiarire le mie idee che sono così confuse.
La ringrazio infinitamente di tutto e spero di vederla a Roma quando ci verrò
Ginevra
(Strana figura di letterata, Ginevra Bompiani, figlia di un editore e scrittrice e quindi
editore a sua volta; ha tradotto autori “estremi” quali Céline e Artaud e tuttavia ha
scritto libri misurati e belli – anch’essi spesso scomparsi dalle librerie – come La specie
del sonno o L’incantato. Quanto a Ennio Flaiano, il suo epistolario è forse il libro più
misterioso di questa nostra piccola biblioteca di libri perduti).