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Una vita nuova

26 febbraio 2016

 

L: «Vastià, ma gliel’hai già detto a tuo figlio?»
S: «Che cosa?»
L: «Come che cosa?», chiede mia madre in modo serio.
M: «Che c’è Vastià? Che mi dovevi dire?»
L: «Guarda che tanto prima o poi glielo devi dire.»
S: «Ma cosa?», chiede mio padre perplesso. Io li guardo e inizio a pensare che forse mio padre sta nascondendo qualcosa che ha a che fare con i loro problemi di salute.
L: «Anche perché poi finisce che lo scopre da solo.»
M: «Vastià, e che mi devi dire?»
S: «E che ne so chesta che vaje ricenno
Guardo mia madre che continua a mangiare come se niente fosse, con un’espressione tranquilla e seriosa al tempo stesso, e le chiedo se non faccia prima a dirmelo direttamente lei.
L: «Che faccio, glielo dico io?»
S: «Diglielo, così capiamo che tieni in testa…»
L: «Uagliò, tu non lo sai, ma quando era giovane tuo padre ha votato comunista.»
Io scoppio a ridere e Sebastiano, quasi a difendersi, risponde subito: «No, no, no.»
M: «Eh, ma se lo dice lei! Parli, parli, e alla fine scopriamo che eri comunista anche tu.»
S: «No, macché comunista! Era il Partito Socialista Democratico Italiano.»
L: «Vabbè, non era proprio comunista, ma poco ci manca.»
M: «Quella dei socialdemocratici me l’aveva già raccontata…»
L: «Che la mamma non voleva e lui… Ti ricordi?», chiede rivolta a mio padre. «Ha fatto anche lui la sua parte, non credere.»
S: «È che allora non c’erano soldi, non c’era niente. Io ero anche orfano di guerra e la situazione non era mica facile. Un giorno arrivano questi e dicono che vogliono aprire una sezione sott’ a’ l’orti e ci pensano loro a mettere i soldi, con la televisione e tutto quanto il resto. Io ho pensato subito che poteva essere l’occasione giusta.»
L: «E la mamma, poverina, non voleva.»
M: «Perché non voleva?»
S: «Eh, lo sai, allora c’erano i democristiani e lei era più democristiana.»

In pratica è successo che, nel 1956, Vittorio “l’esattore” fermò Sebastiano e gli fece una proposta.
«Uagliò, tu non tieni ancora diciott’anni, è luvero
«No, ne tengo sirece e miez’.»
«Perfetto. Allora devi fare una cosa per noi.»
«Che avita fa’?»
«Sebastià, dobbiamo fare pulizia ‘ngoppa allu cumune
«E che vulite ra me
«Tu è parlà abbasc’ alla chiazza. A te non possono fare niente perché sei ancora minorenne e puoi dire tutto quello che vuoi.»
Il giorno prima Vittorio aveva parlato con il maresciallo: «Se resta sul vago, il ragazzo può dire tutto quello che vuole e nessuno gli può fare nulla. Ma se dice calunnie, è passibile di denuncia. Quindi state attenti a quello che gli farete dire».
Così, aveva preparato un discorso che mio padre avrebbe dovuto leggere durante un comizio. Era un discorso che spiegava per quale motivo non bisognava votare per Vincenzo, “il professore”.
Vittorio propose a mio madre anche di occuparsi della sezione del Psdi in qualità di segretario, prendendo una piccola provvigione per ogni nuovo tesserato. A lui, però, la cosa non interessava più di tanto.
«Non ti interessa che ti paghiamo?»
«No, non mi interessa.»
«E cosa vuoi?»
«Io una vita di merda qua non la voglio fare. Non voglio nessun aiuto ma mi dovete dare il nome di un referente a Milano a cui possono rivolgermi per fare un colloquio e cercare un lavoro. Al resto ci penso io.»
Gli promise che, se il loro candidato fosse stato nominato consigliere regionale, mio padre avrebbe avuto un numero di telefono da contattare, senza nessun impegno. Così Sebastiano aiutò a far convergere quante più preferenze possibili.
Quell’anno il Psdi, invece dei soliti 170/180 voti, ne prese 550 contro i 440 della Dc.
L: «Con quella sezione tuo padre si è fatto diversi nemici. Non eravamo ancora fidanzati ma lui mi faceva già il filo. E io non lo volevo anche per quello», aggiunge mia madre ridendo.

Mi racconta che tenne un comizio in una piazza tutta piena, con la gente che si chiedeva «Ma che cazzo adda rice stu uaglione?».
Provarono anche a corromperlo, parlandogli di un concorso alla Prefettura di Ariano e della possibilità di diventare vigile.
«No, dopo le elezioni del consiglio regionale me ne vado a Milano.»
«Hai già trovato lavoro?»
«No, ho un numero di telefono per fissare un colloquio.»
«Guarda che qui c’è il concorso e tu sei orfano di guerra, ti facciamo assumere. Meglio che fare un viaggio a vuoto e buttare via i soldi!»
Mio padre, con la galanteria che tirava fuori nei momenti adatti, rispose: «Viciè, a me non me ne fotte un cazzo di quello che mi vuoi offrire. A quel concorso partecipa mio cugino che ha un figlio e io non gli frego il lavoro così per fare un favore a te.»

Alla fine, l’8 novembre del 1957 mio padre è partito da Zungoli in direzione Milano. Aveva compiuto diciotto anni da poco più di due settimane. In tasca aveva l’indirizzo per un colloquio di lavoro e le cinquantamila lire che gli aveva dato suo nonno Nicola. L’accordo era che se non avesse trovato un lavoro, una volta finiti quei soldi se ne sarebbe tornato giù al paese per aiutarlo a lavorare nei campi.
Parlò con il signor Casale che gli fissò un colloquio, dicendo che se non fosse andato bene non lo avrebbe potuto aiutare in nessun modo.

Trovò una pensione in Via Giardina 1, dalla signora Gina. Gli diede una camera singola per 7000 lire al mese e pagava 250 lire per i pasti. Pagò un mese anticipato, perché era meridionale.
M: «E poi?»
S: «E poi ho iniziato all’Ibm il corso da programmatore. È andata bene perché stava iniziando la meccanizzazione dei comuni. E anche se non ero diplomato, ero abbastanza sveglio da risultare il più bravo.»
Racconta che, quando firmò il contratto, prese l’83 dalla stazione e, una volta sceso al capolinea, camminò a piedi per un chilometro e mezzo.
S: «Ho attraversato il Lambro e, una volta arrivato in pensione, ho chiamato tua madre.»
M: «E che le hai detto?»
S: «Che avevo trovato un lavoro e che Milano era bella. Le dissi che si doveva preparare perché prima o poi sarei passato a prenderla per portarla con me.»
M: «Ma’, e tu che hai risposto?»
L: «Che aveva sbagliato numero.»

© Marco Annicchiarico

 

Per chi non ha mai letto la rubrica Caregiver Whisper, può recuperare da questo link.

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