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Boezio, De consolatione philosophiae, I.1

Trad. di Luciano Mazziotta

Boetius

I versi che un tempo con zelo morboso intrecciai,
piangendo, oh, adesso, converto, costretto, in tonalità tristi.
Camene lacere ecco che a me suggeriscono le cose da scrivere
e solo elegie mi segnano il volto di lacrime vere.
Nessuna paura ha potuto mai spingere quelle,
a non seguirmi, compagne fidate, nel mio cammino.
Luce della mia spensierata e un tempo felice adolescenza,
ora consolano il necessario cadere di vecchio angosciato.
Inopportuna è arrivata la maturità, affrettata dal male
e il dolore ha ordinato che scadesse il mio tempo.
All’improvviso cadono i capelli dal capo
e pelle marcita trema sul corpo disfatto.
Felice per gli uomini la morte che non feconda
il fiore degli anni gentili, e nei tristi scende sempre invocata.
Maledetta quella che sorda stravolge i miseri avanzi
e crudele rifiuta di chiudere gli occhi che piangono.
Quando l’ipocrita sorte mi inorgogliva con beni da niente
qualche ora triste soltanto mi cingeva la testa.
Ora che ha svelato, tra le tempeste, la sua faccia d’inganno
questa inutile vita prolunga i suoi anni sgraditi.
Perché, amici, mi diceste felice? Non ditelo più.
Non aveva passo sicuro, colui che è caduto.
Quí cecidít, stabilí nón erat ílle gradú.

 

 

I.

Carmina qui quondam studio florente peregi,
flebilis heu maestos cogor inire modos.
Ecce mihi lacerae dictant scribenda Cameneae
et veris elegi fletibus ora rigant.
Has saltem nullus potuit pervincere terror,
ne nostrum comites prosequerentur iter.
Gloria felicis olim viridisque iuventae
solantur maesti nunc mea fata senis.
Venit enim properata malis inopina senectus
et dolor aetatem iussit inesse suam.
Intempestivi funduntur vertice cani
et tremit effeto corpore laxa cutis.
Mors hominum felix quae se nec dulcibus annis
inserit et maestis saepe vocata venit.
Eheu quam surda miseres avertitur aure
et flentes oculos claudere saeva negat.
Dum levibus male fida bonis fortuna faveret,
paene caput tristis merserat hora meum.
Nunc quia fallacem mutavit nubila vultum,
protrahit ingratas impia vita moras.
Quid me felicem totiens iactastis amici?
Qui cecidit, stabili non erat ille gradu.

(da Severino Boezio, La consolazione della filosofia, Traduzione e commento a cura di C. Moreschini, Torino 2006)

Una replica a “Boezio, De consolatione philosophiae, I.1”