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Pasquale Vitagliano, Poeti del Sud: dal Meridionalismo alla poesia della “diaspora”

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Pasquale Vitagliano e Luciano Nota – “Erato a Matera”, 13 agosto 2015

Pasquale Vitagliano, Poeti del Sud: dal Meridionalismo alla poesia della “diaspora”

Scrivendo di questione nazionale e di questione meridionale, Antonio Gramsci riteneva che in Italia è mancata una cultura nazionale e popolare, perché gli intellettuali italiani sono stati o cosmopoliti, “globalizzati” diremmo oggi, o provinciali, portati a credere che il proprio cortile urbano sia il centro del mondo.
La poesia meridionale non è stata né cosmopolita, dunque lontana dalle correnti d’avanguardia e neo-avanguardia nel Novecento, e neppure provinciale, ovvero unicamente legata ad “un” territorio (come la poesia vernacolare, regionale).
Se una parola, invece, può definire la linea poetica meridionale è “diaspora” (“migrazione di un popolo”), tanto fisica, quanto intellettuale. Fisica perché molti autori hanno operato lontano dal proprio luogo di origine, intellettuale in quanto quasi tutti hanno dovuto fare i conti con il proprio territorio vissuto come limite (la leopardiana “siepe”) e dunque si sono continuamente confrontati con l’ “altrove”.
La “diaspora” ha, col tempo, dimenticato il dolore dell’abbandono e dell’amputazione, reso fertile la linea poetica meridionale, anzi vorrei dire, perché non amo le classificazione, della poesia dei meridionali. Non è un caso che il significato letterale della parola greca è “disseminare”. Il che anticipa la convinzione espressa da Dante Maffia che la poesia autentica è quella che “insemina” l’anima del lettore, portandolo a guardare il mondo con una visione rinnovata.
Prendiamo in considerazione due autori come Bartolo Cattafi e Vittorio Bodini. In entrambi la poetica risente di questo confronto permanente tra il territorio al quale si appartiene (di cui si sperimenta l’abbandono) e un “altrove” fisico e intellettuale (orizzonte toccato o solo agognato).

Da Partenza da Grenwich

 

Si parte sempre da Greenwich
dallo zero segnato in ogni carta e in questo
grigio sereno colore d’Inghilterra.
Armi e bagagli, belle
speranze a prua,
sprezzando le tavole dei numeri
i calcoli che scattano scorrevoli
come toppe addolcite
da un olio armonioso, in un’esatta
prigione.

Da Tutto un paese sorge contro un uomo

Tutto un paese sorge contro un uomo
condannato al coraggio:
le torri aragonesi a rombo sulla scogliera
e le case alte un palmo
(e doverti pregare di sorridere!),
come il cucito su cui cade a picco
il profilo severo delle cucitrici
in una poca luce d’oleandri.
Mi sarebbe costato meno uccidere,
in quest’inefficace lume di luna
schiacciata ai poli e preda di vapori
d’un rissoso occidente,
che dover dire: «un uomo come me » (…)

Questa centralità del limite inquadra questa breve riflessione dentro la storica “Questione Meridionale”.

Leggiamo altri due autori, Rocco Scotellaro e Salvatore Toma: due poetiche opposte dentro due momenti storici di transizione, gli anno ’50 e gli anno ’70, eppure entrambe contenute all’interno di una comune anima. In Scotellaro il privato diventa pubblico, in Toma il pubblico scompare, anzi viene annullato, annichilito, respinto.

Da È fatto giorno

È fatto giorno, siamo entrati in giuoco anche noi
con i panni e le scarpe e le facce che avevamo.
Le lepri si sono ritirate e i galli cantano,
ritorna la faccia di mia madre al focolare.

Da Canzoniere della Morte

Un giorno di questi
comanderò,
come un Dio
tutto vorrò comparato.
Capre galline
voleranno sulle teste
umane come rettili nei fiumi
e fra le aride rocce
un giorno di questi comincerò.

La poesia meridionale sta vivendo un momento di attenzione. Sono state pubblicate antologie dedicate e di grande utilità è stata la mappatura dei poeti meridionali del Novecento realizzata da Carteggi Letterari. Michelangelo Zizzi ha parlato di “linea borbonica” e Giorgio Linguaglossa di “definitiva emancipazione della poesia del Sud da quella di Roma e di Milano”.
Al di là delle classificazioni – che possiedono l’utilità del poi – credo che un dato possa essere considerato acquisito: l’ “alterità” della poesia dei meridionali la rende molto attuale nella sua forza “post-moderna”. Crollato il mito modernista rappresentato simbolicamente dall’ ILVA di Taranto, la nostra poesia non ha più ideologie da servire. Non solo “il Sud si è smarcato dal periferico”. Il Sud si è principalmente smarcato dal Moderno.
La poesia del Sud è poesia della diaspora, e come tale è territoriale senza essere periferica, è civile senza essere ideologica, è innovativa senza essere canonica, è sincretica (si prenda ad esempio Joseph Tusiani) senza diventare indistinta.
La poesia del Sud possiede oggi una grande potenzialità. L’ha intuita e vissuta Carlo Levi nella sua diaspora capovolta. Lui,  figlio della Torino illuminista e cosmopolita,  sceglie di venire sepolto ad Aliano, non per scelta provinciale, ma per vocazione nazionale.
La poesia del Sud ha tutta la forza per risolvere il dilemma di Gramsci: proporsi come parte fondante di un’autentica cultura nazionale e popolare.

*Relazione tenuta in occasione della giornata “Erato a Materia“, 13 agosto 2015

2 risposte a “Pasquale Vitagliano, Poeti del Sud: dal Meridionalismo alla poesia della “diaspora””

  1. Segnalo i miei numerosi volumi. Paolo Saggese.
    E l’attività del Centro di Documentazione sulla Poesia del Sud.

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