La misura del danno – Intervista ad Andrea Pomella*
di Anna Maria Curci
Quanto costa il ferro? è il titolo di un atto unico di Brecht che getta una luce cruda e verissima sulle potenze europee alla vigilia del secondo conflitto mondiale. Nel leggerlo – finora sono state pochissime le rappresentazioni della pièce in questione – si comprende quale sia il significato , nell’economia della trama, da attribuire al quesito: “Quanto costa il ferro?” è la domanda che “il cliente” (la Germania hitleriana) rivolge costantemente al signor Svendson, che rappresenta la Svezia. Svendson, “annichilito” nelle indicazioni di regia di Brecht, sarà costretto al termine della vicenda a rispondere “Niente”. Tuttavia, se ampliamo il raggio d’azione della domanda, si schiudono dinanzi a noi ulteriori utilissimi percorsi di riflessione circa responsabilità, azioni e omissioni degli attori della storia, che nel caso specifico è la Storia di schieramenti, calcoli minuti, prevaricazioni e furbizie, velleità e viltà che hanno portato alla tragedia della seconda guerra mondiale. Un discorso analogo va fatto, a mio parere, per il titolo del romanzo di Andrea Pomella, La misura del danno (Fernandel 2013). A quanto ammonta il danno causato dal protagonista, Alessandro Mantovani, alla quindicenne Beatrice Belfiore? Al termine della lettura si trova una risposta precisa a questa domanda, ma è lecito chiedersi, per chi legge le vicende narrate in tutto il libro, che si compone di due parti e di un epilogo, vicende che nella prima parte presentano numerosi flashback a intervallare, contestualizzare, approfondire con ritmo sicuro, se solo a quel danno si intenda fare riferimento, se esclusivamente di quel danno si chieda il risarcimento. L’impressione, ben documentata e argomentata, del resto, dallo stesso autore in narrazioni e digressioni, è che di un danno ben più ampio si tratti, di un pervasivo e permanente “tanfo inodore” che non risparmia nessuno (con l’eccezione, la speranza è lecita, di Gino Mantovani, padre di Alessandro e cassintegrato dell’Autovox).
Il perché Alessandro si sia lasciato scivolare nella “colpa” proprio quando “le cose andavano così bene”, è composto da motivi di ordine differente. Sentirsi perennemente fuori, sia dall’ambiente di origine, sia da quello dell’approdo nel corso di una carriera rosea di attore, iniziata come Willie Aames “de noantri”, è senz’altro un movente importante, ma non l’unico. Lo sguardo di chi legge deve necessariamente essere mobile e desto, aumentare o diminuire la distanza, cambiare l’angolo di visuale, per poter cogliere tutti gli indizi, sparsi generosamente, mai casualmente.
L’incontro con Andrea Pomella il 14 giugno 2015 al “Villaggio Cultura – Pentatonic” è stata l’occasione per mettere a fuoco dunque, con il suo aiuto, alcuni indizi, di diversa natura.
AMC: Inizierei con il contesto storico intrecciato ad alcuni dati biografici. La discesa in campo di sua emittenza Berlusconi, Achille Occhetto e la svolta della Bolognina, le elezioni politiche del 1994 fanno da sfondo ai mesi immediatamente precedenti le nozze di Alessandro con Francesca. Entrambi hanno all’epoca 21 anni, risultano dunque essere tuoi coetanei, Andrea. Quale ragione ha prevalso in questa tua scelta?
AP: Per me e per i miei coetanei il ventennio berlusconiano è coinciso con gli anni in cui un uomo dovrebbe acquisire la propria maturità, quelli che vanno dai venti ai quaranta. E invece in quel ventennio abbiamo assistito a uno sdoganamento dei vizi più puerili. Politici e personaggi pubblici in là con gli anni hanno iniziato a rivendicare una loro gioiosa immaturità, un mito della gioventù perpetua. Sono diventato un uomo mentre l’Italia regrediva a uno scellerato infantilismo. In questo senso era fondamentale che il protagonista del mio romanzo avesse non tanto la mia età, ma quella precisa età.
AMC: La corrispondenza tra micromondi e macrosistemi nella parabola da Villa Spada a Vigna Clara e ritorno: dedichi pagine dense ed efficaci a entrambi i quartieri, descritti con veritiera precisione e, allo stesso tempo, dotati di una carica simbolica. Anche in questo caso ti chiedo le motivazioni che ti hanno portato a individuare proprio questi due quartieri.
AP: Per il romanzo mi servivano una borgata e un quartiere borghese. Personalmente sono cresciuto in una borgata che non era Villa Spada, ma non era importante che nel romanzo ci fosse la mia borgata, negli anni Ottanta le borgate si assomigliavano tutte fra loro. Tra i quartieri borghesi di Roma ci sono invece delle differenze. Vigna Clara è un posto in cui vive molta gente dello spettacolo, commercianti “arrivati”, calciatori. È diverso, per esempio, dall’aristocrazia nera che popola i Parioli, o dagli avvocati di Prati. Non c’era, credo, in tutta Roma un posto più indicato di Vigna Clara per ambientare la parabola di un attore di successo.
AMC: I riferimenti letterari o, ancor più dettagliatamente, a temi e topoi letterari – parlo di delitto e castigo, di seduzione e patto diabolico, di noia e inettitudine – sono una delizia per chi legge. Non restano mai fini a se stessi, ma risvegliano collegamenti con la cronaca del passato (a chi appartiene alla mia generazione il collegamento tra Sabaudia, luogo in cui si consuma il “danno”, e i fatti tragici del Circeo è quasi automatico) e del presente, che in alcuni casi mi sono sembrati addirittura profetici. Quale, tra i tanti, è a te più caro? A quale di questi vuoi accennare?
AP: La bellezza dei topoi letterari risiede nel fatto che i più diffusi si riscontrano in epoche e culture distanti tra loro. Anche la cronaca ha dei topoi. Ma certi fatti non appartengono in via esclusiva a Roma né a una determinata epoca. È l’insieme di questi fatti che fonda però l’immaginario di una città e di un’epoca. A me diverte molto indagare su come avviene la formazione di queste identità, capire quali sono i tocchi di pennello sui quali insistere perché daranno al quadro, una volta completato, il giusto tono.
* L’articolo è nato dalla conversazione avuta con Andrea Pomella, che ringrazio, all’Associazione “Villaggio Cultura – Pentatonic” di Roma, il 14 giugno 2015, occasione in cui ho avuto il piacere di presentare il suo libro La misura del danno.
