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Viola Amarelli, Cartografie

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Viola Amarelli, Cartografie 

Nota di lettura di Anna Maria Curci

L’esistenza e i suoi scenari si manifestano sovente come tenaci ingombri, materiali incoerenti. Dinanzi a questa constatazione, nella quale ci imbattiamo con una certa frequenza, per caso o per ricerca, la possibilità di reazione non è unica né univoca. Piuttosto diffusa appare, se si volge lo sguardo intorno, l’oscillazione tra resa dolente e mimetismo compiaciuto. Né nell’una né nell’altro ci si imbatte percorrendo le Cartografie, «mappe per solitari» di Viola Amarelli. Situazioni e tipi, voci e silenzi, la materia bizzarra e di varia natura che concorre a costruire qui la «geografia umana della solitudine», tutto questo ha un denominatore comune, una lucidità sobria ma non sbrigativa e una sicura maestria nell’immersione, il taglio preciso della consapevolezza. Il moto conoscitivo procede senza tentennamenti e si avvale di vie d’accesso e canali percettivi diversi. Diversi perché differenti tra loro, diversi perché si discostano da ciò che comunemente intendiamo per ‘normale sentire’ o lo superano tout court. Mai involontariamente: chi scrive ha salde in mano le briglie della materia narrativa ovvero, per restare nella struttura portante del volume, la penna del geografo che disegna la mappa.

La sicurezza nell’identificare e differenziare punti di vista deriva senz’altro dall’abitudine a un’osservazione dettagliata: è significativa, a questo proposito, l’immagine di copertina di Orfeo Soldati, che ritrae una figura femminile, di spalle, dinanzi alla vetrina di uno spazio espositivo. Non solo: all’osservazione attenta, che sia di uno stato d’animo, di una condizione, di un fenomeno, di un’opera d’arte, si affianca la volontà di indagare, di andare oltre le apparenze e – adopero qui intenzionalmente un verbo inattuale e deriso perché obsoleto, obsoleto perché deriso – di contestualizzare il dato sensibile. Nell’originale preludio alle Cartografie, che si presenta con il titolo nostra patria, è contenuto l’ampio ventaglio delle possibilità di punti di vista e di basi per l’indagine.

b) Così, il vortice, le luci e i tendini – la statuaria: tenebre e lampi, lanterne lumi radenti: da Caravaggio a Malta, da Roma a Siracusa, passando per Napoli dove arriva dopo – dopo, Jusepe. Corto, tracagnotto, beve ogni tratto, ogni tono e l’ombra: abbrunendo, virando al bianco nero passioni, il gran lombardo già errante, giù a Sud più a sud, già corpo sepolto salendo a un ritorno, lo Spagnoletto che s’innamora e, amando e penetrando, lì dentro i quartieri, a ripercorrere strade vichi e sguardi e morti.

[…]

b) L’ingorgo, un tornado, raggiera di misericordia: un laocoonte di moto, affollato di carne e di ombre. Non l’avrà mai – questa grazia il doppio, l’epigono,  il fascinato. Più glaciale, più fisso, più fermo, più vene, a puntasecca il pennello. Inseguendo, oltre, di là dalla fine. Più felice, di vita. E lavoro. Apparendo. Non così, non così. Merisi aveva alzato il sipario, Ribera da vicino Valencia scendendo deciso lungo un mare ad agri e vescovadi, a richiuderlo, cupo. E stracciato. Non così.

[…]

b) Entrando, alla chiesa, la poverella stesa, deposta, seppellita, una radiosità arcuata, un chiarore diffuso ad affogare, affocata come negli occhi dei ciechi, diluendo, trascolorando la luce. E la vita. Santa Lucia, a Siracusa, stretta finissima a Ortigia, dal cielo di monti a quello africano vicino, vicino, Merisi.

Varietà e precisione nella scelta del punto di vista, della sorgente di illuminazione, nella predisposizione dello sfondo, nella ricostruzione del contesto. E ancora, come è evidente già dal passaggio menzionato, padronanza di ritmo e melodia, creazione e combinazione linguistica. In un luogo centrale nelle Cartografie, sordo, ci si imbatte in un enunciato di ironica auto-delimitazione dell’io narrante:

I sensi. Mi rassicuro, o rassegno, in fin dei conti è lo stesso, come adesso che realizzo d’essere stato sempre un po’ sordo. Alla musica, per esempio, proprio non l’ho mai capita, un mistero ineffabile a cui tributo omaggio giusto perché mi assicurano che è così. Al massimo entro nelle marce, a percussione o a fiati, i bassotuba.

Poco più avanti, tuttavia, spunta un endecasillabo perfetto: «Rock o da camera per me è lo stesso» a confermare nettezza, mancanza di sbavature, movenze alle quali la maestria conferisce una grazia non comune. Sperimentare non è pasticciare: ogni pagina è una conferma di quanto rilevato all’inizio di questa nota. Allitterazioni e assonanze non sono virtuosismi a sé stanti, ma strumenti maneggiati con abilità per costruire senso, in maniera inequivocabile. Eccone un esempio, sempre da nostra patria:

c) Clientes, cordate, clan e date, date. Da sempre l’arraffo. La vita ridotta a una riffa.

Le battute della partitura che sottende ogni tappa delle Cartografie sono brevi, talvolta brevissime, formate da una sola parola. I paragrafi de la lastra e il cristallo ne costituiscono una manifestazione particolarmente significativa. Forniscono, inoltre, indicazioni di rotta di non secondaria importanza, quanto alle regole del gioco delle relazioni interpersonali e a ciò che appare come unica certezza, la solitudine:

La differenza è solo alle regole, il gioco. Lei conosce le regole altrui. Non sono le sue. Quelle, non le conosce né vuole impararle nessuno, figuriamoci lei.

In sottofondo il bisbiglio, costante, non sai se certezza o sospetto. È piombata lì da un altro posto, ignoto, lontano, comunque diverso.

Il cristallo, la lastra, netto l’acquario tra l’iolaltro. Si vede benissimo, ogni dettaglio. Non si può toccarlo.

Nel seguire le mappe disegnate da bozze, brogliaccio e riepilogo di tagli – in parte tradotti in tedesco – affiora il ricordo di quanto Andrea Zanzotto scrisse a proposito di Paul Celan: «i suoi coltelli da pietra da sacrificio messicano»:

bozza 1

Un coltello, da roast-beef. Da decenni taglia affilato. Per caso è della marca migliore. Roba svizzera. La precisione: i tagliagole a mercede hanno bisogno di lame affilate.

[…]

bozza 5

Mi vedete così, sottile, spuntato, con l’elsa lucida. Esco fuori in parata, agli appelli, alle cerimonie. Noiosissimo, fremo. Uno spreco. Mi manca la punta, e l’incrocio di ferro, l’elsa dorata, il fodero da ingrassare. In mano a provetti incapaci. Con mantelli d’annata e nessuna idea. Tutti presi da mine e bazooka. Che mai vedranno. Darei qualunque cosa per essere una baionetta, una roncola, un’ascia, non questo stupido ornato, senz’arte, né parte.

[…]

riepilogo

La punta al carbonio. Taglia netta. Attenta, a margini certi. Va a fondo, risana. Materia nova che scotta, combusta. Placa. Acqua e aria.

Tagli, sì, non compiaciute resezioni. La consapevolezza preclude l’accesso al facile cinismo – e la vicenda ricostruita in da dove lo conferma compiutamente. Anche i colpi di scena sapientemente preparati – o’ svizzero ne è un esempio – non fanno concessioni a mode e correnti.

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Viola Amarelli, Cartografie, editrice ZONA, Arezzo 2013

Una replica a “Viola Amarelli, Cartografie”


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