da “Cos’è il rosso”
Séma-phoròs
La mia fortuna è che so sterzare d’istinto
Starnazzo al pedone:
«Idiota ma lo sai cos’è il rosso?»
e riparto paonazzo
non prima
però
di sentire lieve
ma distinto:
«E tu
lo sai
cos’è il rosso?»
.
La fortezza è uno scatolone Chiquita
«Le città invisibili di Calvino?
Mai sentito, non è mai stato ristampato…»
– mi risponde, ma pensa a sua madre morta
l’anima lasciata ad asciugare sul filo
a Napoli –
(E intanto la Fortezza è uno scatolone chiquita:
un ossuto titillare di polpastrelli
su una balena di ceramica
o su una maschera Bwa
intarsiata da Olaitan o da suo nonno Sou
ma destinata all’avv. dott. Arena
I venditori di poche parole
attori bugiardi
riparati dietro paraventi rabberciati
commerciano pezzi minimi del loro corpo
tempestati di chiodi storti di armadi
foto di «donne-fidanzati-fiori-donne-donne-fidanzati»
una forchetta l’unica nella miriade di miriadi
con ancora una crosta di pomodoro
il dattiloscritto quello originale famoso
che recita All work and no play makes Jack a dull boy
una pipa che non fuma più
un Bodini spiegazzato
Plutotostapane
lo scialle della regina Elisabetta)
«… però ne ho molti altri di Calvino
tutti a prezzo economico, non andartene ti prego
non lasciarmi qua da solo…»
.
da “Il sangue nelle mura”
La radio dice che
………………………………………………………………………………………a mia madre
La radio dice che
nelle vene non corre sangue
ma oro finissimo
ributtante materia fusa:
mia madre ora è meno madre
ma più infermiera perché
una volta che ero piccolo e mite
a vedere il suo oro
sgorgare dalle ciglia
svenne esangue
La radio dice che
una nuova genìa di cercatori
s’inerpica sulle stalagmiti:
grumi di sangue
di piccole-medie dimensioni
rarissimi coccoli rossi
si rovesciano
dalle loro tasche gonfie
Confusamente anch’ io
– che stabilisco la gerarchia
dei gesti
fino a togliervi significato
per darlo ai miei testi –
soffoco la cena
con il ketchup per renderla
più viva e dolciastra
E la notte diventa
in un semitono
un murales dove Dio
ruffianamente detta
due o tre comandamenti
a uno studente di chimica
che posato lo spray rosso
mi struscia le mani
con una spugna
imbevuta di mercurio
Il cavo delle mie ossa
è un canyon
dove imperversa il torrente
sangue e whiskey
dei miei ossimori
.
Trans-locum: avevano detto che era la fine
E invece no
Da qui si sente a ogni ora
il suono delle campane
qui non ci si corrode di lontananze
non si morde la coda il cane
il cane della mia solitudine
strada macchine marmitte
gas
forse morte ma tra qualche anno
con dignità
Qui alle sette
odore di pane e di libri usati
il fioraio che mette fuori i prezzi
la chiesa aperta a mezzo battente
un amico dietro il portone
che gioca a scacchi con
Le mura della casa
imbiancate di fresco
coprono i buchi dei chiodi
ma sotto scorre ancora
(e ancora) il sangue di Cristo
dentro le fondamenta
di ogni nuova
vecchia vita
(e addio alle fotografie
alle staccionate e ai quadri fantasma
di quella casetta a Padule che forse
non è mai esistita
se non dentro l’impasto
di patate ricordi pomodori sudore
vene vuote rughe scatoloni senza gatti
quella carriola dove a un tratto
sotto un gazebo
ho capito cosa vuol dire
stancarsi e poi morire)
Qua tutto ciò che conosco
sarà irriconoscibile
tutti quelli che non mi conoscono
sapranno chi sono
Rimani tu
dietro lo Statuto
a versare due lacrime per me
davanti a un’orchidea
che non ho coltivato io
.
da “Il dentro delle case”
Al giorno d’oggi, dietro ai cancelli si sospettano le banche private.
Non si sospettano giardini e nemmeno se ne sospettano i
custodi. C’era un racconto che parlava di un custode: lo scrisse
Kafka; ma allora aveva senso parlare di queste cose.
I
Vorrei essere custode del mio sguardo
il teschio
dove incastonare
i miei occhi di alabastro
con cui raschio i pomeriggi
Ho detto questo
e ancora altro
un giorno in un cortile
a una vecchia
che (si dice) muova
un passo in un anno
Mi ha risposto che deve decidere
dove andare a morire:
sulla sedia di vimini
o sotto il pergolato
all’ombra dei vitigni
Le ho farfugliato l’accompagno
si senta libera di morire dove vuole
ho pure una macchina
va a gas è tutto un guadagno
Ma nel suo assurdo pallore
lei ha taciuto
e fissando
rosso il pallone
appeso al reticolato:
«Non ti illudere
di vedere le cose
senza sprofondarci»
Ho saputo solo anni dopo
da una suora:
«Era la custode
del dentro delle case»
II
………………………………………………………………………..a Luigi F. e a suo padre
Il dentro delle case di campagna
è il seme che si spia
dal buco nella mela
fatto col cavatappi
Il dentro delle case di mare
è abitato solo
da crocifissi estivi
i costati di plastica
trafitti dalle zanzare
Il dentro delle case di montagna
è ispido buiore
sgualcito da lucciole chiuse
in un vasetto di miele
Il dentro delle case
è il tuorlo d’uovo
del cui esserci
per fantasmagoria
per familiarità
per fame
siamo certi all’ora di cena
Non esiste cosa o animale
che più del dentro delle case
meriti la sua custode
III
……………………………………………………Tra il faro e il mare c’è di mezzo il dire
Solo una volta
ho visto il dentro delle case
e fu nell’estate di Fiesole
quando le vibrisse della sera
sfiorarono la mano
che tenevo stretta a Clarissa
Tra la malerba e i nidi di geco
in uno spazio di muro
qualche donna lasciò aperta una finestra
e dietro la grata ho visto
la grattugia appesa al camino
la foto di Papagiovannipaolosecondo
un piccolo congresso di diverse luci e un’ombra
di vaso
Nel tempo di un passo si stabilì in me
la fibra pulsante di quella casa
scosse le fondamenta del torace
provocò una faglia
lo pervase di possibilità
Mi voltai e il viso di Clarissa
fu chiave del mondo:
potei guardarlo per un attimo
come in apnea
come se arpionato con le dita allo scoglio
avessi visto in una fessura
la rosa di mare
metronomo della corrente
Allora seppi tutto
del dentro delle case
è assassinio delle cose provare a dirle
senza sprofondarci
.
da “Le ciliegie”
Paradosso nuziale
La cosa più pura del matrimonio
è lo strascico della sposa
sporco di terra del sagrato
non è la compostezza dei parenti
non i fiori affacciati al matroneo
messi e rimossi nel giro di un’ora
La cosa più pura del matrimonio
è lo strascico della sposa
sporco di terra del sagrato
.
da “Ode porica”
Torno a casa
ma non è tornare a casa
se non ci divide qualcosa:
un corteo antifascista
uno strano obeso sulla strada
o un mar tirreno
Bernardo coi baffi
dovrebbe farti rivalutare
i baffi e non Bernardo
e quindi
la tua punizione sta
dentro un ultimo bacio?
echeggia nei miei singhiozzi
da Oltrarno fino a qua
Sarò costretto all’immobilità
imparerò dalle felci a strusciare
il naso con i cocci di vetro
Ironia di Spagna maledetta
non fai ridere
ma t’amo più di questa
poesia cagna
.
13 risposte a “Poesie di Bernardo Pacini da “Cos’è il rosso” (Edizioni della Meridiana, Firenze 2013)”
Ringrazio molto Bernardo Pacini per queste poesie che ci ha messo a disposizione. Consiglio in particolare la sezione “Il dentro delle case”, di una profondità misteriosa, se è vero che non siamo più padroni nemmeno in casa nostra.
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[…] in primavera, ci era sfuggito. Ma la sfida che lancia questo Cos’è il rosso, opera prima in poesia di Bernardo Pacini, meritava di essere raccolta: siamo contenti di farlo […]
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questo è davvero un ottimo esempio di poesia del nulla: non dice nulla, non comunica nulla, non vale nulla
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Marchetti, forse il nulla alberga in chi legge.
Pacini è un poeta, il resto sono chiacchiere.
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Marchetti, ma la prego, faccia un commento uno che non sembri un troll
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Ma Marchetti non è quello che si scagliò su FB contro i poeti contemporanei, accusandoli di non leggere Rimbaud, in realtà dissimulando una profonda frustrazione per non essere immesso in siti collettanei come Pordenonelegge? Gli risposi, mi bannò. Vedo che si è dato da fare, si è documentato, si è fatto un’ idea (di numero) sul suo nemico. In un certo senso, pur senza la minima argomentazione, vista la situazione, lo prendo come un complimento. Del resto, un poeta, Paolo Iacuzzi ( chissà se ha letto Rimbaud) ha parlato del mio libro come un viaggio verso l’ annullamento dell’ Io poetico. Magari Marchetti intendeva quello!
Un saluto ad Andrea (che rassicuro: egli non è un troll, semmai un modestissimo poeta) e a Matteo carissimo.
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Mi ero ripromesso di non partecipare più a discussioni, di qualsiasi tipo, sulla poesia contemporanea. Ma qualche risposta, a Pacini, la devo: su Fb parlavo di Rimbaud come avrei parlato di un altro classico, per dire semplicemente che la poesia necessita anche di riferimenti culturali, per riuscire interessante. Riguardo a Pordenonelegge, non ho mai cercato di farvi parte, mentre è vero (e lecito, suppongo) che sto proponendo a molti blog i miei componimenti, visto che sembra sia questo l’unico modo di farsi conoscere. Non considero Pacini un nemico: semmai un avversario poetico, dato che mi pare di capire che le nostre visioni su poesia e letteratura divergono e di molto. Però sull’annullamento dell’Io poetico mi trova completamente d’accordo, è la via che sto seguendo anch’io, nonostante io sia un ”modestissimo poeta” (il che mi suona ironico, visto che la modestia non la conosco neppure di nome), e probabilmente lo sto facendo in una maniera opposta alla sua. Se sono stato scortese, chiedo scusa a Pacini, ai lettori e collaboratori del blog: diciamo che sono partito col piede sbagliato. Anzi, con Pacini vorrei comunicare in privato, se mi ritiene degno della sua attenzione, per metterci a confronto sulla poesia. Scoprirà che non sono ignorantissimo, impoetico, banale. Non del tutto almeno.
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Stai scherzando, spero: non sono io ad averti bannato, non sono io ad averti ritenuto indegno di attenzione, ma tu.
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come preferisci
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Credo che questo surreale dialogo, che è sotto gli occhi di tutti, abbia da compiersi qui. Un saluto.
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“Avversario poetico”?
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Sì, Marchetti ha questa indole neofuturista. Dovrei guardarmi le spalle.
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[…] ma che di cognome fa Pacini, in una sezione della sua prima raccolta (antologizzata su Poetarum qui) compie un’operazione simile: «Il dentro delle case» è ancora una volta il ventre […]
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