Faremo la fine della Grecia
mi chiedi – come se finora
fossimo stati tutti uguali
e chi più chi meno avessimo vissuto
al di sopra delle nostre possibilità.
Non lo sappiamo, speriamo di no.
Ma è tardi e non ho voglia
di perdere tempo
e allora saluto il parcheggiatore
abusivo che da mesi, anni forse
vive con tutta la famiglia,
la moglie, quattro o cinque bambini,
in una vecchia Punto
senza ruote,
piena di stracci e coi giornali
ai finestrini, davanti
l’Esselunga di via Lorenteggio.
Somiglia a un ciclope
o a un pirata del Mar dei Caraibi
e come padre e marito
fa ugualmente paura.
Aspetta la risacca
di chi esce da un ufficio
o ha appena fatto la spesa.
Veloci come granchi
sotto la sabbia, come vermi
sulla carcassa.
Alla fine sono sicuro
che ricomincerà a piovere.
E anche per questo
non vedo l’ora di andarmene
come se un naufrago stanco delle isole
invece di cercare i sandali
si rimettesse per mare.
Se non è questo, cos’è
un tradimento?
Come se – finito tutto
il lavoro – la sera
tornassimo a casa e bussassimo
alla nostra stessa porta
per fare a gara
a chi è più straniero
dell’altro.
Come se questo
desiderio di cuscini
e di lenzuola
assicurasse la pace
o restituisse qualcosa.
Ma anche il frigorifero
è uno specchio.
La fine è scritta dappertutto:
sul tappo delle bottiglie o sul fondo
delle lattine. C’è
anche chi – quando ancora ricorda
gli ultimi sogni del mattino – alla fine ci crede
più fortunati degli altri.
Io quando penso all’inferno
ho in mente un telefono
che incessante, estenuante
non squilla.
E c’è chi si inventa nuovi lavori
per far passare il tempo.
Pezzi di ricambio, soprattutto
piccole riparazioni.
Un classico.
Ma i tempi sono cambiati,
i tempi cambiano – adesso
chi guarda più le vecchie
sveglie o gli orologi da polso?
Basta un telefono
che niente può più avere
una sola funzione.
Tanto più che alla fine
si fermeranno gli orologi,
non punteremo più le sveglie
ma ci alzeremo solo quando
da più lontano ci chiameranno
e per la seconda, la terza volta
con una voce così lunga
che non la potremo dimenticare
né tanto meno ricordare.
E forse alla fine anch’io
che – lo sai – non so aspettare
non potrò fare altro che ascoltare
da più lontano, più forte
finché – lo so – mi chiamerai
almeno un’altra volta
perché è il tuo telefono
lo strumento
con cui si misura
il tempo.
6 risposte a “Giovanni Catalano – La fine della Grecia”
bellissima, davvero…
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Grazie Andrea…
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ha dentro tutta quella magia che solo la potenza della parola, quando è stata oltrepassata dallo sgaurdo, sa offrire. quel cuore che pulsa sottovelo e muove il ragno più feroce che spaventa e ci mostra il suo volto così lontano, così vicino.
ottima!
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Ciao Iole, grazie per questa lettura!
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ho letto tante tue poesie ma questa credo sia tra le più belle, stai invecchiando :-)
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Grazie Gianni, si vede che anche la poesia è questione di tempo :)
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