
Giuseppe Aloe
La logica del desiderio
(Giulio Perrone Editore, 2011)
Per dire se un romanzo funziona, non mancano metafore acquatiche: la scrittura scorre, fluisce, s’incaglia. Il lettore si immerge, i personaggi affiorano. Così, restando a pelo d’acqua, il primo verbo che istintivamente soccorre nel cogliere le virtù de La logica del desiderio (Giulio Perrone Editore, 2011), l’ultima fatica letteraria del cosentino Giuseppe Aloe, potrebbe essere “gocciola”. Perché se lo scorrere può render bene la mobile empatia dell’immaginazione a contatto di eventi e personaggi, il “gocciolare” di Aloe abbisogna di un talento e una tecnica non meno raffinati; che ogni stilla depositata per accumulo sul pozzo centrale di raccolta, il ritratto psicologico del giovane protagonista alle prese con gli incerti e i sommovimenti del proprio eros, segue la bussola di imbuti convergenti dalla taratura assai delicata. Occorre innanzitutto buona mira, evitando rivoli inutili su ridondanze o dettagli inessenziali, ma soprattutto un giusto dosaggio; in questo, ogni “stilla” di costruzione psicologica del personaggio, in Aloe, ha un respiro riconoscibile, incalza il lettore al ritmo sincopato di proposizioni brevi, talvolta semplici costruzioni nominative, in un’opera di continuo avvicinamento, più che al premeditato disegno di un paesaggio fisico o antropologico, alle sfumature di una messa a fuoco soggettiva continuamente in progress: ma l’empatia con l’io narrante, per funzionare e reggere bene duecento pagine di flash e istantanee sui moventi e i retropensieri di un’ossessione amorosa, ha bisogno di molto mestiere, e l’autore lo sa bene. Così l’affresco interiore di una libido mobile e irrequieta, fra risalite e improvvisi inabissamenti, si tiene opportunamente alla larga da un facile effettismo, rilancia l’eco di una discesa agli inferi del sé come un misterioso inventario di accadimenti interiori e esterni, il cui filo rosso sembra tendere al lettore un ponte condiviso di inconoscibilità, quasi un contrappasso solidale al logos che informa un’azzoppata rappresentazione del mondo; e i personaggi che ruotano attorno all’ego onnivoro dell’autore prendono corpo in una continua tensione bipolare fra intangibilità del fantasma e plasticità di un rito quotidiano di esistenza – sopravvivenza. Qui forse, nell’equilibrio calibrato fra Es e Res, il gocciolio frastico di Aloe scava un solco durevole nella disposizione percettiva di chi legge, sta al gioco senza sforzo, e difficilmente si stacca dalla pagina; dove poi quell’equilibrio si cristallizza in una forma allegorica compiuta, come nella descrizione del sogno del padre fatto di cera (vero snodo centrale del libro), il risultato può regalare emozioni letterarie autentiche, e l’empatia a pelle mettere radici di consonanza più sottili. La logica del desiderio sfugge per definizione, o per cronica indefinizione dei moventi che ci legano all’altro; resta la logica della scrittura, che ne rappresenta le oscillazioni, regala loro cause e effetti in ordine sparso. Talvolta perfino il fantasma di un senso possibile.
Roberto Ranieri
Una replica a “La logica del desiderio (Giulio Perrone Editore, 2011) – recensione di Roberto Ranieri (post di natàlia castaldi)”
molto molto interessante! grazie
M
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