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Il tempo ora è loro,
il tempo è dei giovani
nobili morti di questa
gelida Grecia del nord.
Indicibilmente giovani,
sempre più giovani.
Essi attendono la nostra bellezza.
Spasmodicamente attendono.
Ascoltano ogni rumore, ogni voce.
La bellezza concessa che spaventa
il tuo solo anno notturno,
la leggenda che loro non sanno
di essere stati.
Un giorno o un anno in attesa.
O decenni. O secoli
La loro guerra dell’eccelsa
primavera li vide
folli di ritorni e di crudeli protocolli
convinti a partire.
***
Hanno orrore di se stessi.
Non dicono il loro nome.
Si guardano allo specchio
e non si riconoscono,
invisibili ai primaverili inviti assidui.
Se qualcuno li chiama
essi dicono
che si tratta di un altro.
Lo schianto ha dimenticato.
Il loro letto è per sempre disfatto,
partiti in fretta
alla stagione della perfezione.
Niente, neppure
la firma sul primo quaderno
o il ragazzo raggiunto a Bologna
una sera d’estate
nessuna immagine dell’intollerabile
malattia mortale incessante
riusciì più a trattenerli.
***
Per un anno, in silenzio
guardarono incantati le nostre mani
ascoltarono i nostri più feroci
discorsi del desiderio, discorsi del martirio.
E si spaventarono in alto per tutto l’anno,
noi non vedevamo
la loro storia dell’eta che ammala,
e nel loro breve
libro ebbe inizio il sacrificio del respiro.
***
Niente è più giovane della fine
la morte è la nuova
malattia di chi non è ancora
apparso ad un impero imperfetto;
la vita, tragedia che si incendia, è vecchia.
Gli anni iniziali degli amanti non furono
più calcolati,
le nuove aule delle cose
non furono più attraversate.
I racconti del diluvio e del convivio
i compagni del gelo nel cervello del tempo
i cari deliri del dovere
furono, insalvabili, abbandonati.
***
A chi è soltanto un nome
noi vorremo ridare
il foulard verde,
il bicchiere di vino,
il costume della nuotatrice
che vince, sale, vuole.
Tutti voi ricordate.
Ti festeggiarono.
All’apparire del più crudele
anno di sole ti festeggiarono:
incendiarono le vecchie pagine della strage,
e nel giorno del definitivo
delirio scrissero il nome.
***
Lo spasmo sovrano del calcolo
il delirio matematico
il sipario si aprì
sull’irripetibile
estasi dell’esattezza,
follia di geometrie rapidissime.
La bella tragedia
l’idea estrema
compì l’eterna
commedia del coraggio,
l’immortale, infantile
scossa della storia
nella scuola dello scandalo
ci sospinse oltre la soglia.
***
La bella età resuscitò i morti.
Convinse i risorti.
Convinse l’incessante
erede delle scienze estreme.
Trattenne queste tenebre dell’erede
febbre millimetricamente,
disse la vertigine dell’origine
in queste ultimissime geometrie
del tremendo incendio giovanile;
spasimo estremo del battesimo
parlò ancora nel nostro concreto risveglio,
accadde durante la delirante
estate delle algebre dissacrate.
Poesie di Andrea Leone tratte da “Lezioni di Crudeltà” Poiesis Editrice 2010

