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Bustine di zucchero #23: Samuel Taylor Coleridge

In una poesia – in ogni poesia – si scopre sempre un verso capace di imprimersi nella mente del lettore con particolare singolarità e immediatezza. Pur amando una poesia nella sua totalità, il lettore troverà un verso cui si legherà la sua coscienza e che lo accompagnerà nella memoria; il verso sarà soggettivato e anche quando la percezione della poesia cambierà nel tempo, la memoria del verso ne resterà quasi immutata (o almeno si spera). Pertanto nel nostro contenitore mentale conserviamo tanti versi, estrapolati da poesie lette in precedenza, riportati, con un meccanismo proustiano, alla superficie attraverso un gesto, un profumo, un sapore, contribuendo in tal senso a far emergere il momento epifanico per eccellenza.
Perché ispirarsi alle bustine di zucchero? Nei bar è ormai abitudine zuccherare un caffè con le bustine monodose che riportano spesso una citazione. Per un puro atto spontaneo, non si va a pescare la bustina con la citazione che faccia al proprio caso, è innaturale; si preferisce allora fare affidamento all’azzardo per scoprire la ‘frase del giorno’ a noi riservata. Alla stessa maniera, quando alcuni versi risalgono in un balenio alla nostra coscienza, non li prendiamo preventivamente dal cassettino della memoria. Sono loro a riaffiorare, da un punto remoto, nella loro imprevista e spontanea vividezza. (D.Z.)

Colerdige

Nelle acque della poesia, il sovrannaturale e l’irreale furono caratterizzanti del Romanticismo inglese; questi temi, insieme agli elementi del razionale e dell’irrazionale, costituirono la cifra espressiva di una poetica che, tramite l’immaginazione, perviene alla verità. Ebbene, con quale lingua giungervi? Partendo da Aristotele, Coleridge, nella sua Biographia literaria, espone la sua teoria della lingua communis. La lingua comune è quella della cultura, appartiene a tutti gli uomini, è «la lingua del senso comune» ed «è universale e non particolare, ideale e non reale, e dunque […] è la lingua della poesia» (Bompiani), spazio-mondo dove passione e immaginazione, emozione e metro s’incontrano, raggiungendo, seppur distinti, l’armonia – il senso del Tutto. Certi poemi ci raccontano, fra l’altro, un delitto, talora simbolico, un atto compiuto verso un innocente e, in questa direzione, molto ci insegna il delitto originario per eccellenza, Abele ucciso da Caino. Caino, una volta assassinato suo fratello, entrò nella notte, e la morte entrò nella vita degli uomini. Abbiamo dovuto aspettare Borges (Leggenda) perché i due s’incontrassero e per far sì che Abele non ricordasse più di esser stato ucciso, perdonando così suo fratello («dimenticare è perdonare»). Tuttavia, la parola poetica non dimentica, anzi ricorderà e farà ricordare la caduta originaria dell’uomo, e da quel momento in poi il tentativo di rievocare, seppur con vaga reminiscenza, uno stato ormai perduto per cui la poesia diverrà, da allora, lingua di un tempo umano («finché dura il rimorso, dura la colpa», sempre in Leggenda). Corrispondente proprio al rimorso è il significato dell’angosciante fardello del vecchio marinaio che, a causa del suo gesto avventato – l’aver ucciso l’albatro, ritenuto di buon auspicio –, ha condotto verso funesta sventura un intero equipaggio. La notte era entrata in lui, la morte negli uomini. Se è vero per Unamuno che la filosofia è più vicina alla poesia che alla scienza, la poesia, già da prima in Coleridge, svolge un potere creativo sul pensiero. Muovendo dalla lingua comune, capace di far emergere l’introspezione psicologia del narratore davanti a un fatto inspiegabile, così da attirare l’attenzione e provocare uno stato emotivo notevole, la ballata di Coleridge si fa viaggio per raffigurare la piega recondita degli stati d’animo, ricreati nel resoconto del marinaio – la storia gli provoca tormento e gli brucia nel petto – e consegnati al testimone oculare, il lettore. In questo, la poesia ha il dono di saper combinare, in uno spazio comune, la luce e l’abisso.

Bibliografia in bustina
Samuel T. Coleridge, La ballata del vecchio marinaio, Milano, BUR, 2019 (a cura di G. Bompiani, traduzione di M. Luzi), p. 84.
Samuel T. Coleridge, La ballata del vecchio marinaio, Milano, Mondadori, 1987 (a cura di F. Buffoni, prefazione di F. Cordelli), p. 43.
Samuel T. Coleridge, Biographia literaria, Roma, Editori Riuniti, 1991 (traduzione e cura di P. Colaiacomo), cap. XVII.
J.L. Borges, Elogio dell’ombra, Torino, Einaudi, 1971 (a cura di F.T. Montalto), p. 115

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