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La libertà di Benjamin Tucker

A cura di Auro Michele Perego

 

Le affinità elettive non rivelano necessariamente una predestinazione, ma probabilmente – almeno così mi piace pensare – i segni del loro consumarsi tracciano potenti linee guida nel futuro ancora non scritto degli individui. Furono amanti per un periodo di circa tre anni. Lei, Victoria Woodhull, la prima donna candidata alla presidenza degli Stati Uniti d’America, prima donna broker a Wall Street, spiritista, accusata di stregoneria era all’epoca sulla quarantina. Nel corso della sua vita si sarebbe sposata tre volte, divorziata due, sostenuto l’emancipazione femminile, il libero amore e, in tarda età, scritto di eugenetica. Lui, Benjamin Tucker sarebbe diventato forse il maggiore esponente dell’anarchismo individualista, ma all’epoca era ben più giovane e meno affermato di lei, aveva poco più di vent’anni.

Un altro incontro, ma privo di risvolti intimi, era stato poco prima certamente decisivo per la sua iniziazione alla libertà. A diciotto anni Tucker aveva incrociato il suo destino con quello dell’ormai anziano Josiah Warren, riformatore sociale e pioniere del pensiero anarchico americano, a una riunione della Labor Reform League. Come folgorato, lasciò gli studi di ingegneria al MIT di Boston e si fece portavoce dell’anarchismo individualista. Fondò Liberty, la sua creatura, forse la più celebre rivista anarchica e libertaria della storia. Recava come motto la frase di Proudhon “Non la figlia bensì la madre dell’ordine” a significare che la libertà è precondizione – e non conseguenza – della formazione di una società ordinata: una visione alternativa alla centralizzazione e alla pianificazione dall’alto che avrebbe caratterizzato e ancora caratterizza il socialismo di stato nelle sue varie forme. Uscì dal 1881 al 1908, ospitando autori come Lysander Spooner, Vilfredo Pareto, Wordsworth Donisthorpe e John Henry Mackay. Tucker fu anche un editore e un traduttore notevole. Tradusse in inglese Proudhon, e Max Stirner, Kropotkin e Bakunin, poi la sonata a Kreutzer di Tolstoj, pubblicò Herbert Spencer, Emile Zola, Friedrich Nietzsche, e Walt Whitman, quando era censurato, prima che un incendio distruggesse tutti gli archivi e i libri nella sede della sua attività a New York. Lasciò gli Stati Uniti per l’Europa e morì nel Principato di Monaco nel 1939.

Tucker è un autore pressoché sconosciuto al grande pubblico in Italia. Fino a quest’anno solo un numero esiguo – che si conta sulle dita di una mano – dei suoi saggi era stato tradotto in italiano e si trova disperso in alcune raccolte di autori libertari. Non incasellabile negli schemi della politica novecentesca probabilmente non si adattava, e ancor non si adatta, alla narrazione di nessuno dei gruppi dominanti la cultura del paese, né di quella degli intellettuali e degli accademici a essi organici, ma evidentemente neppure troppo a quella delle correnti di pensiero che proponevano visioni alternative. Sostenitore di una società in cui gli individui cooperano liberamente e spontaneamente, e assolutamente contrario all’esistenza dello stato e dei suoi strumenti coercitivi e invasivi. Favorevole a un libero mercato privo di regolamentazioni e dazi ma laddove il concetto di proprietà si limita a occupazione e uso. Si definiva un socialista, e credeva che l’equità e la giusta ricompensa del lavoro passano attraverso la libertà individuale e la cooperazione spontanea, non tramite la coercizione e la pianificazione centralizzata, predicate dalla concezione del socialismo divenuta dominante. Contrario all’esercizio della forza per risolvere la questione sociale, forza che per lui è ammissibile nei casi di legittima difesa e quando la sovranità dell’individuo viene invasa da altri individui o dallo stato. Il monopolio, sia esso dell’emissione monetaria, della terra, dei dazi o dei brevetti e del diritto d’autore, è la forma in cui lo stato distorce la libera concorrenza favorendo arbitrariamente alcuni soggetti, creando ingiusti privilegi nella società e portando a quello che oggi potremmo chiamare crony capitalism, ovvero capitalismo clientelare.

Il pensiero di Tucker non è quello di un autore sistematico, ma più di ogni altra cosa è vivo e sfugge alla fissità: sferzante, tagliente, polemico, dialogante con le lettrici ed i lettori che gli scrivevano lettere su Liberty. Il centro gravitazionale del suo pensiero è l’individuo. L’individuo come essere essenzialmente libero. Sovrano su se stesso deve difendersi dall’invasione dello stato che vuole disporre del suo corpo, del suo tempo, dei frutti del suo lavoro, delle sue abitudini.

Tucker non scrisse mai un libro nel senso di un’opera concepita organicamente e in sé conclusa, tuttavia raccolse gran parte dei suoi scritti nel monumentale volume dal titolo provocatorio Instead of a book, by a man too busy to write one (Invece di un libro, da parte di un uomo troppo occupato per scriverne uno). Libro che si apre con la dedica al suo maestro Josiah Warren – inventore nell’ambito della stampa, riformatore sociale, proponente del concetto di sovranità dell’individuo su se stesso (self-sovereignty) e del commercio equo.

Instead of a book nella sua interezza rimane ancora confinato al pubblico di lingua inglese. Tuttavia, quest’anno per la prima volta è uscito in italiano un libro interamente dedicato agli scritti di Benjamin Tucker: Libertà Individuale. Una selezione di alcuni dei suoi più significativi saggi e articoli apparsi su Liberty, pubblicata originariamente in lingua inglese un secolo fa, nel lontano 1926. Quando iniziai a tradurlo non sapevo affatto dove sarebbero andate a finire le parole che lentamente si depositavano l’una dopo l’altra come le impermanenti sabbie di una clessidra piena di pensieri ormai dimenticati, ne se qualcuno lo avrebbe mai voluto pubblicare. Ma sentivo in qualche modo che era un lavoro che qualcuno doveva pur fare. Il libro si è poi rapidamente e inaspettatamente materializzato per l’iniziativa di un editore controcorrente e coraggioso: Ortica Editrice. Allo sguardo che non ha ancora disvelato i suoi contenuti di pensiero l’oggetto fisico appare come uno squarcio di nubi dalla forma umana su di un verde boschivo, volume 92 della collana “Le erbacce”. La prefazione è “antiaccademica” e certamente inusuale a opera di Francesco Benozzo, poeta e filologo, cantore al suono dell’arpa celtica, spirito dissidente: l’ultimo suo scritto pubblicato prima di lasciare questa terra.

Sinceramente, valgono ben poco queste mie parole di presentazione che rischiano di ridurre la complessità di un autore poliedrico che si cimenta sugli argomenti più diversi – dal diritto d’autore, alla rendita fondiaria, dai monopoli economici, al sistema bancario, alla sovranità sul proprio corpo – a poche brevi definizioni che ne comprimono le sfaccettature, le contraddizioni e la ricchezza vitale. Chi avrà la ventura di leggerne il pensiero potrà formarsi certamente un’immagine più articolata, ampia e veritiera.
Voglio però lasciare come ultima traccia di questo breve pezzo che mi è stato concesso di scrivere, il cri de combat che Tucker lanciò quando nel 1881 la sua rivista vide per la prima volta la luce della stampa. In queste parole risuona, forse nel modo più limpido e conciso, l’essenza dello spirito di Liberty.

 

 


 

La dichiarazione di scopo di Liberty

 

Liberty entra nel campo del giornalismo per parlare per se stessa poiché non trova nessuno che vuole parlare per lei. Non ode alcuna voce che sempre la difenda; non conosce alcuna penna che sempre scriva in sua difesa; non vede mano che sia sempre alzata per rivendicare i suoi torti o difendere i suoi diritti. Molti dichiarano di parlare in suo nome, ma pochi la comprendono veramente. Ancora meno sono quelli che hanno il coraggio e l’opportunità di combattere costantemente per lei. Sta quindi a lei intraprendere e vincere la sua battaglia. Lei la accetta senza paura e con uno spirito determinato. Il suo nemico, l’Autorità, assume molte forme, ma, parlando in generale, i suoi nemici si dividono in tre classi: i primi, quelli che la aborrono sia come mezzo che come fine del progresso, opponendosi a lei apertamente, sinceramente, consistentemente, universalmente; i secondi, coloro i quali professano di credere in lei come mezzo del progresso, ma che la accettano solamente nella misura in cui ella serve i loro interessi egoistici, negando lei e le sue benedizioni al resto del mondo; terzo, coloro i quali non hanno fiducia in lei come mezzo del progresso, credendo in lei solo come un fine da ottenere calpestandola, violandola ed oltraggiandola prima. Queste tre fasi di opposizione alla Libertà si incontrano in quasi tutte le sfere del pensiero e dell’attività umana. I buoni rappresentanti della prima si vedono nella Chiesa Cattolica e nell’autocrazia Russa; quelli della seconda, nella Chiesa Protestante e nella scuola di politica e di politica economica di Manchester; quelli della terza, nell’ateismo di Gambetta e nel socialismo di Karl Marx. Attraverso queste forme di autorità corre trasversalmente un’altra linea di demarcazione che separa il divino dall’umano; o ancora meglio, ciò che è religioso da ciò che è secolare. La vittoria della Libertà sul primo è quasi raggiunta. Nel secolo scorso Voltaire ha dato cattiva reputazione all’autorità del sovrannaturale. Da allora la Chiesa ha iniziato a declinare. I suoi denti sono stati estratti, e sebbene essa sembri ancora dare qua e là vigorosi segni di vita, lo fa con la violenza dell’agonia di morte che incombe su di lei, e presto il suo potere non sarà più avvertito. È l’autorità umana che da allora è indesiderata, e il suo organo, lo Stato, che in futuro deve essere temuto. Coloro i quali hanno perso la propria fede negli Dei solo per riporla nei governi; coloro i quali hanno cessato di essere adoratori della Chiesa solamente per diventare adoratori dello Stato; coloro i quali hanno abbandonato il papa in favore del re o dello zar, e il prete per il presidente o per il parlamento – hanno infatti cambiato il loro campo di battaglia, ma ciò nonostante sono ancora nemici della Libertà. La Chiesa è diventata oggetto di derisione; dello Stato deve essere fatto altrettanto. Alcuni dicono che lo Stato sia un “male necessario”; deve essere reso non necessario. La battaglia di questo secolo allora è contro lo Stato; lo Stato che degrada l’uomo; lo Stato che prostituisce la donna; lo Stato che corrompe i bambini; lo Stato che ostacola l’amore; lo Stato che reprime il pensiero; lo Stato che monopolizza la terra; lo Stato che limita il credito; lo Stato che limita gli scambi commerciali; lo Stato che dà al capitale inattivo il potere di crescere, e attraverso l’interesse, la rendita, il profitto e le tasse, deruba i lavoratori industriosi dei loro prodotti. Come lo Stato fa queste cose, e come gli possa venire impedito di farle, è ciò che Liberty si propone di mostrare in dettaglio in seguito, nel perseguimento del suo scopo. Basti per ora dire che il monopolio e il privilegio devono essere distrutti, l’opportunità deve essere permessa e la competizione incoraggiata.
Questa è l’opera di Liberty, e “Abbasso l’Autorità” è il suo grido di battaglia.

 

 


Benjamin Tucker [1854-1939]. Esponente di spicco del pensiero anarchico individualista e libertario. Fondatore di Liberty, la più celebre rivista libertaria, che contribuì a diffondere il concetto di libertà individuale, nonché le idee e i modi per una sua attuazione, ospitando contributi di notevoli autori della cultura anarco-individualista tra cui Lysander Spooner, Stephen Pearl Andrews, Wordsworth Donisthorpe e John Henry Mackay.
Fu traduttore di Proudhon, Tolstoj, Kropotkin e il primo a tradurre in inglese Dio e lo Stato di Bakunin. Con la sua casa editrice pubblicò Foglie d’erba di Walt Whitman e L’Unico e la sua proprietà di Max Stirner.


 

Un ringraziamento speciale al traduttore, Auro Michele Perego, e a Ortica Editrice per la collaborazione.

 


In copertina: Mister Finch, Funghi, 2015

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