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Venezia è una promessa – Dialogo tra letteratura e cinema nella pianura di Neri Pozza e Francesco Sossai

Di Annachiara Mezzanini

 

Guardo fuori dal finestrino. Una riga di pioggia solca il vetro, tagliando di netto anche il mio sguardo. La laguna si apre oltre una coltre di sporcizia e pioggia fittizia, che spesso appare di sbieco ai lati del treno, palesandosi come acqua di condensa solo in un secondo momento. A pochi metri di distanza, spunta il Ponte della Libertà: lunga striscia di terra solcata da binari, asfalto, rombi di motore e passi svelti di chi corre la mattina presto, in una nuvola di vapori. Nel momento in cui l’acqua diventa paesaggio, inglobando i bordi frastagliati del treno veloce in movimento, tra lo stupore dei soliti turisti e la noncuranza dei pendolari, il mio sguardo si arresta e si pone nel mezzo di queste due emozioni, un tempo provate anche da me. Ma, da quando questo ponte mi separa da casa — quella di origine e quella in affitto — io resto sospesa a metà.
Venezia mi appare la solita e consueta meraviglia. Ormai, una parte di me. Ed è stato proprio lungo quel ponte, anni dopo, che ho capito cosa mi stavo lasciando alle spalle. In macchina, una delle rarissime volte, e nel senso di marcia opposto, mi sono guardata intorno con un velo di malinconia e ho capito che, dietro di me, non stavo lasciando una città, ma delle persone. Le calli, i rii, i campi, persino la zona universitaria, io sarei potuta tornare a rivedere all’infinito. Ma quelle calli, quei rii, quei campi e persino quella zona universitaria non li avrei mai più vissuti allo stesso modo in cui feci negli ultimi anni, accompagnata da quelle persone. Epifania sciocca, eppure necessaria. 

 

 

Venezia appare così, in fondo alla profonda provincia veneta, dopo un ponte lunghissimo e sotto a nuvole biancastre, che si rincorrono verso Oriente. Le storie della sua città-zattera non sono nuove a nessuno, complice l’alone di stranezza e stupore che la stessa laguna emana agli occhi dello straniero. Neri Pozza, tra gli anni Settanta e Ottanta, raccolse alcune voci, scrivendo in racconti celebri le intime narrazioni degli uomini d’arte che vissero nella Serenissima a cavallo fra i decenni del XV e XVI secolo, oggi racchiuse ne Le storie veneziane (2025), edito dall’omonima casa editrice. Lorenzo Lotto, Tiziano Vecellio, Giovanni Bellini, Andrea Mantegna…una lista corposa di grandi nomi, che videro un’isola molto diversa da quella visitabile oggi, connotata dal retrogusto ferroso della pestilenza e dalle tonalità accese delle tinture in polvere. Le ambientazioni e i resoconti storici di Pozza appaiono vividi sulla pagina. Le ombre grigie e allungate sui canali, lo scricchiolio delle scale in legno di un interno cinquecentesco, il tessuto pesante sulle ginocchia del pittore ormai anziano. Tutto ricade vivo nel lettore, che viaggia in una dimensione altra da quella presente, ma fortemente acuta. L’immagine di queste due Venezie, quella antica dei racconti e quella odierna, si deposita come nuvola bassa, ma è la sensazione che vi sta dentro che resiste e rimane: l’essere parte di un cosmo le cui costellazioni orbitano attorno al tempo dell’acqua, il sapere che quella terra, per quanto umida e piatta possa essere, avrà sempre il sentore di casa. Tra le città di questa pianura, mangiata dall’afa in estate e dalla nebbia in inverno, si radica non solo il pensiero di Pozza, che osserva e legge e scrive di coloro che vi hanno vissuto, nobilitando anche i passi più leggeri tra Vicenza e Venezia. Tra queste terre si insinua anche lo sguardo del cinema, delle intime confidenze tra ubriachi difronte a uno schermo. Sono uomini ordinari, non più grandi artisti, accomunati tra loro dalla disillusione e dalla ricerca costante di qualcosa, forse di qualcuno. Sono Le città di pianura di Francesco Sossai, film uscito nelle sale lo scorso settembre. 

 

 

Una frase di Neri Pozza, annotata nei suoi diari (1963-1972) e riportata da Luca Scarlini nell’introduzione a Le storie veneziane, sancisce il legame definitivo tra la terra e la narrazione scritta e visiva delle due opere citate: “Io ho viaggiato molto a Vicenza. Dopo averla conosciuta nelle strade coi lazzaroni e gli angeli della mia giovinezza, mi sono fermato più tardi, migliaia di volte, a gustare una veduta di case e di alberi, uno spazio aperto col profilo della città tra le quinte del fogliame, una piazzola, un fiume, un vicolo”. Questo peregrinare soave, quasi contemplativo, che dalla giovinezza giunge fino alla maturità, ricorda il girovagare disincantato dei personaggi di Sossai e le inquadrature lunghe sui viali e per le strade, nella notte e dentro le case. Nel singolare terzetto che agisce sulla pellicola il giovane Giulio è lo straniero. L’occhio nuovo, quello che – ipotizzando – Neri Pozza avrebbe potuto descrivere come uno degli angeli della sua giovinezza, accompagnato dai due lazzaroni, Carlobianchi e Doriano, per le strade del profondo Veneto.
La storia parte da Venezia. L’isola cupa osservata da Giorgio da Castelfranco, detto Zorzon, come un cimitero abbandonato è la stessa che ode i passi concitati di Giulio, che scivola via da Campo dei Tolentini verso la fondamenta. L’isola che vede, nel 1573, il processo per eresia al Veronese è la medesima che osserva, dall’alto di una notte di bagordi, Carlobianchi e Doriano alla ricerca del bicchiere della staffa. Tutto ruota attorno a Venezia, per poi lasciarla sullo sfondo, come promessa.
La periferia è una questione di abitudine. Ai margini di una regione, sulla costa frastagliata e salmastra della laguna, o nei quartieri minuscoli delle città tra collina e pianura, si osservano crisi e rinascite, fughe ed epifanie, glorie imperiture e fallimenti disastrosi. La pianura dona anche questo: una miscellanea di paesaggi, molti dei quali malinconici e nebulosi, ma affascinanti anche per chi arriva dopo un lungo viaggio, che il suo sguardo sia o meno abituato a questa luce biancastra.

Le pupille di Pozza e di Sossai, per quanto possano differire in forma e colore, hanno avuto modo di catturare questa essenza: vissuta, digerita e sputata si è fatta largo attraverso due media completamente diversi. Il libro e il film richiedono diverse attenzioni, diversi contributi, diversi strumenti, ma entrambi sgorgano dalla scrittura e dal bisogno di qualcuno di raccontare una storia. E le loro storie sono arrivate con forza ed efficacia, senza creare o spezzare illusioni. Che sia un’isola senza ponte, ricca di grandi artisti persi nel reticolo stretto dei canali, o un’isola moderna, naufragata tra i suffumigi dell’alcol, Venezia rimane sé stessa, riconoscibile. In queste nostre città di pianura il sentimento di rivalsa ristagna da tempo e in ogni generazione che le ha abitate, ma anche quando tutto sembra scivolare nel buio e nell’amaro, compare sempre un buon motivo per restare. O tornare. 


Neri Pozza nacque a Vicenza il 5 agosto 1912. Iniziò la propria attività come scultore nel 1933 seguendo l’esempio del padre, Ugo Pozza. Nell’ampia produzione è forte il richiamo di Arturo Martini e di Marino Marini. Espose alla Biennale di Venezia nel 1952 e nel 1958, alla Quadriennale di Roma e ancora alla Biennale veneziana della grafica. Nell’attività letteraria Pozza si distinse con volumi quali Processo per eresia (1970), Premio selezione Campiello, Comedia familiare (1975), Tiziano (1976), Le storie veneziane(1977), Una città per la vita (1979), Vita di Antonio, il santo di Padova e alcuni scritti sulla memorie della Resistenza come Barricata nel Carcere. Morì a Vicenza il 6 novembre 1988. Tra le opere pubblicate dalla casa editrice che porta il suo nome figurano: Neri Pozza, la vita, le immagini (a cura di Pasquale di Palmo, Neri Pozza, 2005); Saranno idee d’arte e di poesia (Neri Pozza, 2006); Opere complete (Neri Pozza, 2011).

Francesco Sossai (Feltre, 4 gennaio 1989) è un regista e sceneggiatore italiano. Cresciuto a Sedico, si laurea in Lingue e Letterature Moderne alla Sapienza di Roma e si forma in regia alla Deutsche Film- und Fernsehakademie Berlin, dove studia con registi come Béla Tarr, Apichatpong Weerasethakul e Pedro Costa. Con il suo primo lungometraggio Altri cannibali (2021) vince il premio per le opere prime al Tallinn Black Nights Film Festival e il Vanguard Award al Vancouver International Film Festival (2022). Il cortometraggio Il compleanno di Enrico(2023) debutta alla Quinzaine des Cinéastes di Cannes e riceve il Premio Young for Young a Visioni Italiane 2024. Nel 2025 presenta Le città di pianura nella sezione Un Certain Regard del Festival di Cannes.


In copertina: Caspar David Friedrich, Il cimitero, 1825, olio su tela, cm 143 x 110, Galerie Neue Meister, Dresda

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