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Da Liverpool al cuore del mondo: la rivoluzione poetica di Brian Patten

A cura di Bernardino Nera e Floriana Marinzuli

 

Brian Patten, uno dei tre celebri Poeti di Liverpool insieme a Roger McGough e Adrian Henri, è scomparso il 29 settembre all’età di settantanove anni. Poeta profondamente legato alla sua città natale, Patten seppe dare voce alla malinconia e alla tenerezza dell’amore, diventando una delle figure più significative della rivoluzione della poesia popolare inglese degli anni Sessanta.

Sebbene fosse il più giovane del trio, Patten fu probabilmente il catalizzatore della Poetry Scene che si originò a Liverpool agli inizi degli anni Sessanta, in quanto il suo entusiasmo e la sua dedizione contribuirono in modo determinante alla nascita della rivoluzione della poesia popolare di quegli anni. Il suo debutto avvenne da giovanissimo: a sedici anni era già un giornalista pop ed editore della piccola rivista Underdog, all’interno della quale pubblicava i primi lavori suoi e dei colleghi, oltre a poeti internazionali come Allen Ginsberg, Robert Creeley, il poeta finlandese Pentii Saarikoski, il russo Andrej Andreevič Voznesenskij, tradotto da Anselm Hollo e Jacques Prévert, tradotto da Adrian Henri.

 

Brian Patten

La sua opera, che affiancava tenerezza e malinconia a battute tristi e fantasie, risuonò profondamente con l’umore della gioventù di Liverpool da cui proveniva, in un modo che l’umorismo più sofisticato dei suoi colleghi non tentava. La popolarità del trio come performer dal vivo li portò a diventare un fenomeno culturale, culminato nel 1967 con la pubblicazione di The Mersey Sound, un bestseller della serie Modern Poets di Penguin. Sempre nel 1967, uscì la prima raccolta di Brian Patten,dal titolo Little Johnny’s Confession. L’opera fece presto emergere un personaggio: l’adolescente Little Johnny protagonista di otto poesie, un fragile ribelle, una sorta di alter ego del poeta, spesso accostato all’indimenticabile Holden Caulfield di Salinger. Attraverso le avventure del giovane Little Johnny, Patten rielaborava simbolicamente alcune sue esperienze personali adolescenziali, che si possono leggere in chiave universale, come l’incomprensione e l’incomunicabilità provocate dal gap generazionale nel rapporto genitori-figli (“Little Johnny’s Final Letter”); l’adolescenza come periodo di crisi esistenziale della propria identità (“Little Johnny’s Change of Personality”); la scoperta del mondo degli adulti e la conseguente perdita dell’innocenza infantile (“Little Johnny’s Confession”), e la ricerca di vie di fuga verso altre dimensioni; ma anche i dubbi, le difficoltà e i timori di gestire le nuove situazioni (“Little Johnny Takes a Trip  to Another Planet”, “Little Johnny’ Final Letter”); il rifiuto del mondo alienante della scuola, che, a suo parere, trasmette un sapere che educa solo al conformismo, che inaridisce la fantasia, la creatività, la propensione e le potenzialità artistiche dell’individuo, diventando strumento di formazione di soggetti passivi da asservire e sottomettere all’autorità dei poteri precostituiti dominanti e alle gerarchie istituzionalizzate che li sostengono (“Little Johnny’s Change of Personality”, “Schoolboy”).

Patten fu un ribelle romantico per il quale la poesia non doveva mai piegarsi alla convenzione. Prolifico autore di versi d’amore, ne esplorò ogni sfumatura, dall’essere una forza vitale e rigeneratrice fino a divenire fonte di smarrimento e caos. Nelle opere più mature, rivolse lo sguardo alla propria infanzia segnata dalla povertà, trovando una delle sue espressioni più intense nella raccolta Armada (1996), un commovente addio alla madre dopo la sua scomparsa.
Negli anni della maturità, Patten dedicò il suo talento alla poesia per l’infanzia, affermandosi come una delle voci più originali e riconoscibili del genere. Le sue composizioni, brillanti per arguzia e sensibilità, uniscono il gusto per il gioco linguistico a un sottile senso di meraviglia, come nella celebre raccolta Gargling with Jelly (1985), dove filastrocche e allegorie si intrecciano in un universo poetico insieme ironico e tenero.

Per celebrarne l’eredità e rinnovarne la memoria, proponiamo alcune traduzioni delle sue poesie più significative.


 

Little Johnny ’s Confession

This morning
being rather young and foolish
I borrowed a machinegun my father
had left hidden since the war, went out,
and eliminated a number of small enemies.
Since then I have not returned home.
This morning
swarms of policemen with trackerdogs
wander about the city
with my description printed
on their minds, asking
“Have you seen him?
He is seven years old,
likes Pluto, Mighty Mouse
and Biffo the Bear,
have you seen him anywhere?”
This morning
sitting alone in a strange playground
muttering you’ve blundered, you’ve blundered
over and over to myself
I work out my next move
but cannot move.
The trackerdogs will sniff me out,
they have my lollypops.

 

La confessione di Little Johnny

Stamattina
Da giovane e sciocco come sono
ho preso un mitra che mio padre
aveva lasciato nascosto dalla guerra, sono uscito, e ho eliminato un sacco di piccoli nemici.
Da allora non sono più tornato a casa.
Stamattina
pattuglie di poliziotti con i cani
battono la città
con il mio identikit
stampato in mente, chiedendo,
“L’avete visto?
Ha sette anni,
gli piace Pluto, Mighty Mouse
e Biffo the Bear,
l’avete visto da qualche parte?”.
Stamattina
seduto solo in uno strano parco-giochi
borbottando a lungo tra me e me
hai fatto uno sbaglio, hai fatto uno sbaglio
preparo la prossima mossa
ma non posso muovermi.
I cani poliziotto mi scoveranno,
hanno i miei lecca-lecca.

 

Travelling Between Places

Leaving nothing and nothing ahead;
when you stop for the evening
the sky will be in ruins,
when you hear late birds
with tired throats singing
think how good it is that they,
knowing you were coming,
stayed up late to greet you
who travels between places
when the late afternoon
drifts into the woods, when
nothing matters specially.

 

Tra un posto e l’altro

Lasciando niente e niente davanti;
quando ti fermerai per la sera
il cielo sarà in rovina,
quando odi uccelli a tarda ora
cantare con le gole affaticate
pensa a quanto è bello che loro,
sapendo che stavi arrivando,
sono rimasti fino a tardi per salutare te
che viaggi tra un posto e l’altro
quando il tardo pomeriggio
si inoltra fra i boschi, quando
nulla ha particolare importanza.




PROSE POEM TOWARDS A DEFINITION OF ITSELF

When in public poetry should take off its clothes and wave to the nearest person in sight; it should be seen in the company of thieves and lovers rather than that of journalists and publishers. On sighting mathematicians it should unhook the algebra from their minds and replace it with poetry; on sighting poets it should unhook poetry from their minds and replace it with algebra; it should touch those people who despise being touched, it should fall in love with children and woo them with fairytales; it should wait on the landing for two years for its mates to come home then go outside and find them all dead.

When the electricity fails it should wear dark glasses and pretend to be blind. It should guide all those who are safe into the middle of busy roads and leave them there. It should scatter woodworm into the bedrooms of all peglegged men, not being afraid to hurt the innocent; It should shout EVIL! EVIL! EVIL! from the roofs of the stock exchanges. It should not pretend to be a clerk or a librarian. It is the eventual sameness of contradictions. It should never weep unless it is alone, and then only after it has covered the mirrors and sealed up the cracks.

Poetry should seek out couples and wander with them into stables, neglected bedrooms and engineless cars, unsafe forests, for a final Good Time. It should enter burning factories too late to save anyone. It should pay no attention to its name.

Poetry should be seen lying by the side of road accidents, be heard hissing from unlit gas-rings. It should scrawl the nymphs secret on her teacher’s blackboard, offer her a worm saying: Inside this is a tiny apple. Poetry should play hopscotch in the 6pm streets and look for jinks in other people’s dustbins. At dawn it should leave the bedroom and catch the first bus home to its wife. At dusk it should chat up a girl nobody wants. It should be seen standing on the ledge of a skyscraper, on a bridge with a brick tied around its heart. Poetry is the monster hiding in a child’s dark room, it is the scar on a beautiful man’s face. It is the last blade of grass being picked from the city park.

 

POESIA IN PROSA PER UN’AUTO-DEFINIZIONE

In pubblico la poesia dovrebbe spogliarsi dei vestiti e salutare la persona più vicina; dovrebbe esser vista in compagnia di ladri e amanti più che di giornalisti e editori. Alla vista dei matematici dovrebbe sganciare l’algebra dalle loro menti e rimpiazzarla con la poesia; alla vista dei poeti dovrebbe sganciare la poesia dalle loro menti e rimpiazzarla con l’algebra; dovrebbe toccare chi non sopporta esser toccato, dovrebbe innamorarsi dei bambini e corteggiarli con fiabe; per due anni dovrebbe aspettare sul pianerottolo il ritorno a casa dei suoi compagni poi uscire fuori e trovarli tutti morti.

In assenza di luce dovrebbe mettersi occhiali scuri e finger d’esser cieca. Dovrebbe guidare chi è al sicuro in mezzo a strade intasate e lasciarcelo. Dovrebbe spargere tarli nelle camere da letto di tutti gli uomini con una gamba di legno senza paura di far male agli innocenti. Dovrebbe gridare Male! Male! Male! dai tetti delle borse valori. Non dovrebbe fingere d’essere uno studioso o un bibliotecario. E’ la finale analogia di tutte le contraddizioni. Non dovrebbe mai piangere se non quando è da sola e solo dopo aver coperto gli specchi e tappato le fessure.

La poesia dovrebbe scovare coppie pallide e liriche e vagare insieme a loro nelle stalle, nelle camere da letto trascurate, nelle automobili senza motore, nelle foreste pericolose, per un ultimo Gran Finale. Non dovrebbe arrivare in tempo per salvare qualcuno dentro fabbriche in fiamme. Non dovrebbe badare al suo nome.

La poesia dovrebbe esser vista per terra a fianco di incidenti stradali, mentre sibila da fornelli spenti. Dovrebbe scarabocchiare il segreto della ninfa sulla lavagna della sua maestra, offrirle un verme dicendo: dentro c’è una piccola mela. All’alba dovrebbe lasciare la camera da letto e prendere il primo autobus per tornare da sua moglie. All’imbrunire dovrebbe flirtare con una ragazza che nessuno vuole. Dovrebbe esser vista sul cornicione di un grattacielo, su un ponte con un mattone legato attorno al cuore. La poesia è il mostro nascosto nella stanza buia di un bambino, è la cicatrice sul viso di un bell’uomo. È l’ultimo filo d’erba colto da un parco cittadino.

 


Traduzioni di Bernardino Nera e Floriana Marinzuli


In copertina: Samuel Nnorom, The Good, Bad and Ugly, 2023, African Print Fabric, 180 × 150

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