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Infinite Quest – Il futuro è una distopia possibile. Dialogo con Gabriele Esposito

Domanda e risposta: due entità complementari, eppure l’una genera l’altra, in un interscambio potenzialmente infinito, mai esausto, mai uguale a se stesso. La sintesi dell’incontro, il binomio preferito della conoscenza. E della curiosità.
“Intervista” è solo il nome che ne racchiude l’atto e l’intenzione ma, in questa rubrica, protagonista sarà il dialogo – l’incontro – lo scambio. 
Esseri umani che hanno una visione e che si sono imbattuti nel proprio labirinto personale. Perdersi significa anche attraversarlo. E magari raccontarlo.

 

 

 


Come si abita un mondo che non crolla ma che potrebbe implodere da un momento all’altro? E che immagine ci restituisce la vetrina del mall in cui tentiamo di specchiarci? In quel riflesso sei più amico del nemico o autentico amico degli amici?

Gabriele Esposito ha scritto Gli Ausiliari (STC Edizioni), un romanzo immerso in un futuro dispotico ma che tratteggia in maniera inquietante anche alcuni profili distorti appartenenti alla nostra contemporaneità; eppure, in un presente in cui tutto è – e sarà – rapido consumo, il romanzo richiede tempo (e dunque lentezza), richiede attenzione, richiede soprattutto un ritmo di lettura che non concede distrazioni, anche se è attraversato dall’intrattenimento per eccellenza: un videogioco, un elemento che invece di svagare chi tenta di completarlo, misura in percentuali ciò che resta della ragione, della libido, della volontà di potere, nella sua duplice veste ovvero il potere inteso come poter-fare, e il potere inteso come politica-ascesa-congiura. Perché una congiura c’è eccome in questa storia, ed è quella più audace e più distorta di tutte: quella di Catilina. Rimaneggiata ancora e qui in una veste futura, ma che si porta addosso ancora tutti i suoi strascichi (anche quelli erotici).

 

 

 

A cura di Giulia Bocchio

 

Quousque tandem abutere, Catilina, patientia nostra?

Gabriele, bentrovato. Ci ho messo un po’ a leggere il tuo ultimo romanzo, Gli Ausiliari, e l’ho fatto di proposito: ho voluto prendermi il tempo necessario per entrare in sinergia con la complessità stilistica della scrittura e la struttura stessa del libro. Due aspetti, questi, che si intersecano in un gioco che è quasi un virtuosismo e, cosa affatto non scontata, qui appaga (anche) chi è dall’altra parte della pagina. Prima di addentrarci nel vivo della trama ti domando questo: per raccontare una distopia possibile, in letteratura, quanto è importante manipolare il linguaggio, la sua forma e le sue simbologie?

G.E.: Cara Giulia, grazie per avermi letto e per l’invito a dialogare con te sul romanzo. Ho pensato a Gli Ausiliari, fin dall’inizio, come a un concept di arte contemporanea: una forma dalla struttura rigidissima, con delle regole tutte sue, che mi impedissero di fare errori. Una sorta di foglio di istruzioni da scrivere prima di realizzare una performance. Per metà del libro c’è un politico che parla in prima persona rivolgendosi a un “voi” indistinto che rappresenta tutto ciò che è altro da sé, e per l’altra metà c’è un uomo comune a cui un indistinto altro da sé si rivolge dandogli del “tu” o del “lei” a seconda del suo stato sociale del momento. Questa forma mi è stata indispensabile proprio per raccontare una distopia possibile, una distopia forse molto attuale: innanzitutto un politico e un cittadino l’uno il contrario dell’altro e che non si incontrano mai. Poi la contrapposizione tra un “io” potente e complesso e il “voi” che racchiude al suo interno collaboratori, oppositori, il popolo, gli elettori, gli alleati, tutto il resto del mondo, tutto quello che non è degno di essere “io”. E che – piccolo spoiler – magari diventerà un “noi” nel momento culminante, quello della consapevolezza di aver provato di tutto per poter, invano, cambiare le cose. Infine, le distanze tra gli uomini, questo “lei” ossequioso che è forse la cifra stilistica più originale nel romanzo e che è pronto, subdolamente come sanno essere subdole le persone, a diventare un “tu” quando il protagonista deve abbassare le difese per ragioni indipendenti dalla sua volontà. La distanza trasmessa dal “lei” e il rischio di dover passare a un “tu” quando le cose vanno male raccontano, nei miei intenti, quello che succederebbe in un mondo poco distante dal nostro dove le intelligenze artificiali fanno tutto, il reddito universale garantisce la sopravvivenza, ma la concorrenza rimane perché è impossibile per l’uomo non desiderare di più di quello che ha.

G.B.: Ci troviamo in futuro prossimo, dominato dalla burocratizzazione del vivere, dall’assenza di rapporti personali autentici, dove tutto è transazione, consumo, intelligenza artificiale, lusso e pseudo perfezione fisica.
A scandire i fatti, sopra le teste dei protagonisti, c’è Betelgeuse, una stella ormai esplosa, i cui strascichi di esplosione illuminano a giorno anche la notte. Le teste sono quelle di Gonzalo Ialuronico, di Ialuronico Paco, Il Cardinale, Il Cavalocchio, Il Porco, Arturo Parteguelfa. Dentro questi nomi c’è qualcosa di evocativo, ialuronico è anche l’acido più iniettato in medicina estetica insieme alla tossina botulinica, dovrebbe riempire i nostri vuoti, eppure…

G.E.: …Eppure di vuoti, nel romanzo, ce ne sono tanti. “Ialuronico” è un nome messo lì a rappresentare l’ideale di perfezione che l’essere umano vuole raggiungere, soprattutto nei tempi in cui ci troviamo a vivere. Una vana promessa del sistema che non può essere mantenuta. Ho stressato un po’ le cose, ho dato ai miei personaggi la possibilità di vivere in un mondo dove non devono lavorare ma loro sono riusciti lo stesso a rovinare tutto – questo perché credo che se non c’è più niente da fare l’unica soluzione per non morire di noia nel lungo periodo è il cercare di ottenere di più. Lo si vede simbolizzato anche nel videogioco al quale uno dei personaggi principali si dedica lungo tutto il romanzo, una sorta di Animal Crossing dove il costruire e l’acquistare cose sono gli unici modi per andare avanti (videogioco che, tra l’altro, mi sono divertito a programmare ed è davvero disponibile e giocabile, in forma breve e perturbante, nel sito di STC Edizioni, con il titolo di Paco’s Island)

La stella Betelgeuse, che citi, rappresenta il capitalismo immutabile nei secoli: perfino quando è esplosa (cioè quando non serve più lavorare) rischiara il cielo nella sua bellezza per mesi e mesi – mantenendo sostanzialmente immutate le sue caratteristiche. 

 

 

G.B.: A tutto questo si alterna l’altra testa, che è quella del politico che narra se stesso e le sorti del potere in prima persona. È un personaggio ipnotico, ambiguo, ti ritrovi ad esserne un seguace pagina dopo pagina: e questa è la riscrittura della congiura di Catilina. Di questo patrizio detestato da Cicerone e che aveva raccolto a sé nobili decaduti, giovani ambiziosi senza prospettive, veterani indebitati e persino uomini comuni oppressi dalle difficoltà economiche, Sallustio, nel suo resoconto storico, ne mette in scena soprattutto la corruzione, le perversioni e la sfrenata ambizione. La congiura resta un episodio simbolico della crisi della Repubblica romana e anche se lontana nel tempo e nello spazio, eccola tornare nella società da te immaginata nel romanzo. In fondo, tutto ritorna.
Come nasce questa ‘costola narrativa’?

G.E.: Il Catilina del romanzo nasce proprio come personaggio complementare all’uomo comune. Il politico che vuole cambiare le cose ma che rimane inavvicinabile, come il vero Catilina, appunto un patrizio da generazioni che nulla aveva in comune con la plebe, ma con idee riformatrici. Sallustio, la fonte più importante che abbiamo oggi sulla vicenda, era un sostenitore politico di Cesare (che nel romanzo c’è, era all’epoca Pontefice Massimo e lo inquadro nella figura del Cardinale), e ha probabilmente esagerato in negativo il carattere di Catilina per proteggere quello che probabilmente era stato il coinvolgimento diretto nella congiura del suo più illustre alleato. Quanto all’altra fonte, quella direttissima rappresentata dalle Catilinarie pronunciate e poi scritte da Cicerone, beh, non penso possano illustrare la realtà in maniera obiettiva: lui e Catilina erano nemici mortali. 

Questo per dire che il Catilina del romanzo è sì immorale, corrotto e perverso e con un occhio attento al potere personale, ma è anche spinto da sentimenti positivi per la popolazione. Che alla fine questi, nel romanzo, debbano rimanere solamente idealizzati e distaccati è elemento in linea sia con la storia romana che con la nostra triste esistenza contemporanea.  

G.B.: Fra le righe, in controluce rispetto a Betelgeuse, c’è un erotismo strano, che emerge sudato.  Da un lato il sesso opulento, sfacciato, intercambiabile. Dall’altro la fisicità accompagnata dall’affettività è reato in questa società che vieta la vendita dell’amore. Prostituirsi negli affetti non è consentito, può avere conseguenze fatali e altrettanto perverse. Ancora una volta il corpo è normato, sottoposto a un controllo che è iperburocratizzato nonostante la libido…

G.E.: Qui ho preso effettivamente una decisione, se rappresentativa di una realtà futuribile non lo so: in un mondo alienato in quel modo, dove si ha tutto e si cerca di avere di più, ho immaginato il sesso come qualcosa di semplicissimo da ottenere e l’amore e l’affetto come elementi impossibili, costosissimi. Con cartellini del prezzo ben precisi, in ottica capitalistica, uno status symbol inarrivabile quanto illegale. E quindi le peripatetiche d’affetto che si vendono nelle strade del mondo de Gli Ausiliari. Un modo per controllare le persone – mantenere il più possibile quel “lei”, quel tono formale, che deve contraddistinguere gli scambi tra pari e che, come dicevamo all’inizio, è al centro della struttura del romanzo. Nessuno deve interessarsi a nessuno, perfino quando si passa al “tu” non è per vicinanza, è per spregio. La vera vicinanza va pagata e se la si ottiene si rischia di essere messi fuori dal sistema, di essere degli irregolari. 

G.B.: Ti faccio un’ultima domanda, quella consueta della rubrica: immaginiamo un secolo da oggi, non ci saremo più, non ne saremo testimoni, ma se qualcuno leggesse Gli Ausiliari, cosa speri possa cogliere del nostro tempo, delle nostre paure? E se tutto ciò gli apparisse ancora più oscuro e incomprensibile di quanto lo sia stato per noi?

G.E.: Tra un secolo l’intelligenza artificiale sarà ovunque. Forse non dietro a tutto il lavoro manuale, ma io penso che ci saranno progressi anche in quella direzione. Per evitare disastri economici come quelli accaduti con la rivoluzione industriale, il reddito universale dovrà essere una realtà. La stella Betelgeuse potrebbe essere scoppiata, le stime dicono che accadrà tra molti anni ma anche che potrebbe succedere in ogni momento, anche ora, anche tra cento anni. Tutto questo per dire che tra un secolo potremmo essere molto vicini a una società simile a quella del romanzo. E dato che non si può immaginare un mondo senza capitalismo, cosa faranno le persone? Gli artisti no: quello lo faranno i bot. I vacanzieri? Il mondo sarà sempre più piccolo, ogni destinazione raggiungibile, che noia, nel lungo periodo. E quindi la gente la immagino alienata come nel mio romanzo, in costante ricerca di dopamina. Non solo certamente nessuno leggerà Gli Ausiliari, ma nessuno si occuperà del nostro tempo, le persone scrolleranno le informazioni del loro, non-stop. E tutto sembrerà oscuro e incomprensibile ai più. 

Se invece vogliamo fare gli ottimisti, spero almeno che del libro rimanga la percezione della mia paura di perdere i legami autentici e di diventare ingranaggi nella macchina del consumo e della burocrazia (e qui offro una possibile chiave di lettura anche per chi si chiede cosa cavolo ci fa una recensione alla serie animata DuckTales all’interno del romanzo). 

 


Gabriele Esposito (Venezia, 1983) è dottore di ricerca in Economia. Ha studiato e lavorato in cinque paesi europei e, dopo studi postdottorali in scienze comportamentali, si è stabilito a Bruxelles, dove vive tuttora. Ha pubblicato il romanzo d’esordio Tutto finisce con me (Wojtek, 2022) e suoi racconti sono apparsi su antologie e oltre venti riviste letterarie, tra cui Nazione Indiana, Micorrize, In Allarmata Radura, Galápagos, Turchese, Verde e Fuoripunto. Scrive di solitudine, tecnologia e capitalismo, ovvero le tre cose che riempiono le nostre giornate, nel bene e nel male.


In copertina: Enrico Robusti, Se penso che domani dovremo pagare l’affitto avverto un senso di vertigine (2008)

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