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Foreste della mente 

Di Diego Infante

 

Le discipline tecniche, com’è noto, escludono dal proprio campo d’indagine la costruzione di alternative di senso e il superamento del mero dato, trattandosi di posture eccedenti lo spirito positivista che ne informa l’ordito. Non fanno eccezione le scienze forestali, se non fosse per il costante confronto con uno dei luoghi che più traboccano di valenze simboliche: la foresta, assurta nell’immaginario occidentale a «ombra della civiltà»1. Eppure a volte questi significati riescono a far breccia e a trascendere le angustie del riduzionismo: in tal caso la foresta va a configurarsi quale recesso della mente, dischiudendo orizzonti talmente vasti da lasciare sullo sfondo le pur interessanti notazioni di carattere tecnico. È un po’ l’itinerario percorso da Paola Favero, forestale e alpinista, nel suo ultimo libro, La foresta racconta. Storie di alberi, uomini e animali (Hoepli).

 

La foresta racconta. Storie di alberi, uomini e animali

Prendendo avvio da sentieri più battuti e prossimi – in quel bosco del Cansiglio da cui la Serenissima attingeva il materiale per i propri remi mediante pratiche selvicolturali rispettose dell’ecosistema – Favero compie una totale metamorfosi per raggiungere infine i territori dell’antropologia e del confronto con l’Altro da sé. Il fecondo itinerario consta giustappunto di una progressiva emancipazione da una vena narrativa attenta alla descrizione di luoghi che recano impresso il legame tra uomini e clorofilla, arrivando a revocare in dubbio e poi a respingere la prospettiva di una totale trasparenza (e quindi disponibilità) del vivente non umano. A fronte della deriva produttivistica del settore forestale – la cui regressione è denunciata a più riprese – Favero ci porta in giro per il pianeta alla scoperta di foreste straordinarie, pressoché sconosciute ai non addetti ai lavori. Ed è questo il primo pregio del libro: narrare, senza mai incorrere in paludamenti accademici, luoghi più o meno remoti con la precisione del cultore della materia, riconducendo la molteplicità dispersa delle mutevoli impressioni a una griglia precisa, fatta di tassonomie e caratterizzazioni fitosociologiche. Sotto questo profilo, la narrazione riesce a soddisfare le esigenze di chi voglia scoprire gli ecosistemi forestali più rari al mondo, dalle Alpi al Giappone, passando per Tanzania e Himalaya, con importanti spunti di riflessione sull’impatto antropico che ne minaccia l’integrità o la stessa sopravvivenza.

Di una bellezza rigenerante sono le foto scattate dall’autrice, che catturano la magia di paesaggi arborei sovente relegati a un piano marginale dalla letteratura di viaggio, vittime sacrificali della diffusissima «plant blindness»2 , la cecità di fronte alle mille sfumature di verde che abbiamo intorno. Ma, come si diceva poc’anzi, c’è un livello della narrazione che non si limita a registrare e catturare foglie, emozioni, sguardi, poiché strada facendo, foresta dopo foresta, si arricchisce di consapevolezza fino a mutare la propria natura indagatrice e oltrepassare il piano meramente descrittivo. Il bosco diventa allora uno stato della mente, fatto di connessioni vorticose e inestricabili, luogo di risonanza con qualcosa di più vasto, in una natura che infine diventa «grembo» (p. 179). Nel libro di Favero lo smarrimento è propedeutico al ritrovarsi in una dimensione accresciuta, eccedente i sentieri battuti. La vita arborea, in maniera icastica, insegna che nulla muore, ma tutto si trasforma (p. 174): una riflessione che corre parallela all’esplorazione della millenaria foresta giapponese di Cryptomeria japonica sull’isola di Yakushima, testimonianza vivente di un tempo ciclico che per noi occidentali resta di difficile comprensione. Ecco allora che l’idea di tornare «a condividere con il bosco quel destino di cui entrambi facciamo inconsapevolmente parte» (p. 66) trova il suo compimento nell’incontro con Davi Kopenawa, sciamano del popolo Yanomami, assai noto a livello internazionale per le battaglie in difesa delle foreste e della propria gente, che ha visitato il bosco del Cansiglio nel 2024 (p. 198). Questa esigenza di colmare lo scarto tra soggetto e oggetto, sé e altro, vegetale e animale, è molto chiara allorché l’autrice fa riferimento «“all’importanza di diventare indigeno del proprio luogo”» (p. 201). È qui che il viaggio di Favero trova la sua piena realizzazione, in senso stretto e in senso lato. Non è un caso, infatti, che tali riflessioni scaturiscano al cospetto degli ombrosi faggi del Cansiglio dove la narrazione aveva mosso i suoi primi passi: una testimonianza della circolarità del racconto e della vita stessa, a dimostrazione di quanto l’itinerario percorso dall’autrice non sia unicamente descrittivo ma anche e soprattutto trasformativo. 



Note

1 Robert Pogue Harrison, Foreste. L’ombra della civiltà, trad. it. di Giovanna Bettini, Garzanti, Milano 1992.
2 Il concetto appare per la prima volta in James H. Wandersee, Elisabeth E. Schussler, Preventing plant blindness, «The American Biology Teacher», vol. 61, n. 2 (1999), pp. 82-86.

 


Paola Favero da sempre cammina per montagne e foreste, raccogliendo immagini, emozioni, conoscenze. Dopo aver lavorato per anni nel Corpo Forestale dello Stato, continua oggi a occuparsi di boschi e foreste attraverso conferenze, corsi, articoli, libri, racconti per ragazzi, volumi naturalistici e di alpinismo, raccolte di antiche leggende cimbre e ladine, testi sulla montagna e i cambiamenti climatici, tra cui C’era una volta il bosco (Hoepli 2019). Nel 2002 ha vinto il Bancarella Sport per la montagna, nel 2005 il Premio Marcolin di letteratura alpina e nel 2019 le è stato conferito il Premio Internazionale “Una mimosa per l’ambiente”. È vicepresidente del GISM e ha fondato Insilva, un’associazione di studiosi e artisti che cercano di condividere in modo originale tematiche ed emergenze ambientali.


Diego Infante è nato nel 1987 in provincia di Avellino. Ha conseguito una laurea magistrale in Filosofia cum laude con una tesi sull’ecologia presso l’Università degli Studi di Salerno. È stato editor e vicedirettore della rivista Simbiosi – dedicata ai temi ambientali – fino al 2024, anno di cessazione delle pubblicazioni. Suoi contributi sono apparsi su quotidiani e riviste come La causa dei popoli, Quaderni Asiatici, il Quotidiano del Sud. È consigliere dell’associazione Fondo Biodiversità e Foreste, che acquista boschi da lasciare alla libera evoluzione. Collabora altresì con GUFI – Gruppo Unitario per le Foreste Italiane. Il suo ultimo libro è Le ragioni del Buddha (Meltemi, 2018).



In copertina: Peder Mørk Mønsted, Paesaggio fluviale boscoso, 1913, olio su tela, cm 81×123, Collezione privata

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