Di Omar Suboh
«Vediamo l’amore come una persona. Esiste. Ci sei tu, ci sono io, c’è il nostro amore: come dire Padre, Figlio e Spirito Santo. È scontato. L’amore è lì, vivo, per sempre. Nessun bisogno di fargli la guardia. E a un certo punto se la svigna così, senza preavviso!».
Serge Mirkine è attore ma, soprattutto, scrittore: aspirante autore di successo, disposto a tutto per ottenerlo. Scrive un romanzo dal titolo I strani amori, lo invia a uno dei premi più prestigiosi della scena francese, il Messidor, e inaspettatamente lo vince pure. Ma si sa, un premio così prestigioso, con tutte le conseguenze che può implicare, rischia di essere un fardello difficile da gestire per un autore emergente, lo stesso Mirkine ne è consapevole quando dice: «Esordire con un successo del genere può uccidere uno scrittore. Sì, sì, so quel che dico. Guarda gli autori che hanno vinto il Goncourt o il Femina con il loro primo libro… Dopo non hanno più combinato niente. Giù il sipario! L’oblio!». Il punto è un altro: Serge Mirkine non può rivelare di essere lui l’autore del libro vincitore, il perché è svelato nelle pagine precedenti a questa riflessione, per altro attualissima anche per il panorama editoriale italiano contemporaneo, ma non la riveleremo qui.

I Vedovi (Adelphi, 2025) è il sesto romanzo della coppia di scrittori Pierre Boileau e Thomas Narcejac, i cui titoli più noti, in corso di ripubblicazione da Adelphi, restano I diabolici e Vertigo – o La donna che visse due volte –, entrambe le opere sono state consacrate dal cinema grazie al lavoro rispettivamente dei registi Henri–Georges Clouzot e Alfred Hitchcock. Il romanzo, apparentemente, racconta la storia di un sentimento morboso, oggi parleremo di dipendenza affettiva, la stessa che è stata messa al centro di classici come Un amore di Dino Buzzati, o La gelosia di Alain Robbe–Grillet, per citarne un paio. Ma sopratutto dal regista Clouzot, già menzionato proprio per I diabolici. Sarà il regista francese a fornire al pubblico una magistrale rappresentazione della condizione mentale di chi è prigioniero della paranoia, la stessa che attanaglia da dentro condizionandone dal principio ogni comportamento e gesto il protagonista di questo romanzo, I vedovi.
Il lettore viene accompagnato dalla sapiente tecnica narrativa del discorso diretto, o monologo fluviale, di Mirkine dall’incipit e per il resto dell’opera senza mai staccare l’obiettivo cinematico dalla coscienza torbida, inquinata dalla paranoia del tradimento della moglie: Mathilde, modella parigina la cui professione sarà segnata dal suo posare in biancheria intima per Jean–Michel Meryl, il suo stilista di riferimento. Come Clouzot ha mostrato in film come La prigioniera, o La verità, ma ancora di più nel capolavoro incompiuto con Romy Schneider nell’Enfer, la paranoia può assumere i lineamenti di mostri antichi, di demoni sepolti nell’inconscio collettivo che, lentamente ma con tutta la impetuosità di una valanga, riaffiorano dal profondo e affondano i loro artigli senza lasciare più scampo. Frattali, immagini ricorsive, cerchi neri solcati da linee frastagliate, statuine millenarie dai volti raccapriccianti, sorrisi ammiccanti e sguardi obliqui che si trasformano in una metamorfosi perpetua dell’anima, impedendo ogni gestione razionale dei pensieri: «La ginnastica io la facevo nella mia testa», confessa a un certo punto Serge Mirkine.
Questo è il bagaglio necessario per armarsi di imparzialità e avere la pazienza di seguire, nei profondi abissi mentali ed emotivi, la voce narrante di questo romanzo giallo/thriller. I maestri della suspense, Boileau–Narcejac, orchestrano magistralmente la narrazione fino all’ultima pagina, in un crescendo di colpi di scena che tiene incollati fino a un finale esplosivo e inaspettato.
Il perno da cui parte la vicenda è proprio la paranoia di Serge, convinto che la moglie lo tradisca, decide di rivolgersi a un’agenzia di investigazione privata, diretta da un tale di nome Joseph Merlin, la fa pedinare ma fraintende il motivo per cui viene immortalata in accappatoio, completamente nuda sotto, in una villa fuori dal centro. Il fraintendimento è il motore che innesca il meccanismo di vendette meditate a lungo, inarrestabili una volta che il processo è stato avviato. Così, in un crescendo di eventi, la vittoria al premio letterario tanto ambito da Serge si trasforma nella paura di essere scoperto, messo a nudo, mascherato! – per citare un passaggio del celebre capolavoro Persona di Ingmar Bergman –, per tanto non può rivelare di essere lui l’autore del romanzo, perché verrebbe scoperto da qualcuno di scomodo. Il personaggio in particolare è tale Patrice Garavan, industriale attivo nel settore tessile, lo stesso che si assumerà tutta la gloria derivata dalla vittoria del premio, alimentando nuovamente la follia omicida di Serge Mirkine.
I vedovi è un’opera squisitamente letteraria che, pur strizzando gli occhi al cinema, non rinuncia mai alla sua estetica romanzesca, ma arricchisce di dialoghi e pensieri ossessivi ogni pagina, dispiegando i labirinti della mente in tutta la loro estensione – «In un romanzo si può immaginare tutto quel che si vuole. Ma in un film…», gli contesta Patrice Garavan, ora scrittore di successo, acclamato, al vero autore de I strani amori, ora che in ballo c’è la possibilità di trasformare il libro in un’opera cinematografica –. Il confine in cui si muove la narrazione sta tutto qui: nell’abilità dei due autori, il cui gioco di specchi, forse, si riflette anche nel conflitto interno al romanzo stesso tra Garavan e Mirkine, di trascendere i generi in cui la tendenza consolidata vorrebbe incasellare i libri in categorie e sotto categorie, aprendosi al gioco della finzione il cui giudizio sullo sfondo resta implacabile verso la ferocia della condizione umana, così miseramente schiava delle proprie ossessioni: «Serge, il nostro personaggio è un uomo divorato da un amore passionale. Il geloso non si dà mai pace. Per lui l’amore è sempre dubbio, diffidenza, sospetto, angoscia… Giusto?».
In copertina: artwork by Colombotto Rosso

