Di Annachiara Atzei
“Sono passati quasi quattro mesi. Sono in giardino, è già primavera. Strano, penso, mio padre non c’è e la primavera è arrivata. Ho detto alle rose: rose, il vostro padrone non c’è, ma voi continuate pure a mettere le foglie. Ho detto agli alberelli di ciliegio: mio padre non c’è più, ma voi non soffritene, fiorite e attecchite come potete. Ho detto alle radici di quello che dovrà spuntare, germogliare e dare frutti: non c’è più chi aveva cura di voi, ma non abbiate paura, il giardiniere celeste non veglia forse su di noi… o come era scritto…?”
Georgi Gospodinov, Il giardiniere e la morte
Quando una storia si riveste di parole non appartiene più al suo autore, ma entra a far parte dell’ordine della realtà e di quello della finzione allo stesso tempo. Ecco perché Il giardiniere e la morte, di Georgi Gospodinov, per i tipi di Voland, sfugge ai generi e alle definizioni: forse è un romanzo elegiaco, forse un memoir o, forse, è un “romanzo giardino”.
Di sicuro, è per questo che lo scrittore bulgaro, impostosi sulla scena internazionale con Fisica della Malinconia e Cronorifugio (entrambi tradotti per Voland), lo ha scritto: per creare un corridoio parallelo nel quale il mondo e tutti quelli che lo abitano siano al loro posto.
Subito il lettore è messo sull’avviso: alla fine del libro – anzi ancora prima – l’eroe muore. Ma poi è di nuovo vivo: in tutti gli aneddoti e le storie che lo riguardano, negli oggetti che ha posseduto, nelle case che ha abitato, negli incontri, nelle persone che ha amato. Nel giardino che ha coltivato per una vita intera. C’è un principio, infatti, che muove la narrazione: nel passato, il tempo non va in un’unica direzione ma si irradia, è un pendolo, perde la sua linearità.
È così che Gospodinov – autore originale e raffinato – sceglie di parlare della morte: abbandonando i canoni di passato e presente e parlando della vita nella sua essenza. Dei suoi pesi, degli ostacoli, delle risate e dei giorni di festa: insomma, delle sue contraddizioni. Ed è così che racconta la vicenda di un padre che si ammala gravemente e muore e del suo amato giardino, che, nonostante tutto, resta anche dopo la sua assenza. Il giardino come metafora di una continua nascita e il giardinaggio come originariamente orientato contro la morte. “Penso che l’idea della resurrezione sia un’idea botanica” – scrive l’autore – e aggiunge: “Anche l’immortalità è una categoria botanica”: le piante sanno come morire in modo da ritornare di nuovo in vita. Ciò che va via permane all’interno di una cornice vitale e perpetua. Gospodinov, cioè, inventa un modo per restare fedele al divenire. Quel succedersi di eventi che il più delle volte non controlliamo e davanti ai quali siamo chiamati a fare una scelta: cosa per noi è importante e cosa non lo è, cosa ci identifica e diviene parte di noi e cosa no. Forse per questo, mi viene in mente Canto alla durata (Einaudi), la bella raccolta di Peter Handke in cui il poeta austriaco delinea un contorno a quanto ha tendenza a dissolversi: “e mi venne così da descrivere/ la sensazione della durata/ come il momento in cui ci si mette in ascolto”: è una difficile ricerca, la sua, che affonda nel fuori e nel dentro di sé. Come a dire che gli eventi quotidiani richiedono la nostra attenzione, salvo perdersi – invece – in una automatica e inerte ripetizione. Così fa Gospodinov, che decide che le piante del giardino del padre, così come i suoi racconti e i suoi appunti, segnino una continuità, una vera e propria compresenza tra ciò che è stato e ciò che ancora è o potrà essere.

C’è una evidente malinconia in queste pagine. È quella che segue il dolore del lutto e che non riguarda tanto le cose accadute (che piano piano si allontanano da noi fino, forse, a dimenticarcene) quanto gli interrogativi e la paura del futuro: come farò d’ora in poi? Come vivrò senza quella persona? Sono domande che ognuno di noi si pone. La storia narrata qui, infatti, è individuale ma è anche quella di ciascuno: davanti a una perdita chi non si chiede come sia possibile affrontare ciò che la vita da quel momento in poi presenterà? Chi non avverte un vuoto incombente? Ecco perché l’autore racconta la sua esperienza: per un recupero del passato – personale e collettivo – e per cercare di proiettarsi nel tempo che viene ben radicato in ciò che gli è più caro: la famiglia di origine, la nuova famiglia, la figlia, il suo paese natale.
In che modo questo succeda non è difficile da individuare: attraverso una simbolica eredità: i racconti di un uomo che ha attraversato un’epoca – quella del socialismo in Bulgaria, che ha obbligato i padri a stare lontani dai figli – e il suo amato giardino, nel quale egli crede e si identifica. E se in opere precedenti Gospodinov ha affrontato la tematica del passato ipotizzandola come merce di scambio quando non si è capaci di immaginare un avvenire possibile, qui succede il contrario: il passato si fa presente, convive con esso, oppure è il substrato per costruire – o ricostruire – se stessi e la propria esistenza. Il giardinaggio è un modo per farlo, la letteratura lo è altrettanto.
In questo libro, dove il tempo procede senza ordine apparente, anche la narrazione si sviluppa come un labirinto (“Le trame non sono la cosa più interessante” – ha dichiarato Gospodinov – “perché non assomigliano mai alla vita”): un percorso sentimentale ed emotivo all’interno del quale spetta al lettore trovare una via: ricomporre il senso profondo della vicenda descritta. Che si tratti di un episodio dell’infanzia, del resoconto della cura del giardino appuntato in un diario, della descrizione di un fiore o del tentativo di accompagnare un padre verso la fine della vita, è l’idea di attaccamento a prevalere, l’umanità richiesta davanti a situazioni di estremo dolore.
È realtà? È finzione? Cosa accomuna questa fatica alla coltivazione di piante e fiori? Di certo, riguarda la vita di tutti. A Gospodinov, il merito di averlo detto con rara sensibilità.
Georgi Gospodinov, nato a Jambol nel 1968, è poeta innovativo e raffinato, prosatore e studioso di letteratura, oggi considerato lo scrittore più talentuoso della Bulgaria. Con il suo esordio narrativo, Romanzo naturale (Voland 2007), accolto come una vera rivelazione, ha immediatamente incontrato il favore di critica e pubblico che ne hanno decretato lo straordinario successo, e ha ottenuto il primo premio del concorso Razvitie per il romanzo bulgaro contemporaneo. È tradotto in diciannove lingue.
Di Gospodinov Voland ha pubblicato le raccolte di racconti …e altre storie (2008), E tutto divenne luna (2018), Tutti i nostri corpi (2020) e i romanzi Fisica della malinconia(2013) – con il quale nel 2014 è stato finalista del Premio Von Rezzori e del Premio Strega Europeo –, e Cronorifugio (2021), con il quale l’autore si è aggiudicato il Premio Strega Europeo 2021.
Di lui è stato detto: “Definito il Milan Kundera della Bulgaria… potrebbe essere accostato anche a Friedrich Dürrenmat… ma a ben vedere Georgi Gospodinov è uno scrittore unico.”
In copertina: Stanley Spencer, Serra e giardino, 1937, olio su tela, cm 76×50, Ferens Art Gallery, Kingston upon Hull

