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I want a holophrase: il modernismo e l’oblio di Hope Mirrlees

Di Giulia Bocchio

 

Su YouTube si possono trovare diversi video rudimentali girati a Parigi negli anni delle avanguardie e ci si potrebbe passare ore a guardarli, rappresentano una visione più o meno nitida di quei caffè e di quel viavai continuo tipico di una metropoli che stava assorbendo sempre di più un concetto di modernità legata all’espressione di sé e all’autodeterminazione artistica: d’altra parte si doveva andare lì per tentare di combinare qualcosa.
Alcuni di quei video potrebbero essere accompagnati da una voce di fondo, proveniente dall’opera di un’artista dimenticata, che nel 1920 raccontò la sua personale visione della capitale francese: Hope Mirrlees.
Ma facciamo un passo indietro.

Alla fine dell’aprile 1920, in un’Inghilterra che ancora avvertiva le scosse di assestamento della guerra e intanto guardava con inquietudine all’incalzante modernità, i coniugi Virginia e Leonard Woolf  erano impegnati a stampare opere con la loro piccola casa editrice, la Hogarth Press, un’officina tipografica fondata nella casa di Richmond, un’impresa che univa idealismo e militanza culturale, e che si proponeva di dare voce non solo ai lori testi, ma anche a quelli di amici e outsider, in nome di una letteratura che sapesse farsi esperimento e strumento di rottura. Ed è in questo contesto che viene alla luce una delle pubblicazioni più enigmatiche dell’intero catalogo della casa editrice: Paris: A Poem, della pressoché sconosciuta Hope Mirrlees.

Di Paris vennero stampate 175 copie, con un errore che già di per sé contribuisce a immergerlo in un’aura di obliquità: la data sul frontespizio è il 1919, anziché il 1920, un’anomalia mai del tutto chiarita, ma forse rivelatrice del suo carattere liminale. Il poemetto è una testimonianza vivida di un modernismo non ancora cristallizzato in forme canoniche, e proprio per questo ancora in grado di destabilizzare.
La giovane Mirrlees, nel dare voce alla sua esperienza della capitale francese, crea una sinfonia urbana scomposta e caleidoscopica, dove lingue si sovrappongono, visioni si susseguono, e l’influenza della guerra è una presenza fantasma che increspa ogni superficie, anche quella del foglio stesso: in stile Apollinaire i versi si muovono in maniera graficamente studiata e scanzonata, con un tocco ironico e drammatico, coerente con le complessità della stessa Parigi.
Eppure, nonostante l’impatto potenziale di un’opera così originale, Paris finì quasi subito in un cono d’ombra: ignorato dai più, archiviato senza clamore, dimenticato perfino da coloro che ne avevano curato la stampa.

La sua resurrezione letteraria avviene molto più tardi, nel 1973, quando Paris viene ripubblicato nella Virginia Woolf Quarterly, seppur in una versione parzialmente censurata dalla stessa autrice, a conferma della tensione tra esposizione e ritrarsi che ha sempre caratterizzato la figura di Mirrlees. Ma è solo nel 2007 che l’attenzione critica comincia davvero a riprendere il filo interrotto, grazie al lavoro di Julia Briggs, che include il testo nell’antologia Gender in Modernism, restituendogli una cornice di lettura nuova, più sensibile alle scritture eccentriche, marginali, ibride. È però con l’edizione di Sandeep Parmar del 2011, e ancor più con la raccolta Selected Poems del 2016, che Hope Mirrlees viene finalmente reinserita nel discorso modernista non più come nota a piè di pagina, ma come nodo attivo di una rete creativa ingiustamente trascurata. Parmar, con gesto critico e filologico insieme, ricompone la figura della poetessa in tutte le sue sfaccettature: la studiosa, la traduttrice, l’intellettuale che naviga tra mondi linguistici e culturali, sempre in bilico tra affermazione e scomparsa.

 

Hope Mirrless

Nel 2020, a distanza di un secolo dalla prima stampa, la casa editrice Faber & Faber celebra Paris con una nuova edizione, suggellando così il ritorno di una voce che a lungo era rimasta silente. Ma questa riscoperta, sebbene significativa, non cancella l’aura sfuggente e imprendibile che ha sempre avvolto la figura di Hope Mirrlees. Nei suoi diari, Virginia Woolf ne tratteggia un ritratto tanto allegro quanto impietoso: una giovane donna ben vestita, graziosa, con opinioni forti su libri e stile, dal gusto aristocratico e tendenza conservatrice, amante della letteratura elaborata e della parola straniera pronunciata con cura quasi ostentata. Capricciosa, sfuggente nelle relazioni (il suo lungo rapporto con Jane Harrison è esso stesso un legame audace e inclassificabile), refrattaria alla convenzione, capace di chiudere ogni possibilità di scambio epistolare con la stessa Woolf con un secco “Oh no. I can’t write to people”.

Una riscoperta, quella di Hope Mirrlees e del suo Paris, necessaria, nonché  un esempio emblematico dell’importanza della critica contemporanea nel rileggere il passato con occhi nuovi e per riconsiderare le figure marginalizzate della storia letteraria, specialmente le donne: la  stessa Mirrlees, pur non ottenendo la stessa fama dei colleghi uomini come Eliot, Pound o Williams, riesce oggi a conquistare la sua rivincita: Paris non è solo un documento storico sperimentale, ma un’opera che anticipa molte delle tecniche più celebrate del modernismo anglofono.

Oggi possiamo leggere Paris in italiano grazie al lavoro di riscoperta e traduzione curato da Nicoletta Asciuto per Interno Poesia.

 

 


 

Hope Mirrlees (1887-1978) è stata una poetessa inglese, autrice del capolavoro perduto del modernismo, Paris: A Poem (1920). Dimenticata fino a pochi anni fa, Mirrlees faceva parte dei circoli artistici e letterari londinesi del Primo Novecento, intrattenendo rapporti con T. S. Eliot, Lytton Strachey, Virginia Woolf, e Jane Harrison, sotto la cui guida studia poi Lettere Classiche all’Università di Cambridge. Harrison diventa la sua compagna e le due “mogli” (il termine con cui si chiamavano affettuosamente l’una l’altra) si trasferiscono a Parigi. Qui Mirrlees termina il suo primo romanzo, Madeleine: One of Love’s Jansenists (1920). Linguiste appassionate, le due traducono insieme dal russo, mentre Mirrlees scrive altri due romanzi, The Counterplot (1924) e Lud-in-the-Mist (1926). Nel 1926, tornano a Londra, dove vivono insieme fino alla morte di Harrison nel 1928. Nel 1929, inesplicatamente, Mirrlees si converte al cattolicesimo. Dal 1948 vive in Sud Africa fino verso gli anni Sessanta. Al ritorno in Inghilterra pubblica una biografia del collezionista Robert Bruce Cotton (1962), oltre a due raccolte di poesie, Poems(1963), e Moods and Tensions (1976).

 


In copertina: Camille Pissarro, Boulevard Montmartre nel pomeriggio, 1897

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