Questo testo è un estratto del primo capitolo del volume Simenon e le immagini – Cinema, illustrazione, fumetto a cura di Roberto Chiesi, edito da Mimesis, che ringraziamo per la gentile concessione.

Di Maurizio Testa
GEORGES SIMENON: QUANTI TIPI DI SCRITTURA E CON QUALE STILE?
Si può parlare di differenti scritture di Simenon? È quel che vedremo.
È fin troppo ovvio che il modo di scrivere dei venticinque anni non poteva essere lo stesso dei cinquanta. Ma per ora non vogliamo porci un quesito in merito ad un’evoluzione dovuta all’età. Ma se invece possono essere individuati degli altri elementi che abbiano influenzato il suo stile, la costruzione dei suoi modelli narrativi, la sua lingua scritta. È inevitabile pensare subito alle tre fasi della sua vita da scrittore. Il primo appena arrivato a Parigi, nel 1922 con quei racconti, quei romanzi e romanzi brevi che gli venivano commissionati dagli editori della stampa popolare. Lì quello che comandava era la velocità di scrittura, ma anche la capacità di entrare ed uscire dal genere rosa a quello poliziesco, da quello avventuroso a quello licenzioso, arrivando a scrivere addirittura ottanta pagine al giorno per poter produrre di più e guadagnare di più. Generi diversi e quindi scritture diverse, che si rivolgevano a persone differenti tra loro. Ma non contento di queste difficoltà, Simenon, che allora ancora pubblicava sempre sotto pseudonimo, nei suoi romanzi (che lui chiamava alimentari perché gli davano la possibilità di fare tre pasti al giorno, vivere in una casa decente e condurre una vita praticamente normale), a volte inseriva un paragrafo o addirittura un capitolo diciamo “non commerciale”
“Invece di limitarmi a scrivere la storia – spiega lo stesso Simenon – in quel capitolo tentavo di dare una terza dimensione, non necessariamente a tutto il capitolo, magari a una stanza, a una sedia, a qualche oggetto…1”.
La sua seconda fase fu quella di una letteratura pur sempre popolare, ma nobilitata dal fatto che era lui stesso a scegliere liberamente temi, trame, personaggi, stili. Finalmente erano opere che firmava con il suo vero nome. Ora ci metteva la faccia, e il problema della velocità non si poneva più. Ora le priorità erano altre.
Ad esempio, la costruzione di un personaggio originale, con un suo spessore psicologico, la creazione di una compagine di personaggi e di vicende sempre diverse, luoghi differenti. Ovviamente tutto questo richiedeva uno stile diverso, che però ora rispondeva solo alla sua sensibilità e non a quello che richiedeva l’editoria che gli pubblicava opere di letteratura popolare. Questa semi-letteratura, (definita ancora semi-alimentare) si traduceva nella creazione delle inchieste del commissario Maigret. Un grande successo, anche per il cambio di registro proprio nella scrittura. Cosa che forse non tutti i critici notarono (ma d’altronde chi era Georges Simenon? Chi lo conosceva fuori del cerchio dei suoi editori? Aveva sì pubblicato oltre duecento titoli, con oltre venti pseudonimi… Qualcuno arrivò addirittura a dire che Georges Sim avesse pubblicato i Maigret utilizzando lo pseudonimo di Georges Simenon!). La scrittura, abbiamo detto, cambia, diventa più essenziale, più asciutta e si avvale di dialoghi estremamente efficaci. Ma lo scrittore brucia le tappe. Già nel ’34 Simenon inizia la terza fase, quella dei romans durs, dove non c’erano più nemmeno i paletti del genere poliziesco e della letteratura seriale. E qui, la creatività giungeva da una trance creativa che forse non lo lasciava così libero. L’état de roman teneva lo scrittore sotto la sua cappa, lo portava in luoghi e vicende che lui asseriva di non conoscere e conduceva i suoi romanzi a finali che lui diceva di non immaginare nemmeno. E la scrittura? Anche lei era così condizionata da questo état de roman? Forse no. Intanto riscontriamo che qualche legame con quella dei Maigret c’é, anche se lo stesso autore agli inizi lo negava. Immaginiamo, e lo diciamo non solo noi (che pure abbiamo letto quasi per intero l’opera omnia dei romanzi), che lo stile rimanesse un ambito in cui l’état de roman non aveva influenza o ne aveva pochissima.
La sua scrittura diventa una sorta di paradigma. Frasi brevi, lineari, piane. Termini semplici, concreti (le famose mot-matière).
Proprio a questo proposito Simenon affermava in un incontro con Deligny e Lemoine:
Io stesso cerco di realizzare frasi più semplici possibile con le parole più semplici. Io scrivo con delle parole-materia, la parola vento, la parola caldo, la parola freddo. Le parole-materia sono l’equivalente dei colori puri… La parola amore la utilizzo assai poco. Ha talmente tanti significati che non si sa mai quale scegliere. Cerco una verità più semplice, più naturale, una verità materiale, biologica. Prendete ad esempio la parola concime. È una formidabile parola-materia. C’è nell’odore del concime tutta la fermentazione della materia animale che è la base della biologia. Chi odora con piacere il concime, non ha paura della morte… Con una parola-materia abbiamo completato un percorso biologico e filosofico…2
Insomma è assolutamente confermata l’aspirazione ad una scrittura basica negli elementi utilizzati, ma estremamente sofisticata nella costruzione, capace di rendere ambienti, situazioni, personaggi con poche parole, molto parsimoniosa negli aggettivi e negli avverbi, ma in grado di creare pagine coinvolgenti e a tratti affascinanti. Ma questo fu possibile anche grazie al lungo apprendistato, alla pratica giornaliera e assidua, alla ricerca di parole che avessero una presenza definita, netta (in qualche modo, dirà lo scrittore, simili all’effetto dei quadri impressionisti).
Continua poi nella sua spiegazione a Deligny e a Lemoine:
Si dice che io sia uno scrittore realista. È assolutamente falso, se io fossi realista descriverei le cose esattamente per come sono. Mentre occorre deformarle per permettere loro di essere davvero veritiere…3
E oltre lo spazio, il tempo. D’altronde come fanno notare i due studiosi simenoniani
L’indagatore, desideroso di capire la pretesa povertà della scrittura simenoniana, si renderà ben presto conto come il romanziere maneggi con facilità le strutture temporali della narrazione, con le sue anticipazioni, con l’emergere di un passato vincolante che condiziona il presente 4.
Un’altra capacità di Simenon è quella di giocare con il tempo, assegnando alla sua funzione talora la massima importanza e altre volte un’inutilità totale (vedi, ad esempio l’assoluta mancanza di ordine cronologico nella sequenza dei romanzi della serie di Maigret).
Insomma basico nella terminologia e nella sintassi. Complesso e sottile nella costruzione delle vicende. Capace sempre di fornire quella terza dimensione di cose, persone e ambienti che è quello stesso spessore psicologico che invade il campo sia della trama che della scrittura.
Scrittura che, invece di differenziarsi, va sempre più coincidendo. I Maigret e i romans durs dagli anni ’50 in poi sono un esempio di questa progressiva sovrapposizione e non certo solo per il linguaggio e lo stile narrativo. Il tipo di vicende scelte, i personaggi e il loro spessore psicologico, gli ambienti e le atmosfere, e ultimo ma non ultimo, lo stile letterario dei Maigret e dei romans durs che si avvicina sempre più, aumentando i punti di contatto tra di loro.
Potremmo anche parlare della sua scrittura giornalistica, oppure di quella dei suoi romanzi biografici, o dei suoi saggi, ma anche della sua concezione della scrittura come di un’attività manuale. A Simenon piaceva pensarla come un’attività artigianale che richiedeva anche uno sforzo fisico. Non a caso faceva pesare i propri indumenti prima e dopo la seduta di scrittura. Risultato? Dopo pesavano circa cinquecento grammi in più. Era tutto sudore che, moltiplicato per undici o dodici giorni di scrittura, erano i circa sei chilogrammi che testimoniavano come per lui la scrittura fosse anche un’attività fisica e una fatica proprio come quella di un artigiano.
Proviamo a scorrere le scritture simenoniane in ordine cronologico. Il primo. Un giovane esordiente che scrive racconti e romanzi brevi di tipo popolare. Il secondo. L’ormai consumato narratore che lancia un rivoluzionario eroe poliziesco. Il terzo. Un sofisticato romanziere dei romans durs che si permette di dettare le condizioni a un editore come Gallimard.
Sono solo tre facce dello stesso romanziere o si può ipotizzare che si tratti addirittura di tre scrittori diversi? Innanzitutto pensiamo a scrittori di età diversa: uno giovanissimo appena arrivato da Liegi; poi uno ormai trentenne naturalizzato parigino con quasi dieci anni di racconti popolari sulle spalle, e infine un belga che ha sempre più raffinato la propria scrittura, ormai romanziere maturo “cittadino del mondo” che si troverà a suo agio a vivere in Francia, o in America, o in Svizzera.
Poi ci sono le collocazioni sociali. Il giovanissimo appena arrivato a Parigi è un povero che vive nei sottotetti di alberghetti malfamati. L’autore dei Maigret è già un benestante che può permettersi di vivere a Place des Vosges. Lo scrittore dei romans durs è invece ormai un ricco, che vive in Vandea o negli Usa e in Svizzera, non di rado installandosi con la sua famiglia in castelletti nobiliari o in grandi ranch.
Il primo è appena sposato e senza figli. Quello dei primi periodi maigrettiani è il neo papà di Marc. Lo scrittore al culmine della sua popolarità è a capo di una famiglia allargata con quattro figli, una moglie e una ex-moglie (che trova difficoltà ad uscire dall’orbita simenoniana) e Boule, la storica femme de chambre. Ma andiamo al sodo. La produzione letteraria, lo stile, il ritmo e l’abbondanza della produzione narrativa. Qui non troviamo invece cesure significative. Certo nel corso gli anni si registra una certa evoluzione, ma si tratta di una transizione graduale, anzi ormai si riconosce da più parti una certa convergenza tra la produzione poliziesca e i romanzi, sia nei temi, come nell’approfondimento psicologico, ma anche nello stile narrativo.
Potremmo quindi sintetizzare, un po’ semplificando, che l’uomo cambia o lo scrittore no. Le mutate condizioni di status, di età e di ricchezza alla fin fine non influenzano più di tanto l’attività letteraria di Simenon. E lo stesso può dirsi anche dei suoi innumerevoli spostamenti “geografici” e di abitazione. Anche la sua ispirazione non pare sia cambiata nel tempo, il trascorrere degli anni semmai ha qualche influenza sul ritmo produttivo e sulla lunghezza delle opere.
In definitiva i tre Simenon che citavamo più sopra sono il frutto di un’astrazione che potrebbe riguardare più l’uomo che lo scrittore. E forse questo è una conferma della veridicità di quanto spiegava Simenon in merito all’état de roman. Quella sua “trance creativa” che lo portava a scrivere e che lo trascinava su e giù per il suo romanzo, facendogli raccontare qualcosa che Simenon stesso non sapeva quale finale avrebbe avuto.
Note
1 Georges Simenon, The Art of Fiction, intervista di Carvel Collins, “The Paris Review”, n. 9, estate 1955.
2 M. Lemoine, Les premières interviews de Simenon au début des années 1930, “Traces”, n. 20, 2012.
3 Ibidem.
4 Ibidem.

