La prima volta che ho intercettato la raccolta di racconti Atti puri di Alice Scornajenghi (edita da NERO Editions, 2023) è stato in occasione del Book Pride, a Milano, durante la presentazione “Cantiere esordi”. Quando ho visto la copertina ho immaginato subito come sarebbe stato leggere la raccolta in metro, aprire il libro e mostrare i nudi velati da una sovracoperta trasparente che confonde il tutto con dei cuoricini. Ma non ho fatto in tempo a vivere il brivido weird del momento perché ho finito per divorare i racconti in una sera, a casa.
Si tratta di storie surreali, distopiche, prive di sentimentalismo: non c’è mai amore nel sesso ma voglia di scoprire e scoprirsi. Unica pecca: durano troppo poco! Storie di uomini, donne, panda e alieni. Tradimenti, ménage à trois o orge e cure – anche alternative – attraverso il sesso.
Lo stile dell’autrice dà vita a pagine esilaranti, tanto eccitanti quanto ironiche, spirituali, malinconiche a volte. Atti puri è difficile da incasellare in un genere, la soluzione più plausibile è il porno-letterario – non erotico – che Alice Scornajenghi, ideatrice della rivista Ossì, sottotitolo: Un giornaletto porno fatto bene, padroneggia meravigliosamente.

Fondatrice della rivista Ossì e autrice della raccolta Atti puri, quando hai iniziato a scrivere questi racconti?
È stato un percorso unico, Ossì non è nata per fare spazio ai racconti, tant’è che poi una volta nata la rivista l’interesse è stato semmai commissionarli. Poi ho continuato a scrivere racconti ma non mi interessava pubblicarli. È che i racconti e la rivista sono nati per due esigenze diverse. Da un lato ho sempre avuto un interesse per la narrativa erotica sin da ragazzina, poi crescendo quasi l’ho persa di vista e quindi mi piaceva l’idea di avere un contenitore dove si potessero creare delle cose fighe. Allo stesso tempo, a partire da questo interesse, è nata pure la voglia di cimentarmi col genere, era una cosa che avevo sempre voluto ma non c’ero mai riuscita. Poi a un certo punto della vita qualcosa ha fatto tic, mi sono liberata di un po’ di condizionamenti ed è andata. Ho visto che le cose prendevano forma.
Affrontare la sessualità e la pornografia a viso aperto e in pubblico non è ancora così scontato: nel tuo caso com’è stato? Quali sono state le reazioni?
A parte un momento di contestazione durante una presentazione da parte di un attivista di destra, una parentesi quasi folcloristica, le reazioni sono quasi di sollievo. Alla fine fa piacere sentire parlare di sesso e di pornografia in maniera tranquilla in un contesto non cupo ma aperto, e quindi questo dà un senso di liberazione.
In che modo hai trovato la tua voce, il tuo stile di scrittura? Ci sono letture che ti hanno formato come scrittrice?
Ho sempre avuto un amore per tutta la scuola dei racconti americani. Da ragazzina, a Cosenza, ordinavo i libri sul sito di Minimumfax. La lettura di quei libri è stata una scuola. Saunders, Yates, Wallace, Homes. Quel miscuglio di ironia e attenzione all’assurdità delle cose era ciò che mi interessava portare anche all’interno dei miei racconti. Poi in realtà da bambina amavo le raccolte di racconti. Sono come un amuleto: te lo puoi portare dietro, non ti abbandonano mai, e se il racconto ti sta annoiando puoi passare a quello dopo. Un romanzo non mi ha mai dato la stessa sicurezza che può darmi una raccolta di racconti.
Quante difficoltà hai riscontrato nella pubblicazione di una raccolta di racconti?
Difficoltà tantissime, molti editori mi hanno chiesto: “Bellissimi i racconti, ma un romanzo? Hai un’idea per un romanzo?”. Purtroppo c’è ancora questo enorme pregiudizio nell’editoria, però allo stesso tempo mi sembra che se ne stia parlando talmente tanto. Tutte le persone con cui ne parlo mi dicono “A me le raccolte di racconti piacciono tantissimo”, secondo me si apriranno degli spazi per i racconti. Anche perché sono proprio un altro campo da gioco. Che palle considerare il racconto l’allenamento per il romanzo. Tanti scrittrici, tanti scrittori hanno dato il massimo con i racconti e al romanzo non ci sono proprio passati. Non vedo perché debba per forza esistere la forma romanzo per validare una persona che scrive. Voglio essere ottimista, nel giro di cinque anni, secondo me, saremo un pochino fuori da questa modalità.
In questa raccolta c’è molta scoperta ma anche invenzione – di mondi e possibilità -, e il piacere sembra essere un po’ la chiave per trovare una sorta di liberazione. Ne L’allevamento e ne La stanza del Presidente il sesso può essere una forma di cura, qualcosa di consolatorio e benefico. C’è chi nel corso dei racconti scopre di voler sperimentare rapporti omosessuali, chi consuma le proprie frustrazioni in orge sulla Terra o nell’Universo, chi desidera un pene e chi possiede sia un pene e sia una vagina. Come nascono i tuoi racconti?
Per me ‘scoperta’ è sempre meglio di ‘invenzione’, e l’invenzione alla fine è un pretesto per scoprire qualcosa scrivendo. A volte il mondo conosciuto, il reale, mi sembra che a livello di immaginario sia sempre un po’ più stretto, più difficile da maneggiare e quindi inventare dei mondi, chiaramente attingendo a immaginari esistenti per poi cercare l’aleatorietà totale, significa creare uno spazio dove si possono fare delle scoperte. Però appunto l’invenzione è un pretesto, non è l’obiettivo. Mi è capitato di avere dei racconti in testa in cui sapevo già cosa sarebbe successo, poi mi mettevo a scrivere e non avevo più davvero lo slancio. Per me la scrittura è scoperta, non riesco a scrivere se so già tutto quello che devo fare.
Ne La scala su cui esistiamo Sandra, la protagonista, assiste all’arrivo di un Messia che esprime desideri. La ragazza chiede di avere un pene per 24h, tu quale desiderio avresti voluto esprimere?
Probabilmente quello della protagonista. L’ho scritto, forse, proprio per questo. Era una curiosità
che avevo in testa quando ho pensato di scrivere il racconto, non mi bastava scrivere la storia dal punto di vista di una persona con un pene, volevo scriverlo dal punto di vista di una ragazza che si identifica come ragazza e che vuole un pene per vedere com’è, proprio per un periodo limitato.
Volevo scriverlo per vedere che succedeva.
Consigli per chi vorrebbe scrivere libri porno?
Di non censurarsi. Perché forse è la trappola. Il porno ci rende più vulnerabili del sesso. Significa
proprio aprirsi e svelare delle fantasie super profonde e questo senso di vulnerabilità lo senti quando scrivi, è inevitabile. Lo so che la timidezza a volte anche il foglio di Word ce la mette. Se per anni non sono riuscita a scrivere dei racconti con delle scene di sesso come li volevo era proprio perché mi censuravo. Però il porno, per definizione, è proprio l’atto del mostrare tutto. E poi sti cavoli se questo racconto lo leggerà qualcuno o meno.
Non mi piace concludere un’intervista senza aver consigliato un po’ di libri. Tre letture per avvicinare le persone alla lettura.
Resterei sui racconti. Non tre scoperte, non tre chicche introvabili ma tre autori fichissimi: Mariana Enriquez, George Saunders e A. M. Homes.
In copertina: «Gabrielle d’Estrées e sua sorella» (1594 ca), Scuola di Fontainebleau, Parigi, Musée du Louvre

