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Ma in quale crepa crediamo? L’esordio di Giammarco di Biase, S’aggrinza un astro (di Annachiara Atzei)

Abbandono dell’altro e incontro di sé. Il taglio è il pretesto per dirsi felici, ma ammetterlo a sé stessi e agli altri è una prova dura da superare. Eppure, Giammarco di Biase in S’aggrinza un astro, la sua raccolta d’esordio edita per Ensemble, ha urgenza di raccontare qualcosa: un pezzo di vita che riaffiora o che, in fondo, non ha mai lasciato andare. E non c’è un estremo da cui iniziare, ma un divenire personale e delle cose che cerca luce.
Quello “strappo nel cielo di carta” che in Pirandello era il declinare di convenzioni e certezze, qui è la metafora dello stravolgimento della quotidianità dell’autore che lo costringe, nonostante tutto, a scegliere. Ma scegliere cosa? Una rinascita, un cammino che non è più “all’ombra di”, ma che si snoda nella consapevolezza di una mancanza solo apparente perché, invece, è presenza tangibile. Come nel De Angelis degli esordi – nell’indimenticata raccolta di poesie SomiglianzeGiammarco di Biase tenta di intravedere il punto in cui la vita apre uno spiraglio e, nei suoi testi, scioglie il grumo, lascia che la crepa venga lentamente fecondata. “Tutto è così solo/ che può diventare ogni cosa”, scrive De Angelis, e ancora “Qualcosa, ascolta,/ qualcosa può cominciare”: accettare la perdita è ipotizzare un nuovo sé, oppure equivale ad aprirsi a una realtà inaspettata che ora ci si sente pronti ad affrontare. Il cambiamento – soprattutto nella sua frequente imprevedibilità – è spesso difficile da metabolizzare, ma più d’una sono le possibilità percepite dal giovane poeta foggiano.
Si è smarrito a lungo, di Biase, per ritrovarsi. Resta qualche segno di ingenuità, o forse di tenerezza, una richiesta di aiuto sottotraccia che fa vibrare i testi arricchendoli di emozione. Ma la decisione è una sola: quella di partire da ciò che resta: “Ed è un bene/ cantare abbracci/ soffiando sulle/ mie ossa”.


 

Cinque poesie da S’aggrinza un astro (Enseble, 2023)

 

Tu per me sei istinto di mani
nell’etere che sottile
aggrinza un astro.

Mi presero su corolle
gli angeli d’aurora boreale
spingendo sugli arti incontrarono
me sul tuo nome come un calendario
un boato, fui un istante, un qualcosa
per qualcuno, sulla cocca
di frecce d’oro.

Con il ricordo di te
già nacqui in un testamento
che diceva i polsi stretti
in un grido
dovranno somigliarti.
*

Sul punto
di aver vinto,
prima di essere in linea con il futuro,
giurare al respiro
che si ha tempo per
il rumore di un tarlo.

Alzarsi, poi,
dalle pieghe del mondo
sul finire
di un orologio
cercando nelle tasche
un vento
agli antipodi di te.
*

Sfortunate

le tue mani, panorama
di dita, un paesaggio
che ospita la notte,
nei falò che bruciano
al sole vado a pezzi

ed è un bene
cantare abbracci
soffiando sulle
mie ossa.
*

No si può stare
per tutta la vita
dentro un altro.

Con ogni speranza noi
Creiamo questo altare.
Lo si fa biologicamente,
credendo in più mondi
annulliamo l’amore.

Essere cani solo tra fauci,
bestie che hanno cuore
nelle zampe e Dio uno spavento:
il suo paradiso qui nei muscoli spenti.

Ma in quale crepa crediamo?
Voglio rimanere
Nel cuore di un altro,
e questo bacio
che mi ripeta sempre.

*

Amori leggendari,
se albeggiano soffitti
ad ogni sigaretta tradita.
Amore bastardo,

nella caverna ombre
danzano alfabeti da primate
che così si prega il Vento
e il fuoco moltiplica Discordia.

Agli albori della Faida
una donna toglie
il cuore preistorico
dai polsi

e mi Libera.
*

 


Giammarco di Biase (Foggia, 1993) è giornalista e operatore culturale. Scrive di letteratura su magazine e collabora con il «Corriere del Mezzogiorno». Suoi inediti sono apparsi su «Avamposto Rivista di poesia» e «la Repubblica».

 


In copertina: The Cyclops, Odilon Redon


 

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