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Tra rivoluzione e religione, la poesia è l’altra voce: Octavio Paz fra esercizio e mistero

Di Annachiara Atzei

 

La poesia cerca la resurrezione. Il suo senso e il suo destino sono quelli di rinnovare da dentro chi approccia ad essa e di rinnovarsi, tornare al nuovo, recuperare qualcosa di originario. Octavio Paz, che sin dall’adolescenza si è dedicato alla scrittura in versi, che ha sempre considerato un esercizio e un mistero, nel volume edito da Mimesis nel 2023, L’altra voce – Poesia e fine del secolo, che raccoglie alcuni brevi saggi scritti dall’autore tra il 1976 e il 1989, ancora una volta serve la poesia e la difende come fatto letterario e come strumento di libertà.
Paz si interroga sul futuro di questa alle soglie di un’altra epoca – il XXI secolo – e si chiede se l’arte sia ancora capace di criticare sé stessa, cambiarsi nel proprio fondamento e farsi presupposto di qualcos’altro, o sia avviata solo verso una ciclica ripetizione. La tradizione poetica iniziata con il romanticismo e proseguita con il simbolismo, ha avuto il suo meraviglioso crepuscolo con le avanguardie e i modernismi del XX secolo. Dopo questa corsa inarrestabile, cosa rende la poesia ancora viva e attuale? E come ha fatto ad attraversare il tempo mantenendo la sua consistenza? Siamo forse di fronte all’esordio di una diversa concezione?
Una risposta è possibile. Ogni nuova opera poetica sfida la comprensione e il gusto del pubblico: decostruisce il noto e muta la sensibilità e la visione di chi è disposto a immergervisi e a fidarsi del suo messaggio. Per mezzo della lettura, la parola squarcia le coscienze e fa di sé materia malleabile in infinita evoluzione. Spesso, si afferma che siano in pochi ad amare la poesia, ma – riflette Paz – quei pochi sono molti, anzi fanno parte individualmente e collettivamente di una immensità. Ciò perché leggere consente di addentrarsi in una realtà incommensurabile, come in un gioco di specchi che conduce in un territorio sovrapersonale e, appunto, illimitato.

 

Da questi ragionamenti deriva il discorso sul tempo. Già negli anni in cui lo scrittore messicano pubblicava i testi qui selezionati, la letteratura era diventata un prodotto, un bene da consumare velocemente: nessuna deduzione da parte di chi acquista il libro, nessuna prova di pazienza. Oggi, ancora di più, siamo assetati di futuro, proiettati verso il dopo, incapaci di stare nel qui e ora. I buoni libri richiedono il contrario: concentrazione, durata.
“La poesia è attenzione” scriveva Cristina Campo: la stessa che l’autore utilizza per scegliere i propri versi è quella di cui il lettore necessita per essere trasportato in luoghi che non conosce o che ha dimenticato di conoscere. E non è tanto il numero di copie vendute a salvare l’opera, quanto la capacità di continuare nella storia e permanere nel tempo. Di fronte a un mercato bulimico, impersonale e talvolta privo di idee, la letteratura deve fare resistenza, parlare, dire. È così che avviene la resurrezione: di lettura in lettura, di giorno in giorno, di epoca in epoca.
Nel saggio che conclude il volume, Paz introduce il concetto di poesia come voce altra. Ma altra rispetto a cosa? Altra rispetto al concetto di religione, di rivoluzione, di tempo; altra rispetto all’idea stessa di modernità. Estranea alle sequenze cronologiche, al passare delle cose, ai rovesciamenti culturali e agli avvenimenti storici. “Ultramoderna”, “sovrastorica”, “aperta”, “anteriore” a tutto: “Tra rivoluzione e religione, la poesia è l’altra voce. La sua voce è altra perché è la voce delle passioni e delle visioni, è la voce dell’altro mondo e di questo mondo, è la voce di ieri e di oggi: di un passato privo di date. Poesia eretica e scismatica, poesia innocente e perversa, poesia dell’eremo e del bar all’angolo, poesia alla portata di mano e di un altrove che è sempre qui”, scrive Paz.
È sufficiente soffermarsi su un punto: c’è qualcosa di sepolto nell’animo di ciascuno. La funzione della poesia è indagare su questo, convertire la memoria in immagine e di seguito in voce: “L’altra voce non è la voce dell’oltretomba: è la voce dell’uomo che dorme nel fondo di ogni uomo”, aggiunge ancora Paz, ed è un’intima accettazione che evoca comuni ragioni e intenti e che veicola un nuovo umanesimo.
Se è vero – come sostiene il saggista – che leggere è riconoscersi, cioè scoprire strade insospettate verso noi stessi, e che riconoscersi è atto opposto e contrario alla dispersione, allora questo sarà il modo per salvare la poesia davanti a qualsiasi soglia, definizione di durata, evento politico o imperativo scientifico con cui la letteratura e l’arte saranno chiamate a misurarsi. Solo così la poesia potrà ancora suggerire, ispirare, mostrare, farsi azione per la continuazione della civiltà. Dimenticarla sarebbe altrimenti tornare al caos originario.

 

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