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Sempre Mondo: intervista a Massimo Gezzi (a cura di Andrea Carloni)

Sempre Mondo è l’ultima raccolta poetica di Massimo Gezzi, pubblicata nel 2022 da Marcos y Marcos, all’interno della collana “Gli alianti”.
Le quarantasei poesie contenute in quest’opera sono state composte in un periodo di sette anni, a partire dal 2015, e nel libro vengono suddivise in quattro sezioni: Un’educazione sentimentale, Cronaca nera, Quattro lettere di Paul Signac a Émile Verhaeren e Basta il tempo. Le tematiche abbracciate sono molteplici: dalla socialità dei giovani alle relazioni padri-figli, dalla contemporaneità dei mezzi di comunicazione al rapporto con il dolore e la morte. La ricerca che Massimo Gezzi opera sul linguaggio poetico è sempre in evoluzione e gli permette di affrontare argomenti intimi o universali senza mai indugiare nel sentimentalismo. L’autore ha gentilmente accettato di rispondere a quattro mie domande, una per ciascuna sezione in cui è suddiviso il libro.

 

 


Molti versi di Un’educazione sentimentale, la prima sezione della raccolta, sono dedicati all’attività di insegnante e dunque al rapporto quotidiano con la scuola e gli studenti. La poesia può intervenire in quei luoghi e tempi in cui l’educazione e la socialità divengono oltremodo complesse, in cui i ragazzi faticano a dar voce e condivisione alle loro tante domande?

Spero di sì. Spero che la poesia abbia ancora una forza liberatrice e una funzione di emancipazione emotiva e intellettuale. I dubbi, naturalmente, sono molti. Si fa sempre più fatica a “negoziare” poesia, perché da un lato la trap, il rap e il pop forniscono ai ragazzi e alle ragazze il serbatoio emotivo cui attingere per identificarsi in una voce che esprime sentimenti e stati d’animo tipici dell’età (tardo)adolescenziale; dall’altra il fenomeno dell’“instapoetry” (Rupi Kaur) ha prodotto – o ha rinfocolato – la percezione che la poesia sia qualcosa di semplice, facile, immediato. Poi accadono cose stranissime, invece: il fascino assoluto di Dante, che non è esattamente un poeta semplice per una ragazza di sedici anni, dimostra che in realtà la grande poesia può ancora incidere nella mente e nella vita emotiva di un’adolescente. Si tratta allora di offrire un’esperienza estetica senza pretendere che tutte e tutti la debbano condividere, e senza sentirsi troppo frustrati se questo non accade. Il tempo dice che poi qualche seme germoglia. Pazienza se non sono sempre tantissimi.

come potevi a diciotto anni
insegnarci la vita, ci chiediamo
ogni volta che le parole che pronunciamo
sono le tue. E non abbandonarci alla tentazione
di non scorgere più nulla tra le pagine,
gli sguardi, nelle voci o negli insulti
che ogni giorno ci scambiamo,
in queste aule spoglie.

Le poesie contenute in Cronaca nera ci parlano di dolore e di morte con una naturalezza e uno stile nitido, senza reticenze o consolazioni liriche. Come può oggi il poeta rapportarsi alla tradizione poetica, evitandone le esche retoriche o manieristiche, specialmente quando si affrontano argomenti universali?

La risposta sta già nella domanda, di cui la ringrazio molto. Ho cercato di affidare ai versi di
Cronaca nera il lato osceno, per così dire, della nostra società. Quello che non si vede, o che se si
vede si rimuove perché assumerne le conseguenze – la questione dei migranti, per esempio –
vorrebbe dire far saltare per aria un sistema di quieto vivere (sempre tra mille virgolette, per carità) di cui dobbiamo perlomeno essere consapevoli. Cronaca nera è, per così, l’antitesi della prima sezione: se Un’educazione sentimentale guarda al prossimo, al vicino, all’aula e alla casa, Cronaca nera getta lo sguardo al di fuori e al di là di tutto ciò, proietta un’ombra (nera, per l’appunto) sullo sfondo di una quotidianità che, per quanto possa essere a tratti problematica, è comunque privilegiata. Quest’ombra doveva apparire in tutta la sua nettezza: ho evitato quindi accuratamente quelle che lei chiama «esche retoriche o manieristiche» e che a mio parere, dopo le Canzonette del Golfo di Fortini, non funzionano più, hanno esaurito la loro funzione provocatoria in un sistema letterario e culturale che non è più quello di quaranta o trenta anni fa. La provocazione, se la poesia può ancora farsene carico e se ha ancora un senso sbattere in faccia cose che in realtà tutti conosciamo benissimo, a mio parere va fatta in modo netto, non manieristico: alla maniera del Leopardi della Ginestra, se dovessi indicare un modello lontano ma per certi versi ancora vicinissimo a noi.

Caricano il camion, adesso,
lo riempiono degli scarti della nostra
– si fa per dire – civiltà. Uno canta,
due parlano di un altro che sta male
e se non passa questo schifo forse
non ce la farà.

Massimo-gezzi
Massimo Gezzi (Fonte Premio Strega Poesia)

 

La terza sezione, Quattro lettere di Paul Signac a Émile Verhaeren, ci riserva alcune sorprese. Il testo diviene epistolare e le corrispondenze si fanno immaginarie. Come sono nati questi componimenti? Che ruolo ha svolto la memoria nel lavoro di invenzione e quali voci nuove possono arrivarci da un passato già assodato?

Questa sezione fa interagire diversi piani: il piano della memoria (il mio rapporto di amicizia con un poeta marchigiano che è stato anche il mio primo maestro, Antonio Santori, morto per malattia nel 2007, a soli 46 anni); il piano dell’esperienza (la visita di una mostra che il LAC di Lugano ha dedicato nel 2017 a Paul Signac); il piano della storia (la Grande Guerra che Signac dapprima intravede e poi testimonia con orrore); infine il piano del presente, perché quando è uscito Sempre mondo il ricordo di quelle guerre lontane nel tempo e nello spazio è tornato a essere improvvisamente realtà prossima e attuale, se è vero che l’Ucraina è a due passi da noi. Questo groviglio di suggestioni ha prodotto le quattro lettere immaginarie, perché Signac e Verhaeren erano amici ma io non so nulla di un loro eventuale carteggio. Mi interessava far interagire i tempi, sovrapporre le persone per dimostrare che al di sotto delle variabili resistono, nella storia, delle costanti che si ripresentano e che continuano a interrogare il nostro pensiero e la nostra umanità. Mi sono messo nei panni di un pittore lontanissimo da me per dire a una persona che per me fu importante alcune verità valide tanto all’inizio del XX che all’inizio del XXI secolo, per esempio questa: «L’orrore / quotidiano, tutto qui, che smaschera / ogni giorno il nostro sogno / di armonia e di vita vera».

Carissimo Émile,
mi sono dimenticato dell’acqua,
per una volta, e torno a scriverti,
tu poeta di terra e di campagna,
così lontano ormai da questi porti.
Mi manchi: te lo dico in poche righe.
La barra del timone punta sempre
verso te, in questi giorni d’acque morte.

La quarta e ultima sezione, Basta il tempo ci offre una selezione di poesie eterogenea. Forse più di tutte testimonia la sviluppo nel tempo di questa raccolta, i cui testi sono stati composti dal 2015 al 2022. Cosa ha significato un lavoro di sette anni di scrittura e rilettura delle proprie composizioni? Cosa è cambiato nel tempo?

Scrivo molto poco (anche perché mi sento sempre più lontano da una parte del mondo della poesia contemporanea italiana, che non è certamente il migliore dei mondi possibili). Scrivo poco e seleziono molto, per cui tra un libro all’altro può passare molto tempo. D’altra parte, sappiamo tutti che i grandi esempi del passato non soffrivano di ansie da presenza o di “FOMO” (Montale e Sereni hanno prodotto un libro ogni quindici anni circa – e un loro modello assoluto, il già richiamato Leopardi, ha pubblicato una quarantina di poesie in tutta la sua esistenza).
Negli ultimi sette anni la vita (il lavoro di insegnante, la paternità, il trasferimento ormai definitivo in Svizzera) è stata più importante e in un certo senso più ingombrante della poesia, ma per uno che crede che la poesia non possa non derivare anche dalla vita e dall’esperienza questo significa che la scrittura ha dovuto fare i conti con quelle nuove realtà, ricalibrarsi, in un certo senso azzerarsi e ripartire, evitando la retorica, come ci siamo già detti, il sentimentalismo e lo spontaneismo, rischi che quando si maneggiano temi ed esperienze come quelle prima elencate sono sempre dietro l’angolo. Non so se ci sono riuscito, ma per provarci ho avuto bisogno di tempo, di silenzio e di riflessione. Non credo, a meno di cataclismi, che questo ritmo cambierà nel tempo. Ora, per esempio, non sto scrivendo poesia ma prosa. E in fondo un poeta, secondo me, non deve mai dare per scontato un nuovo libro di poesia: altrimenti sta già producendo o progettando una copia di quello che ha già fatto.

Così siamo arrivati: al termine di questo lago
d’acqua marcia siamo arrivati
dove qualcuno – il cameriere, un avventore,

una delle folaghe affamate che schiamazzano
bell’acqua – inciampa e si fa male, e cadendo
disegna una traiettoria che disegna
la nostra storia che finisce.

A cura di Andrea Carloni


Massimo Gezzi (1976) ha pubblicato i libri di poesia Il mare a destra (Edizioni Atelier, 2004),
L’attimo dopo (Luca Sossella editore, 2009, premio Metauro), Il numero dei vivi (Donzelli Editore, 2015, premio Carducci, premio Tirinnanzi e Premio svizzero di letteratura), Uno di nessuno. Storia di Giovanni Antonelli, poeta (Edizioni Casagrande, 2016) e il libro di racconti Le stelle vicine (Bollati Boringhieri, 2021, finalista premio Mastercard Letteratura Esordienti). Ha curato l’edizione commentata del Diario del ’71 e del ’72 di Eugenio Montale (Mondadori, 2010, 2020), lOscar Poesie 1975-2012 di Franco Buffoni (Mondadori, 2012), le Poesie scelte di Luigi Di Ruscio (Marcos y Marcos, 2019) e La città lontana. Poesie 1993-2009 di Adelelmo Ruggieri (Marcos y Marcos, 2021). In Tra le pagine e il mondo (Italic Pequod, 2015) ha raccolto dieci anni di interviste ai poeti e recensioni a libri di poesia. Ha fondato e coordina con Italo Testa il sito letterario “Le parole e le cose”. Vive a Lugano, dove insegna italiano in un liceo.


 

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