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Il demone dell’analogia #84: Bicicletta

«Una strana amicizia, i libri hanno una strana amicizia l’uno per l’altro. Se li chiudiamo nella mente di una persona bene educata (un critico è soltanto questo), lì al chiuso, al caldo, serrati, provano un’allegria, una felicità come noi, esseri umani, non abbiamo mai conosciuto. Scoprono di assomigliarsi l’un l’altro. E ognuno di loro lancia frecce, bagliori di gioia verso gli altri libri che sembrano (e sono e non sono) simili. Così la mente che li raccoglie è gremita di lampi, di analogie, di rapporti, di corti circuiti, che finiscono per traboccare. La buona critica letteraria non è altro che questo: la scoperta della gioia dei libri che si assomigliano».

Mario Praz

 

Crossing swords by Daniela Favretti

 


 

SCANDALO
Per una bicicletta azzurra,
Livorno come sussurra!
Come s’unisce al brusìo
dei raggi, il mormorìo!

Annina sbucata all’angolo
ha alimentato lo scandalo.
Ma quando mai s’era vista,
in giro, una ciclista?

Da Il seme del piangere di Giorgio Caproni

avevo fatto a posta a forare proprio per scoprire
quell’essere che viveva del suo lavoro dentro a
una grotta di fronte alle figlie dell’Addolorata.
La mia verità non è del tutto giusta ero stato
avventato con la bicicletta catene manubrio
testa qualcosa comunque s’allentava e quindi
la parola diveniva zitta di fronte a quel volto
rubizzo tutt’uno con ogni meccanismo. Un mistero
senza insegna. Tutti sapevano il mestiere il sopran-
nome ma la sua storia è sepolta come uno di quei
tanti vini impolverati dal niente come le tante
cantine affrescate da altre mura come ogni esercizio
quando è chiuso non ha età. E venni a sapere che
con la madre vissero insieme anche all’ospizio
e poi pure al cimitero e lei di cognome faceva Poeta

Da Il paese invisibile e il passo per inventarlo di Roberto Marconi

 

LE DUE STRADE
Tra bande verdi gialle d’innumeri ginestre
la bella strada alpestre scendeva nella valle.

Andavo con l’Amica, recando nell’ascesa
la triste che già pesa nostra catena antica;

quando nel lento oblìo, rapidamente in vista
apparve una ciclista a sommo del pendìo.

Ci venne incontro; scese. «Signora! Sono Grazia!»
sorrise nella grazia dell’abito scozzese.

«Graziella, la bambina?» — «Mi riconosce ancora?»
«Ma certo!» E la Signora baciò la Signorina.

«La piccola Graziella! Diciott’anni? Di già?
La mamma come sta? E ti sei fatta bella!

La piccola Graziella, così cattiva e ingorda!…»
«Signora, si ricorda quelli anni?» — E così bella

vai senza cavalieri in bicicletta?» — «Vede…»
«Ci segui un tratto a piede?» — «Signora, volentieri…»

«Ah! ti presento, aspetta, l’Avvocato, un amico
caro di mio marito… Dàgli la bicicletta.»

Sorrise e non rispose. Condussi nell’ascesa
la bicicletta accesa d’un gran mazzo di rose.

E la Signora scaltra e la bambina ardita
si mossero: la vita una allacciò dell’altra.

Adolescente l’una nelle gonnelle corte,
eppur già donna: forte bella vivace bruna

e balda nel solino dritto, nella cravatta,
la gran chioma disfatta nel tocco da fantino.

Ed io godevo senza parlare, con l’aroma
degli abeti, l’aroma di quella adolescenza.

— O via della salute, o vergine apparita,
o via tutta fiorita di gioie non mietute,

forse la buona via saresti al mio passaggio,
un dolce beveraggio alla malinconia.

O Bimba, nelle palme tu chiudi la mia sorte;
discendere alla Morte come per rive calme,

discendere al Niente pel mio sentiere umano,
ma avere te per mano, o dolce sorridente! —

Così dicevo senza parola. E l’Altra intanto
vedevo: triste accanto a quell’adolescenza!

Da troppo tempo bella, non più bella tra poco,
colei che vide al gioco la piccola Graziella.

Belli i belli occhi strani della bellezza ancora
d’un fiore che disfiora e non avrà domani.

Al freddo che s’annunzia piegan le rose intatte,
ma la donna combatte nell’ultima rinunzia.

O pallide leggiadre mani per voi trascorse-
ro gli anni! Gli anni, forse, gli anni di mia Madre!

Sotto l’aperto cielo, presso l’adolescente
come terribilmente m’apparve lo sfacelo!

Nulla fu più sinistro che la bocca vermiglia
troppo, le tinte ciglia e l’opera del bistro

intorno all’occhio stanco, la piega di quei labri,
l’inganno dei cinabri sul volto troppo bianco,

gli accesi dal veleno biondissimi capelli:
in altro tempo belli d’un bel biondo sereno.

Da troppo tempo bella, non più bella tra poco,
colei che vide al gioco la piccola Graziella.

— O mio cuore che valse la luce mattutina
raggiante sulla china tutte le strade false?

Cuore che non fioristi, è vano che t’affretti
verso miraggi schietti, in orti meno tristi.

Tu senti che non giova all’uomo soffermarsi,
gittare i sogni sparsi per una vita nuova.

Discenderai al niente pel tuo sentiere umano
e non avrai per mano la dolce sorridente,

ma l’altro beveraggio avrai fino alla morte:
il tempo è già più forte di tutto il tuo coraggio. —

Queste pensavo cose, guidando nell’ascesa
la bicicletta accesa d’un gran mazzo di rose.

Erano folti intorno gli abeti nell’assalto
dei greppi fino all’alto nevaio disadorno.

I greggi, sparsi a picco, in gran tinniti e mugli
brucavano ai cespugli di menta il latte ricco;

e prossimi e lontani univan sonnolenti
al ritmo dei torrenti un ritmo di campani.

— Lungi i pensieri foschi! Se non verrà l’amore —
che importa? Giunge al cuore il buono odor dei boschi:

di quali aromi opimo odore non si sa:
di resina? di timo, e di serenità?… —

Sostammo accanto a un prato e la Signora china
baciò la Signorina, ridendo nel commiato:

«Bada che aspetterò, che aspetteremo te;
si prende un po’ di the, si maledice un po’…»

«Verrò, Signora, grazie!» Dalle mie mani in fretta
prese la bicicletta. E non mi disse grazie.

Non mi parlò. D’un balzo salì, prese l’avvio;
la macchina il fruscìo ebbe d’un piede scalzo,

d’un batter d’ali ignote, come seguita a lato
da un non so che d’alato volgente con le ruote.

Restammo alle sue spalle. La strada, come un nastro
sottile d’alabastro, scendeva nella valle.

Volò, come sospesa la bicicletta snella:
«O piccola Graziella, attenta alla discesa!»

«Signora! arrivederla!» Gridò di lungi, ai venti:
di lungi ebbero i denti un balenìo di perla.

Graziella è lungi. Vola vola la bicicletta:
«Amica! E non m’ha detta una parola sola!»

«Te ne duole?» — «Chi sa!» — «Fu taciturna, amore,
per te, come il Dolore…» – «O la Felicità!»

E seguitai l’amica, recando nell’ascesa
la triste che già pesa nostra catena antica.

Da La via del rifugio di Guido Gozzano

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