, ,

Ciò che slega è ciò che trattiene: Franco Ferrara, Il cielo era già in noi (di Annachiara Atzei)

 

“Lasciamo il cielo per definirci perché il cielo era già in noi”.
Nell’eterno presente di Franco Ferrara non c’è necessità di paragone perché l’unica esigenza dell’essere umano è conoscere quanto di sé è chiamato a morire e a vivere. Grande esploratore e poeta, nella sua carriera si è dedicato a lungo alla scoperta delle piste carovaniere utilizzate dai romani nell’Africa Sahariana e durante i suoi viaggi nel deserto ha avuto occasione di cimentarsi con il silenzio e con la parola, con la memoria e con l’assenza, con il tempo e il sogno.
Il cielo era già in noi, edito da Argolibri e curato da Gianluca Armaroli, Domenico Brancale e Giorgiomaria Cornelio, che hanno il merito di aver consegnato al pubblico un libro di grande suggestione, raccoglie tre importanti opere di Ferrara risalenti agli anni Ottanta, e cioè La trasgressione del silenzio, Imżad e Questo intendevo dire, tutte accomunate dall’esotismo – come elemento che, per la vicenda lavorativa e personale dell’autore romano, ne ha segnato l’intera produzione – dal concetto di amore, e da componimenti densi, fatti di ripetizioni, elenchi aperti e continui richiami all’importanza intrinseca del cammino più che della meta e a un tempo oltre il tempo che tutto può contenere.
La poetica di Ferrara nasce in un luogo che, per molti aspetti, è esso stesso protagonista della narrazione – fatto di dune e scisti, di notti stellate e capanne di fogliame, di alberelli gracili e volpi orecchiute – e ci fa udire in sottofondo le sonorità gutturali della lingua araba e le espressioni di idioma tamâhâk. In questa geografia sconfinata, la riflessione soggettiva si allarga anch’essa a dismisura fino a raggiungere una certezza: non c’è assenza laddove tutto è contemporaneamente presente e non c’è distanza né fisica né dei sentimenti se inizio e fine del tempo si sovrappongono. Dice in un brano di chiara potenza: “Perché sarà sempre presente./ Perché siamo lontani dalla separazione./ Da ogni separazione./ Perché quello che è/ è stato, e sarà (e diviene)/ fino a che il vento del tempo ci ricondurrà/ nelle costellazioni del tempo./ Per quello che ancora non siamo (…);/ per quello che ancora – nella menzogna, nella distrazione/ o nell’errore -/ non abbiamo saputo essere”.
Tutto coincide, e vi è comunione con l’altro e con le cose. Per questo, qui manca un’aspirazione, un “tendere a” che permette di concepire il tempo in maniera lineare. Ogni cosa – in primis, l’essenza dell’amore – sembra essere già raggiunta cosicché il tentativo di misurare il susseguirsi degli accadimenti perde di interesse e significato. Per lo stesso motivo, la memoria – tema ricorrente nei testi – non è tanto il recupero di ciò che è già passato, ma vero e proprio mezzo di soccorso nell’inganno della durata, un dispositivo che si fa essenziale nel tempo assoluto.
Non che siano annullati i desideri e le pulsioni umane, anzi, ma queste, messe in relazione con costrizioni tangibili, trovano riparo in un universo interiore che – a costo di dolorose lacerazioni – prova ad ammansirle e a dare loro un senso aggiuntivo, addirittura spirituale. Non a caso, l’altra dimensione di questi versi è quella onirica, priva di cause ed effetti, in cui la delimitazione tra concetti e nomi diventa labile ed effimera: “Per quello che è necessario – ed è – e diviene/ all’interno di questo sogno/ che non è prendere, non lasciare/ né correre/ né sostare”. Se ogni azione che consenta di appropriarsi di qualcosa o di raggiungere una destinazione appare priva di ragione, cos’è, allora, davvero inderogabile? La logica degli eventi, pur determinata dai nostri atti, spesso ci sfugge e ci mette alla prova. In questa circostanza, non resta che trovare una nuova origine: “Ma è necessario deporre l’abito dell’inverno nel fuoco dell’estate/ E la pelle che si sfalda si cambia in nuova pelle/ La parola che muore è sostituita dalla parola/ E ogni maschera morde alle spalle/ la maschera che dev’essere abbandonata”, si legge in uno dei brani conclusivi. Tutto germina dalla fine: la luce dal granito, il canto dalla pesantezza del mondo, l’emozione consapevole da quella non del tutto compresa.
E ciò che slega è ciò che trattiene. In questa raccolta, non c’è, come nel mito, nessun Orfeo che si volta indietro e perde definitivamente Euridice nel disperato sforzo di portarla alla realtà, ma un uomo che, nella vastità degli spazi tropicali, ha scavato dentro di sé – unico luogo del cielo – per non relegare la vita al margine della vita.

 

 

Di Annachiara Atzei


Cinque frammenti da Il cielo era già in noi (Argolibri, 2023)

Da La trasgressione del silenzio (1984)
Certo: sorprende questo turchino manufatto
capogiro d’un osso residuo
in trucioli di malva
e la punta finissima di un mignolo iodato
a tentare lo scacco proprio nella strettoia del silenzio
e nella reticenza degli attigui universi.

Eppure tracciammo mappe e sortilegi
e antichissime vie nell’anello
dei tronchi;
e il luogo, dopotutto; e la presenza
d’una estrema infermità nell’osso calcinato
sulla carcassa dei fiumi;
o è questa, forse
la condizione necessaria ai lembi
della ferita?
e sempre da questo lato della coscienza
ove il tempo s’assiepa proprio in un tratto
circolare
anche nel rischio di dissolversi.
*

Da Imżad (1987 – 1988)
Vorrei averti al mio fianco
per fermare i mondi di questo cielo
all’afelio del tuo sorriso
e abitare l’attimo di un medesimo tempo
– parlandoti –
da questo sudario che non avrebbe ceneri di marne
e di popoli
e tufi, rocce, polveri di locuste
pietraie,
perché l’esilio del tempo

è solo l’abisso di ogni cosa che è oltre il miele
della tua ombra,
ogni cosa che la pioggia azzurra della tua parola
non inonda di nidi
e il tropico infinito del tuo labbro
non coglie.
*

Chi eravamo, amore
prima di scendere nel tempo dei nostri corpi?

Chi ha detto che il tempo abbraccia qualcosa d’inferiore
a ciò che siamo in grado di sognare
e di essere?

Quale il segreto di questo nostro universo
che appare, scompare
e ritorna nel cielo esterno delle stagioni?

Di questo sogno in me antichissimo e tuttora nascente,
domato
al morso della discrezione,
confuso come rose di sabbia nella duna
della mia fronte
e come il vento nel deserto, caparbio, ritornante
rinnovato?

Cosa trattiene le sartie del tempo
che appena ieri salpava i mulini del mezzogiorno
e apriva le labbra a un dio sorpreso di riconoscere
i suoi flauti nel fogliame del mio canto?

Questa spola di silenzio come onda
all’ordito la trama conduce,
e ciò che era, annoda a ciò che diviene,
e tornerà ad essere?

E questa falla del tempo che si smaglia in esilio
ma non ci estranea;
questo silenzio che preme e fende
di là dallo specchio del tempo
per ciò che in sé non è silenzio?

Perché il silenzio è l’altrove del tempo;
perché silenzio è ovunque tu sia fuori dal tempo.
*

Da Questo intendevo dire (1989 – 1990)

A volte si crede di trovare nell’attaccamento a qualcosa
una vela che il sospiro di un mare antichissimo
ha lasciato dentro di noi
un porto che al momento ci appare la vera destinazione
un sostegno indelebile
un quieto legame nell’invisibile vino
di parole che crediamo ben pronunciate
e poi ci si accorge di tracciare ombre sui muri
o rincorrere ratti in canneto
e ci si trova nella rete di un bracconiere o al margine
di parole che non parlano
di parole che non hanno direzione
di parole che pongono confini
e quel momento è un solo momento mai cominciato
un modo per assolvere la nostra insicurezza
nella dolce distrazione di una pausa irreale
e masticare la vita senza ingoiarla.
*

E la benedizione di una sola pietra
è santificazione di tutti i mondi possibili.

Dono l’orma delle mie solitudini al deserto
per placare la sua immensità
e i cavalli delle nostre stagioni hanno impronte di cielo.

Ora ogni cosa è al suo posto.

L’oceano che divide riunisce
perché immutabile è la mobilità delle acque.

Pongo la mano sulla mano destra del cielo
E bacio l’anello che racchiude le sue eternità.

L’universo siede accanto alla mia parola
per riscaldare la carovana dei suoi soli
E l’oro del fiume è propizio.

Lascia un commento

Questo sito utilizza Akismet per ridurre lo spam. Scopri come vengono elaborati i dati derivati dai commenti.