Una storia inventata (di Alessandra Bravi)

Birth of a flower by Welder Wings

 

Lei

Quante volte abbiamo fatto l’amore in questi mesi? Non siamo arrivati neanche a dieci. E non perché non volessimo, ma perché lo abbiamo fatto sempre da clandestini: prima nel tuo ufficio quando non c’era nessuno, poi in macchina con la scusa che andavi a buttare la spazzatura. In albergo dove ci hanno dato le chiavi e noi le abbiamo restituite dopo tre ore, il tempo massimo concesso al nostro amore, e infine in un bed and breakfast con quel quadro di Chagall dietro il nostro letto.
Una storia che si fonde con l’amicizia, anzi che ne è stretta derivata, è strana. Quella come la nostra insomma, a cui è difficile credere, all’inizio e anche alla fine. Amore nato come un fuoco che si accende e, lentamente, in una notte si spegne. Non perché il fuoco non ci sia più, basterebbe ravvivarlo per farlo durare ore, giorni, mesi, ma perché o io o te, o entrambi, abbiamo preso un bel secchio d’acqua. Via le fiamme, solo la cenere. E lì, abbracciandoci, siamo rimasti a guardarla perché quella ci ha fatto meno paura del fuoco.
Nel nostro amore non c’era spazio per le nostre famiglie. C’eravamo noi e basta. E lì dentro, in quel limbo, ci siamo conosciuti. Le famiglie c’erano eccome, tua moglie, mio marito, i tuoi e i miei figli, il centro delle nostre vite, fino a sei mesi fa. E di nuovo ora, perché abbiamo voluto così.
La prima volta sei stato tu a impormi questa scelta e io ne sono stata sollevata. Ma poi abbiamo deciso di ravvivarlo quel fuoco. Un mese fa sei stato di nuovo tu e io mi sono sentita male. Nel momento in cui ero più convinta di noi, hai dato il colpo di grazia: non posso più, ti amo, ma non posso più e hai spento il fuoco. Infine, venerdì scorso. Consapevoli, decisi, sicuri: ok, va bene, alla fine non ci amiamo neanche. E poi invece niente.
Sarà questione di corpi che non sanno stare separati? Che non ci permettono di vivere l’uno senza l’altra. Le lacrime sul mio viso, tu che mi vieni dentro mentre dico che ti amo, non c’è quasi bisogno di sfiorarsi.
E poi la notte che arriva e di nuovo, un altro fuoco che precede la cenere. Prendiamo le parole che tanto ci piacciono e le pronunciamo a cascata.
Straordinari io e te, a non voler mai sentirci ordinari, ma sempre protagonisti di storie e romanzi e canzoni quando invece sai cosa ho capito? Che personaggi non lo siamo e la storia che abbiamo scritto era tanto vera e ordinaria e straordinaria ma come un giapponese che fa harakiri, l’abbiamo colpita a morte, ultimo sacrificio e supplizio.
Per chi e per cosa? Per tua moglie, per mio marito, per i nostri figli? E se non ci fossero stati loro? Non ci siamo permessi il lusso di rispondere. Basta se, hai detto tante volte. Tu vivi incollata al passato e vuoi trasformarlo in presente. Me l’hai spiegato con dolcezza all’inizio, condividendo anche in parte il mio amarcord. Sempre più arrabbiato alla fine. Dai, basta se.

Lui

Te lo avevo detto che ci saremmo fatti male. Trasformati da una storia che neanche chiamo storia, perché è stata forza e dolcezza, distruzione e aria.
Temo di amare ancora mia moglie. Nonostante tutto. Adesso vivo con ansia ogni fuga altrove. Ho cercato per anni donne in ogni capo del mondo e poi sei arrivata tu. Inaspettata, voluta per tanto tempo, vagheggiata e ora finalmente reale. Mi sono buttato dentro il tuo vortice e non ho mai pensato che ci sarei annegato dentro. Voglio uscirne però.
Ti ho scritto che mi fai sentire di esistere. Mai nessuna frase è stata più vera, più intensa di un ti amo, come hai sempre detto tu. L’ho scritta in maniera spontanea: tu da mesi per me fai questo. Che è più dell’amore, dell’intesa fisica e di quella mentale. Ed è di quella cosa lì che mia moglie è gelosa, sa che potrei trovarla in un’altra donna e così è accaduto. Sul piatto della bilancia ci sono cose che pesano più delle scelte autentiche. Ma continuerò a sognarti. Continuerò a pensare al tuo viso dopo il piacere, a cercare porzioni di letto, lì dove hai lasciato l’impronta. Accadrà per tanto tempo.
Venerdì l’ennesimo precipizio: non sono riuscito a starti lontano. Ti ho detto che volevo solo la tua amicizia e invece volevo il tuo corpo, comprese le tue lacrime. In quella macchina, in quell’ora, mentre ti stringevo e tu piangevi, ero pronto: pronto a stare con te, a uscire e dire a tutti che eri tu la mia compagna, pronto a tornare a casa e dire a mia moglie che ero innamorato di un’altra. L’hai sentito vero che ero pronto? Quando siamo andati in ufficio invece, non lo ero più ma non lo eri neanche tu. Troppe crepe ho fatto nell’immensa fiducia che riponevi in me. Eri brilla ma non tanto da lasciarti andare completamente, come me. Non sono neanche venuto, pur provando piacere.
Perché? Mi hai chiesto. Perché mi sento sporco, a disagio nel nostro momento più bello, sono sbagliato.
Nel giorno in cui avremmo potuto ricominciare, mi hai fatto capire che invece era la fine. Non eri triste, eri sorpresa e consapevole. Ti sei rivestita e poi: portami a casa. Ci siamo tenuti la mano anche dentro l’auto, fino a che non siamo arrivati dai tuoi. Ho cercato di baciarti ancora, ma tu ti sei voltata: lasciami andare, lasciami andare per sempre. Ci vorrà tempo, hai detto. Più che spegnere un fuoco, ho lasciato andar via una cosa preziosa, un anello, un bracciale e non tra le onde dove possono galleggiare ma nella sabbia, dentro una buca, dove nessuno li ritroverà mai.
Non ti dirò mi dispiace, la parola è vacua e inutile. Ti dirò invece che sarai sempre con me e che perdendoti, ho perso un pezzo di ciò che sono. Ce l’hai tu. Tu invece non hai perso niente perché i tuoi pezzi li hai ripresi, con consapevolezza e lucidità. Saprai ricostruirti. Sei una delle donne più forti che abbia mai incontrato. Ci riuscirai, anche senza di me. Io no.

 

Lei

Sì, ci riuscirò, lo credo anch’io. Non subito ma ce la farò. Per me soprattutto. E per mio marito e i bambini. Capirò quanto quello che io chiamo amore nei suoi confronti sia ancora reale e concreto.
Glielo devo. Come tu lo devi a tua moglie, ma il tuo per lei è già scritto. Non sono parole a caso quelle che dici: sono ancora innamorato di lei. E per questo rinunci a me. Era la strada più difficile, avremmo potuto fare gli amanti per tanto tempo ancora, inventare di continuo la nostra storia, scriverla ogni giorno sulle chat e con le mail, vedersi ogni tanto. Invece mi hai indicato l’altra via, la più ardua, e insieme l’abbiamo imboccata. Starò bene, vedrai.
I primi giorni sono sempre i più difficili. Non provare dolore per il mio dolore, passerà anche quello. Tu non lo senti e questa è un’altra cosa che ci allontana. Per quanto forte sia stato e sia il tuo amore per me, non fa rima con quella parola.
Ci sono ancora immagini di noi due che mi tagliano le gambe. La prima volta che facciamo l’amore nel tuo ufficio senza preservativo, il primo bacio dato su una sedia, un bacio che poteva essere tutto e niente ed è stato tanto, gli alberghi e quel quadro appeso sopra le nostre teste che tu hai cercato e ritrovato in Chagall. La macchina, alcova di tanti spostamenti, le chiacchiere continue davanti a un caffè a raccontarsi di noi, il caffè dopo l’aperitivo in cui c’era anche tua moglie e la tua frase: stamattina mi sono svegliato pensando ad una cosa sola: trovare un posto che sia solo per noi, il primo ti amo detto in zona franca e poi detto ancora anche fuori da quella zona e infine venerdì: le immagini lì si affastellano.
Lo stordimento quando mi baci in auto dopo tutte le parole dette e infrante, le mie lacrime, la voglia di noi, l’intesa durante la cena, la tua paura, quella voglia di sconfiggere la paura e la mia paura, la mia sfiducia nei tuoi confronti. E poi l’immagine di te, che pulisci il sangue delle mie mestruazioni, io che l’amore non l’ho fatto mai con le mestruazioni, il tuo venire quando mi prendi da dietro, altra cosa fatta mai e dove non pensavo di provare piacere e invece sì, l’ho provato, con te.
La nostra mattinata al mare, tu che dici: mi piacerebbe disegnarti ora, io che rispondo: fammi una foto. E tu: vorrei metterla su Instagram poi e non posso e di colpo ti rannuvoli mentre io sorrido perché dei social non me ne fregava un cazzo quando c’eravamo io e te, qui, nella vita reale. Io che guardo il mare e le onde lontane mi sembrano risacca, tu che guardi le stesse onde e vedi uno spruzzo di balena.
Hai sempre avuto più fantasia di me. La fantasia che usi nei tuoi libri e nei racconti perché no, non sai scrivere di te, anzi non vuoi proprio, faresti troppo male alle persone care, dovresti scrivere la verità, ma la verità ucciderebbe. Per la prima volta forse, saresti te stesso, ti faresti vedere davvero.
Il mio altruismo non me lo permette, hai risposto mentre io non ti volevo già ascoltare più, così come non ti ha permesso di stare con me, dico io. Credo sia una maschera, te l’ho urlato molte volte, ma tu hai sempre risposto che è amore per gli altri. Farò finta di crederlo.
E ora basta parole. Non sono più necessarie tra me e te. Salveremo ciò che potremo salvare.
Un’amicizia di trent’anni, l’intesa, che va oltre quella fisica, la leggerezza che ci siamo dati e che, con la giusta distanza, sapremo ancora darci.
La nostra storia diventerà un racconto e io e te ne saremo i protagonisti. Mi serve adesso, per superare quello che non siamo più. Metabolizzo solo con la scrittura, lo sai. Mi distacco da quello che accade, mi distanzia dalle nostre persone e ci inventa. Rende questa storia così vera, una splendida storia inventata.


Lui

Lo so. Solo scrivendo puoi superare questo momento. Ti immagino frenetica, in una pausa di lavoro, a buttare sul foglio noi, te, me. Invidio e odio questa tua capacità: trasformare i fatti in narrativa. Tu giornalista, fai esattamente il contrario di una cronista. Trasfiguri, trasponi, non solo te stessa. Io non scriverò mai di me e mai di te. Cosa potrei dire? Che lascio andare la donna che amo? Che mi aggrappo alle certezze che ho perché temo il viaggio con te? Che in sei mesi ho ricevuto quanto abbia mai avuto in vita mia e in cambio, alla fine, ho dato soltanto dolore? No, continuerò a scrivere libri per bambini e romanzi di fantascienza, più rassicuranti e meno introspettivi. Continuerò a mandarteli come tu mi manderai i tuoi scritti e finirò di correggere il tuo libro, che è bello, davvero bello sai? Grazie a quello, forse, ci rivedremo. Lontani dalle tentazioni, magari con le nostre famiglie, come ogni tanto ci siamo detti. A mia moglie piaci e io saprò conquistare tuo marito, i bambini se la intenderanno subito. Oppure da soli, a prenderci il nostro caffè, lontano però dai posti che sono stati il preludio di altro. O a camminare, come ci piace tanto fare mentre i fogli volano via e tu li rincorri, con i tuoi capelli che ti inseguono come un’onda.
Ma non fare un errore. Qualunque sarà il titolo che darai a questo racconto, la nostra non è stata, non è e non sarà mai, una storia inventata.

 

Di Alessandra Bravi

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