“Siamo abituati a pensare che una casa abbia un dentro e un fuori.
Ma una casa ha anche un in mezzo,
ed è in questa porzione di spazio che avvengono i fatti che nessuno racconta”.

Con Estate caldissima (66thand2nd) Gabriella Dal Lago ispeziona le intercapedini del noto a partire da una condizione di apparente leggerezza, il soggiorno di un gruppo di lavoro in una casa in campagna per rifuggire il caldo torrido di un’estate senza precedenti e riuscire a portare a termine un progetto entro una settimana. La coppia a capo dell’agenzia persegue un’idea di lavoro che elude le gerarchie, con un rapporto con i dipendenti basato sulla fiducia e la libertà. Dovrà fare i conti con dinamiche imprevedibili, paragonate da una dipendente al “Decameron, ma senza la peste”, che faranno emergere le debolezze, le paure, le speranze e le disillusioni che mineranno il labile equilibrio instaurato tra sette adulti, un bambino e una gatta.
Come nell’esordio Uto e Gesso (66thand2nd, 2022), Dal Lago rinnova il suo interesse per vicende che hanno come protagonisti giovani adulti, storie sviluppate in un tempo breve con sparuti flashback e visioni sul futuro, funzionali all’esplorazione dello smarrimento interiore, alla ricerca dell’origine dei tormenti che sconvolgono il presente.
A caratterizzare Estate caldissima è la prospettiva adottata, con ingrandimenti e visioni sulle geometrie degli spazi domestici privati e condivisi, in una continua alternanza tra esterno e interno che contempla una dimensione intermedia, cifra dell’elogio dell’incertezza.
“In mezzo: un luogo liminare, a cui nessuno bada. Un interstizio, un posto dove esistere senza essere guardati. Uno spazio di possibilità per un mondo nuovo.”
L’ambientazione nel 2022 (con un epilogo vent’anni dopo) restituisce uno spaccato dell’Italia contemporanea. La natura corale di un’opera che non si propone come generazionale, esalta la matrice profondamente vulnerabile di trentenni consumati da incoerenze e dissidi interiori. Dietro i tratti che caratterizzano (e all’apparenza categorizzano) i protagonisti, si nascondono ossessioni e limiti, manie di controllo, insicurezze affossate nell’arroganza, incapacità di affrancamento dal disagio. In tale realtà composita, a rivelarsi illuminati sono un bambino che si sente invisibile e con una finestra sulla pancia e l’animale che lo segue, capaci di muoversi nella notte in silenzio per spiare quel che accade.
Saranno i fautori di un evento dirompente in grado di generare nuove consapevolezze su quegli adulti smarriti.
Muovendosi in una dimensione temporale ristretta, la prosa lambisce la farsa e il dramma tra anse sul passato e sul futuro. Le visioni sull’ignoto si scoprono necessarie per scandagliare quel che si cela dietro gesti che attestano un’irruenza vacua, tracce di desideri inesplorati, traumi famigliari irrisolti, inquietudini notturne, frustrazioni esistenziali, ricatti emotivi, segnali di dipendenza tossica.
A scorgere le crepe di ogni finzione è il continuo rimando spaziale: il paesaggio padano è lo scenario d’elezione di un’autrice interessata a indagare il rapporto dell’individuo con una natura indifferente per dare rilievo assoluto al preludio, ancor prima che al dramma stesso, e indagare così una sospensione indefinita. L’incertezza dell’avanzare nell’esistenza dei suoi protagonisti trova una corrispondenza continua nella questione ambientale, resa nelle riflessioni sul cambiamento climatico che mostrano scelte contraddittorie e un discontinuo senso di responsabilità collettiva.
“Funziona così: sono degli affondi verticali nel tempo. Arbitrari. Ogni tanto è possibile passare le porte chiuse con lo sguardo, infilarsi fin sotto le lenzuola di chi dorme, a volte, invece, rimangono degli angoli bui nel racconto, che non vengono illuminati per svariate ragioni: troppo osceni, intimi, privati, ma anche poco interessanti, irrilevanti, quotidiani, dimenticabili”.
Al di là del groviglio di storie, dell’architettura formale e della scelta tematica, ad assegnare una peculiare impronta al romanzo è la visione adottata, che produce un processo di straniamento necessario a palesare la natura a tratti ridicola del muoversi nello spazio e nel tempo di figure ingenue, ciniche, disilluse, ironiche, individualiste, fragili, che si confrontano con le urgenze della contemporaneità nell’incapacità di scorgere le proprie private incoerenze, tra continui interrogativi identitari.
“Cosa succede se quello che siamo, se quello che saremo, rimane detto a bassa voce, così a bassa voce che nessuno è davvero in grado di sentirlo?”.
La necessità di aggrapparsi a un’illusione per fantasticare su desideri reconditi traccia nel sogno una possibilità di cambiamento. La centralità assegnata al racconto della precarietà riguarda anzitutto il mondo del lavoro: lo scontro padri/figli si sposta dal modello imprenditoriale agli ideali, nell’utopia demolita di uno stravolgimento radicale.
L’incessante muoversi tra macerie private e sciagure climatiche su cui si regge il romanzo, permette all’autrice di compiere un continuo parallelo ambientale per studiare la disgregazione sociale, fisica, interiore, attraverso immagini che simboleggiano contraddizioni che sovrastano una stringente categorizzazione generazionale ma si legano a un male di vivere radicato.
“Bevono troppo; mangiano male; nonostante i buoni propositi che fanno a ogni capodanno da circa un decennio non smettono mai di fumare. È più il tempo che sprecano di quello che vivono; si lamentano di non avere tempo libero, ma quando ce l’hanno non sanno che farci. Passano intere serate a scagliarsi contro le famiglie nucleari, gli amori monogami, l’eteronormatività, eppure nessuno di loro si è mai imbarcato in un progetto di vita che fosse radicalmente diverso da quello dei loro genitori – che, dicono ai loro analisti, sono stati un esempio scialbo, inadeguato, disfunzionale perché velocemente doppiato dal tempo, dalla società che cambia, dal mondo nuovo”.
Tra frequenti variazioni di tono e cambi di registro, il passo della narrazione segue un crescendo drammatico che prefigura il brusco mutamento metereologico, simbolo di un generale sovvertimento, climatico e interiore.
Con Estate caldissima Gabriella Dal Lago consegna un’opera che si interroga sul significato dell’abitare il limbo, sulle possibilità insite in ogni rivoluzione e sul grado di incertezza e di libertà che le accompagnano.
Alice Pisu

2 risposte a “Come il Decameron, ma senza la peste: Estate caldissima, di Gabriella Dal Lago (di Alice Pisu)”
una recensione he mi ha incuriosita, lo leggerò. Grazie
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Grazie per il feedback ;)
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