«e io al contrario ho ancora / qualcosa da dirti, vedi, nonostante tutto, / cara»: su ‘Ovidiana’ di Marco Malvestio (a cura di Giulia Martini)

Welder Wings, The paths of the mirror

Possiamo parlare per ore senza dire niente che conti per il suo significato letterale. Bronislaw
Malinowski fu il primo a chiamare comunione fàtica una delle funzioni fondamentali del
linguaggio: a «type of speech in which ties of union are created by a mere exchange of words» 1 , quando l’interazione verbale viene usata non per trasmettere e ricevere delle informazioni, ma per stabilire un contatto, una comunanza sociale.
Il «convegno» in cui parla Ovidio nella sezione Ovidio parla a un convegno di Marco Malvestio (howphelia 2022), nella sua dubbia utilità e sicura spiacevolezza («la voce / che ronza dello speaker quasi ci fa pentire / di aver lasciato i nostri appartamenti confortevoli» 2), appare come il luogo dove una comunità professionale si riunisce «tutti gli anni, appunto, / per parlare di letteratura, □ a ranghi serrati e riempiendo ogni pausa, / a discutere di Stazio a bocca piena» 3 .
Quello che rende «proprio impossibile mancare» al grottesco appuntamento sarebbe dunque un’analoga spinta associativo-interazionale, parzialmente appagata da un parlare pragmaticamente disfunzionale e patologico.
Il Novecento, in poesia, è il secolo dell’apocalisse dialogica: le interazioni fra i personaggi
parlanti hanno una matrice conflittuale, abbondano i fraintendimenti, i silenzi e le reticenze, sfuma l’intesa tra le parti; dai Canti di Castelvecchio (1903) di Pascoli a Polvere (1999) di Bordini, per citare due campioni rappresentativi, è possibile tracciare la parabola di una funzione anti-dialogica che attraversa l’intero secolo dandosi in molteplici forme e funzioni che hanno come tratto comune un generale malfunzionamento della comunicazione, indicando una mobilità verbale che non ha successo o che viene mobilitata per infrangersi su un senso intrattabile. Questa catastrofe del linguaggio interlocutorio, come suggerisce il testo da cui siamo partiti, è assunta in Ovidiana di Malvestio come continuo riproporsi di una situazione di comunicatività affranta, che attraversa tutto il libro: i significanti evaporano («poche parole scarabocchiate, / frammenti frettolosi, che grafia / e posizione rendono illeggibili, frasi un tempo note e ora evaporate, / e che sono inghiottite» 4 ), l’interazione sociale è fondata sulle «contraddizioni» 5 degli individui, che quando parlano o si immaginano parlare diventano gli attori di una «recita pietosa» 6 , ostruita da «difetti di pronuncia» 7 e incomprensioni di fondo («Ma noi nemmeno parliamo la stessa lingua» 8 ), interrotta dall’assenza di rete («questo cellulare / senza segnale» 9 ), programmaticamente degradata da un sostanziale cattivo uso del linguaggio, ora pedante («ma a noi, stanchi e verbosi, / sempre più stanchi e sempre più verbosi, / non può che fare piacere» 10 ) ora mendace, a vari livelli di ciarlataneria («Il prete di Tammuz ha pronunciato / un’accorata orazione, □ mentre fuori un questuante dal profondo / Oriente ci ha parlato lungamente / di reincarnazione, certo per spillarci / un’elemosina, più che per consolarci» 11 ; «non smette di pesarmi quello che dicevo / a Cesare nelle lunghe prolusioni  giustificatorie, / nell’imminenza inevitabile dell’esilio, […]. Avrei dovuto dire invece la verità» 12 ).
In breve, il soggetto lirico esperisce una sorta di crisi della comunicatività, che ne ostacola e
mortifica le varie forme. Eppure, è proprio questa dimensione locutoria e interlocutoria che tenta con lena indefessa di ricostruire, offrendosi come il detentore di «un messaggio» emblematicamente lasciato «in segreteria»: «c’è ancora qualcosa che ti devo dare, / quando tutto avrebbe invece suggerito / l’esatto opposto, […] e io al contrario ho ancora / qualcosa da dirti, vedi, nonostante tutto, / cara» 13 . Da un lato, quindi, la disgregazione dei rapporti e dei vincoli sociali; dall’altro, l’irrinunciabilità della situazione comunicativa, che emerge nei molteplici tentativi di ripristinare un rapporto interlocutorio: aprendo il libro, per esempio, le prime parole che s’incontrano sono emblematicamente quelle del titolo Ovidio parla ai Geti (ma la dimensione dialogica informa, oltre ai due sopra citati, gran parte dei titoli interni: Ovidio in autostrada prima di un temporale lascia un messaggio in segreteria, Ero a Leandro, Leandro a Ero, Say Goodbye, Catullus, to the Shores of Asia Minor); queste due componenti (la crisi della comunicatività e la continua tensione interlocutoria) si possono riformulare con il Sanguineti di Cose, 31: «tengo / troppe cose, da dirti a te, da dirle a tutti quanti: (e a tutte, soprattutto)» 14 .
Una lirica che occupa la parte centrale del libro, intitolata Paesaggio con mostro marino, si
conclude con una constatazione sul destino ‘fortunato’ di Andromeda che, «pur subendo la vertigine/ delle fauci di un mostro di vapori / […] ha il privilegio di recitare in un altrui / peplum, è deresponsabilizzata – / trasformata in funzione narrativa –  che invidia» 15 . Si tratta di versi centrali, da un punto di vista più ampio, anche in rapporto alla postura della voce principale (enunciante) del testo: in particolare, per il cortocircuito che viene ad attivarsi fra «il privilegio di recitare in un altrui / peplum» (genere cinematografico d’ambientazione storico-mitologica, prevalentemente greco-romana, che trae il nome dal costume dei personaggi maschili) e l’esenzione di responsabilità data dal fatto di essere «trasformata in funzione narrativa», due condizioni a cui si guarda con un rimpianto sottilmente ironico; chi parla di Andromeda, in altre parole, non detiene tale «privilegio» e soprattutto non si percepisce come una voce «deresponsabilizzata».
Proprio la «spinta narrativa e [la] propensione all’agency, attraverso la presa di consapevolezza della disgregazione del mondo e della cellula sociale» 16 sembrano tratti diffusi nella poesia italiana recente, come si propone in un articolo per «Polisemie» che prendeva come campioni gli autori dell’antologia Poeti italiani nati negli anni ’80 e ’90 17 , in cui erano comparsi quattro componimenti ora in Ovidiana.
Tanto l’emergenza del desiderio per un discorso che si dia come narrazione quanto la vocazione a un operare (anche in termini di auto-investitura poetica: fare l’opera) che sappia a sua volta ricostituirsi come discorso, producendo «un linguaggio che tenga aperto il rapporto col tempo» 18 rientrano tra le caratteristiche principali della funzione della nostalgia creativa, che, volendo riformulare quanto descritto nel Dizionario dei temi di Ceserani, consisterebbe in una particolare trasformazione del soggetto nostalgico da soggetto contemplativo a soggetto agente, sulla base di una presa di coscienza di un’avvenuta apocalisse (la fine di un mondo “com’era prima”).
Queste considerazioni sembrano trovare in Ovidiana di Marco Malvestio un modello
originalmente efficace. Per tornare alla sequenza da cui siamo partiti, Ovidio parla a un convegno si conclude con la constatazione che quello che accomuna «Florentin, giovane ricercatore della facoltà / di teologia di Bucarest» che «non farà carriera» al soggetto lirico è proprio l’imperfezione, l’inadempienza costituiva del linguaggio – con una differenza fondamentale: «Né io né lui, se ce lo chiedessero, sapremmo descrivere un albero, / ma a lui non importa» 19 .
La voce autoriale, del resto, è prestata a uno dei più grandi poeti di tutti i tempi, un professionista e precettore del parlare, che parla in prima persona e sa di cosa parlerà in futuro («Dovrei ripassare per domani: parlerò senz’altro / dell’iperbato, della ricchissima / cornucopia di possibilità / che offre a chi verseggia oggi» 20): anche questa, volendo, è una forma di autoinvestitura.

A cura di Giulia Martini


Note

1 Bronislaw Malinowski, The Problem of Meaning in Primitive Languages, in Charles Kay Ogden, Ivor Armstrong Richards, The Meaning of Meaning: A Study of the Influence of Language upon Thought and of the Science of Symbolism, New York, Harcourt, 1923, cit. pp. 314-315.
2 Da Ovidio parla a un convegno, I, in Marco Malvestio, Ovidiana, howphelia, 2022, cit. p. 40, vv. 12-14.
3 Ivi, p. 39, vv. 8-10.
4 Da Say Goodbye, Catullus, to the Shores of Asia Minor, I, Ivi, pp. 53-54, vv. 10-14.
5 Da Ovidio parla ai Geti, Ivi, p. 7, v. 3.
6 Da Ero a Leandro, Leandro a Ero, II, Ivi, p. 30, v. 13.
7 Da Glauco, Ivi, p. 11, v. 6.
8 Da Ovidio parla ai Geti, Ivi, p. 7, v. 13.
9 Da Ero a Leandro, Leandro a Ero, I, Ivi, p. 25, vv. 18-19.
10 Da Say Goodbye, Catullus, to the Shores of Asia Minor, III, Ivi, pp. 61-62, vv. 12-14.
11 Da Say Goodbye, Catullus, to the Shores of Asia Minor, II, Ivi, pp. 57-58, vv. 9-13.
12 Da Ovidio, postumo, Ivi, pp. 67-68, vv. 15-27.
13 Da Ovidio in autostrada prima di un temporale lascia un messaggio in segreteria, Ivi, pp. 19-20, vv. 9-19.
14 Da Cose, 31, in Edoardo Sanguineti, Il gatto lupesco. Poesie 1982-2001, Milano, Feltrinelli, 2010, cit. p. 369.
15 Da Paesaggio con mostro marino, in M. Malvestio, Ovidiana, op. cit., p. 35, vv. 2-8.
16 Giulia Martini, La funzione della nostalgia creativa, in «Polisemie», II, 2021, pp. 137-158. DOI: 10.31273/polisemie. v2.811; cit. p. 138.
17 Poeti italiani nati negli anni ’80 e ’90, a cura di Giulia Martini, III voll., Latiano, Interno Poesia, I vol. 2019; II vol.2020; III vol. 2022.
18 «L’irreversibilità del tempo è il vero cruccio del nostalgico. Tornando ai luoghi dell’infanzia il nostalgico s’accorge che non solo il tempo vissuto in quei luoghi è mutato, facendo svanire le voci, i volti, l’atmosfera, ma anche gli stessi luoghi – il profilo del paesaggio, le abitazioni, l’urbanizzazione, le presenze, i suoni – sono mutati: questa constatazione può aiutare ad accettare la finitudine come elemento costitutivo dell’esistenza e può contribuire a passare da una nostalgia per così dire passiva, chiusa, regressiva ad una nostalgia aperta, creativa. Insomma può contribuire a trasformare la nostalgia in linguaggio, in narrazione. L’ambivalenza della nostalgia può risolversi nella consapevolezza di un linguaggio che tenga aperto il rapporto col tempo, e affidi al ricordo – silenzioso o pronunciato – il rapporto con quel che è passato ed è assente irrimediabilmente» (Remo Ceserani, Mario Domenichelli, Pino Fasano, Dizionario dei temi letterari, vol. II, Milano, Garzanti, 2007, p. 1669).
19 Da Ovidio parla a un convegno, III, in M. Malvestio, Ovidiana, op. cit., p. 46, vv. 16-18.
20 Da Ovidio parla a un convegno, II, Ivi, p. 43, vv. 5-8.

 

Rispondi

Inserisci i tuoi dati qui sotto o clicca su un’icona per effettuare l’accesso:

Logo di WordPress.com

Stai commentando usando il tuo account WordPress.com. Chiudi sessione /  Modifica )

Foto Twitter

Stai commentando usando il tuo account Twitter. Chiudi sessione /  Modifica )

Foto di Facebook

Stai commentando usando il tuo account Facebook. Chiudi sessione /  Modifica )

Connessione a %s…

Questo sito utilizza Akismet per ridurre lo spam. Scopri come vengono elaborati i dati derivati dai commenti.


%d blogger hanno fatto clic su Mi Piace per questo: