Gli scomparsi sono i libri che non abbiamo mai saputo di voler ritrovare: libri dimenticati, libri fuori edizione, libri introvabili, libri mai tradotti, libri trascurati. Ogni settimana qualche brano da un libro“scomparso”, nella speranza che questo piccolo spazio nascosto possa contribuire a riesumarne qualcuno.
Edoardo Pisani

Il libro di oggi è Due, La passione del legame in Kafka, di Nadia Fusini, uno dei suoi saggi più belli, fuori edizione da anni. Ne proponiamo alcuni brani.
Kafka è maestro nell’autofustigazione: esatto nell’ostinato calcolo del proprio errore. Se scrive (il diario, le lettere, i racconti…) è per non darsi tregua. Sembra addirittura che scriva per massacrarsi; scrivendo, si disfa. Si toglie ogni ragione. È implacabile.
Ama farsi volgare, scoprirsi nelle sue tane, raggiungere il “fondo misero” di se stesso.
È un virtuoso delle “forme del declino”: “le forme del declino non sono immaginabili”, dice – commentando il proprio stare rifugiato “a scriver lettere nella stanza dei genitori” (Diario, 2 dicembre 1921). L’evoluzione, aggiunge, è stata “semplice”: l’inizio, “un gioco puerile”. “Non posso ammettere in alcun modo che i primi inizi della mia infelicità siano stati intimamente necessari”: avrebbe dovuto lottare, scacciarla “come le mosche” (Diario, 24 gennaio 1922). Ha lasciato invece che attecchisse, e guastasse tutto – e ora è troppo tardi per un altro sviluppo. Ora non può più staccarsi da quel gioco. La sofferenza iniziale (infelicità che c’era stata: lo spiega al padre) ha sviluppato il suo transfert nel “gioco”, s’è convertita in teatro , s’è oltrepassata in scrittura, per dimenticarsi. Finché il gioco impone la sofferenza per poter continuare.
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Kafka adora Flaubert. Lo legge e lo recita ad alta voce. “Da ragazzo,” racconta a Felice, “mi piaceva sognare di trovarmi in una grande sala piena di gente… e di leggere l’intera Educazione sentimentale senza interruzione per tanti giorni e notti che risultassero necessari, naturalmente in francese (oh la mia povera pronuncia!) da farne riecheggiare le pareti…” Nel novembre del 1912 dona una copia dell’Educazione sentimentale a Felice, dicendole: “È un libro che per molti anni ho amato più di due o tre persone. Quando e dove l’ho aperto quel libro mi ha colpito e preso interamente.”
E sempre si è sentito “un figlio spirituale di questo scrittore, anche se povero e impacciato…” In quegli stessi mesi, sta leggendo le lettere di Flaubert, e annota sul diario: “Leggo nelle lettere di Flaubert: Il mio romanzo è lo scoglio al quale sono attaccato e non so niente di quanto avviene nel mondo.”
“Preso” di nuovo e di nuovo “colpito”, commenta: “Simile a ciò che ho scritto di mio il 9 maggio.” Quando aveva infatti scritto: “Vincendo ogni inquietudine mi attengo al mio romanzo, proprio come la statua di un monumento che guarda lontano e si tiene aggrappata alla pietra.”
Tra il 1908 e il 1911 insieme all’amico brod legge ad alta voce in francese La tentazione di S. Antonio e L’educazione sentimentale. Brod ricorda la straordinaria immedesimazione di Kafka: “era come se Flaubert stesso fosse tornato in vita…”
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La fuga del legame è l’evento centrale dell’esistenza di Kafka: la ragione della sua scrittura. Niente lo tocca più da vicino di ciò che a se stesso sottrae, niente lo riguarda di più di ciò che si nega. Questa svolta, o torsione – il suo Umschwung o volteggio, è la necessità diabolica della sua scrittura. Del resto l’ha detto: è dalla lotta col nemico che prende senso la sua esistenza.
Se di fronte a Felice, indietreggia, dirà, è perché Felice è il mondo. “Il mondo – F. è la sua rappresentante – e il mio io schiantano il mio corpo in un contrasto inconciliabile.” (Quinto Quaderno). Tuttavia, da quella battaglia ancora non si ritira: non vuole andare verso la tana, senza ancora avere provato. E prova ancora con Milena: “Probabilmente però con maggiori difficoltà che a Marienbad; l’ideologia è più solida, le esperienze maggiori. Ciò che prima era un nastro divisorio, adesso è un muro o una montagna o, meglio, una tomba.” (Diario, 29 gennaio 1922).
[…] Ricomincia tuttavia a scrivere lettere. La lettera è ancora la forma che più aderisce al
sentimento che Kafka ha così forte da non poter mancare l’incontro con l’altro.
Perché, riguardo a Milena, andarle incontro che vorrebbe dire? Se non fingere, illudersi che possa darsi un contatto? Quando Kafka “immagina” l’incontro tra un uomo e una donna, questo prende l’immagine della relazione tra K. e Frieda: si può volere una cosa così?
Il Castello non è certamente la trascrizione della storia d’amore tra Franz Kafka e Milena Jesenka; come la storia con Felice Bauer non è la storia del Processo. E tuttavia, l’uomo che scrive le lettere e i romanzi è lo stesso. Sia nelle lettere che nei romanzi quest’uomo non ha che la parola per la propria espressione. Che essa sia in un caso più vicina alla vita, ai domestici traffici dell’esistenza, o si stacchi di un passo più avanti, non è certo questa l’occasione di una differenza definitiva, d’origine. C’è differenza, non la si vuole negare; ed essa è che i romanzi sono, in un certo senso, l’unica mossa in avanti di Kafka. Lui prosegue la vita nei suoi romanzi.
(Nadia Fusini è una delle maggiori saggiste contemporanee. I suoi studi più importanti riguardano il teatro di Shakespeare; Di vita si muore, viaggio nello “spettacolo delle passioni” delle maggiori tragedie scespiriane, a sua volta strutturato come un dramma in sé, con un prologo, cinque atti, un intermezzo e un congedo, è forse il suo libro più bello. Tuttavia ha scritto – fra i suoi numerosi libri – anche grandi saggi su Kafka, Arendt, Weil, Bespaloff, Keats e naturalmente Virginia Woolf.)