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Tu vuoi portarmi indietro
Si.
E perché vorresti farlo Libera delle terre Soprane?
Perché se non ritorni, tutto finirà. I popoli si estingueranno, Gli animali smetteranno di parlare, Gli dei si ritireranno dal mondo e le anime non torneranno mai più al grande Albero Nero che le raccoglie e le rigenera.
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Recensire un testo di Matteo Meschiari è una pratica assai complessa se non viene colto l’attimo preciso perché è estremamente probabile che nel frattempo il Nostro tiri fuori qualche altra sorpresa dal suo cappello che in qualche modo intereferirà con una tua prededente lettura. C’eravamo lasciati tempo fa con quel gioiellino di “Neghentopia” ed eccoci qua oggi a raccontarvi L’ora del Mondo, un libro che non a caso sta riscuotendo un diffuso interesse e su cui quindi urge appunto dire qualcosa. Se in Neghentopia, il lettore si trovava catapultato in una realtà post apocalittica già definita nel suo essere parte della storia dell’uomo, quasi che Meschiari ci lanciasse un monito (definito con precisione poi in un capolavoro di saggistica che è Artico Nero, di cui parleremo prossimamente) in questo caso veniamo riportati di peso in un paesaggio “reale” in quanto attuale e che Meschiari modenese, conosce benissimo. Attenzione però: fin dall’incipit si capisce subito che l’Appennino in cui ci ritroviamo non è lo sfondo a una fiaba ecologista dove l’eroina di turno si batterà per salvarci. Ma soprattutto se è vero che esiste come luogo, non è necessario inserirsi in un’altrettanto “reale” dimensione temporale. I tempi si dilatano e si restringono senza una logica e mai in funzione narrativa. Qui la visione è più complessa, qui ci troviamo davanti a una nuova forma di scrittura, dove l’io scrittore si trova costretto a decentrarsi e aprire uno sguardo più ampio fino a doversi confrontare e scendere a trattative con il luogo e con il tempo; deve confrontarsi con i sassi, i tronchi, le piante, con leggende, con voci altre che risuonano tra gli alberi, con divinità che non andavano dimenticate e che sono in attesa da 950 anni, con sentieri il cui tempo di attraversamento non è distanza, ma è rapporto col terreno, con il clima, con il paesaggio. La scrittura di Matteo Meschiari riesce a fondere una narrazione quasi fiabesca con una precisione scientifica enciclopedica che non può lasciarci indifferenti (è tornato il momento di togliere la polvere a Frazer, Zolla, Sermonti). La toponomastica dell’Appennino che traccia il cammino di Libera è puntuale a livello spaziale, al punto di poter via via seguirne il percorso su una di quelle mappe IGM dove ogni elemento della natura e dell’uomo ha una sua denominazione che è essa stessa paesaggio storicizzato, stratificato. Il messaggio è chiaro, lampante; se non è ora il tempo in cui anche gli scrittori devono interfacciarsi con il degrado dell’ambiente in maniera puntuale, locale, non lo sarà mai più e Meschiari in questo è di una coerenza encomiabile, perché scorrendo le pagine di questo libro, sono comunque presenti le tracce di Neghentopia ed è proprio il paesaggio a ricordarlo. un paesaggio che va ascoltato perchè parla e conserva le voci del passato e del futuro.
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Davvero e chi era? chiese Libera.
Un ragazzo.
Quale Ragazzo?
Un ragazzo e basta. Allora il ragazzo fece un lunghissimo viaggio. E il passero era con lui. Lo accompagnava, lo guidava. Gli raccontava quello che lui dimenticava
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E tu sei una specie di passero?
Vuoi che sia il tuo passero, Libera?
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Il cammino di Libera è accompagnato da personaggi e situazioni che trovano origine in leggende millenarie e che si muovono appunto in una toponomastica particolare, fortemente denotativa, legame saldissimo tra nome e luogo. E ogni luogo non è solo scrigno e traccia di una valenza storica (sia essa il rimando alla Resistenza o a più antiche battaglie) ma si presenta vivo nel suo rapporto con il magico in relazione alle vivide cosmogonie locali. Il cammino di Libera, bimba senza una mano, inviata dalle divinità locali alla ricerca di quell’entità mancante all’equilibrio di una dualità che si era spezzata è il cammino necessario per ricostruire un rapporto con il paesaggio che non può essere funzionale e antropocentrico. ma cognitivo, dialogico, Niente è a caso in questo libro; ogni elemento si presenta come simbolo o rimando ad altro e in questa scrittura che sembra quasi sussurrata, fanno capolino rimandi a altri scritti (Amleto, Gilgamesh, Campana, Eliot, Mc Carthy) a altre cosmogonie, a altre scienze. troviamo un giardino dell’Eden nascosto in una via del centro di Modena e ci ritroviamo a che fare con divinità Ginepro e Tasso, Yin e Yang, tanto scostante e spinoso uno ma dai frutti salutari quanto bello e attraente l’altro, ma dai frutti velenosi. Per ogni pagina ci sarebbe da scrivere una bibliografia e allora mi fermo qui ma devo dire sicuramente questo, Se, come me, sei uno di quelli che evita di entrare nei boschi quando piove col sole, uno che quando cammina per i sentieri della Val Varaita evita di posare sguardi indiscreti tra gli alberi per non disturbare la quiete dei Sarvanot o che sul lago di Brajes si incammina sulla sponda di sinistra e appoggia l’orecchio alla roccia sperando di sentire il rumore metallurgico dei nani, ecco allora questo è il libro che ti rende giustizia; se non lo sei invece, questo è il libro che comincerà a farti venire qualche ragionevole brivido ogni volta che ti incamminerai nel bosco e ti troverà impreparato il repentino variare delle ombre sul rilievo di una corteccia.
© Iacopo Ninni
M. Meschiari, L’ora del Mondo Hacca edizioni, 2019
Una replica a “Ripartire dal genius Loci: Matteo Meschiari e L’ora del mondo”
[…] Poetarum Silva – Jacopo Ninni, Ripartire dal Genius loci. Matteo Meschiari e L’ora del mondo, 28 novembre 2019: https://poetarumsilva.com/2019/11/28/ripartire-dal-genius-loci-matteo-meschiari-e-lora-del-mondo/ […]
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