“... L’architetto vero è un poeta che un giorno scoprirà in se stesso la presenza del domani nel nostro presente ...”
F. L. Wright
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Di Open Zona Toselli e delle sue iniziative vi abbiamo già parlato.
Il primo Talk, curato da Marina Gennari e Francesco Ricci, ha visto come protagonisti il poeta e docente Alessandro Fo, l’architetto Augusto Mazzini e Goffredo Serrini, architetto e poeta, in un confronto volto al tentativo di affrontare una possibile lettura della contemporaneità attraverso il rapporto tra le due discipline, evitando di cadere nella facile trappola della definizione di un rapporto esclusivamente “estetico”, là dove troppo spesso il termine “poetico” viene ridotto a categoria di giudizio.
Poetarum Silva era presente all’incontro in quanto media partner dell’evento; considerate quindi questo articolo come una relazione in progress su quanto accade in quel di Siena ma soprattutto un cortese invito a parteciparvi. Cogliamo l’occasione per ringraziare Alessandro Bellucci e Maria Gargano, ideatori dell’evento per averci invitato.
Tornando al presupposto iniziale, Carlo Scarpa cita:
“L’architettura può essere poesia?”. Certo. Lo ha proclamato F. L. Wright in una conferenza a Londra. Ma non sempre: solo qualche volta l’architettura è poesia. La società non sempre chiede poesia. Non bisogna pensare: “farò un’architettura poetica”. La poesia nasce dalle cose in sé… La domanda dovrebbe essere questa: “Quando è poesia una base attica e quando non lo è? Possiamo dire che l’architettura che noi vorremmo essere poesia dovrebbe chiamarsi armonia, come un bellissimo viso di donna. Ci sono forme che esprimono qualche cosa. […]”
Lo stimolo è importante e mette in evidenza una sua eccezionalità se si va oltre l’idea che la relazione tra le due arti spesso rimane funzionale, quasi artigianale, a partire dall’utilizzo di un lessico simile (metrica, composizione, struttura…). Nella nostra concezione comune di storia della letteratura non è difficile immaginare la Divina Commedia o l’opera petrarchesca come complesse strutture architettoniche così come l’architettura stessa segue una sua grammatica e una sua sintassi fino alla definizione di un suo “linguaggio”. Quel linguaggio messo per esempio in discussione da J. Derrida e dai primi interessanti esperimenti decostruttivisti di B. Tschumi e P. Eisenmann. Un’architettura costituita da una scansione di pieni e vuoti, come quella di Le Corbusier, può essere messa tranquillamente in relazione con la definizione di uno “spazio poetico” come quello di Ungaretti (quello che poi Fortini definisce lo “spazio bianco”) . Ma anche in questa maniera si va a dimenticare uno dei concetti fondamentali citati da F.L. Wright; l’elemento comune non va cercato in una definizione estetica oggettuale, ma nel suo essere nel tempo, per non incorrere nel rischio che l’oggetto “poetico” (Poieo, appunto) non si riveli in realtà (sempre che si possa parlare di “realtà” in architettura come in poesia) un oggetto inutile e insignificante, ma venga colto, per citare J. Baudrillard, nella sua “letteralità”: “… al di là del progresso, delle tecniche , dello sviluppo sociale e storico, l’oggetto architettonico, come evento che ha avuto luogo, non è suscettibile di essere interamente interpretato, spiegato“. D’altra parte, come ampiamente evidenziato da G. Bachelard, lo spazio architettonico assume una sua “poetica” in quanto luogo in cui nasce la poesia stessa. Ci si chiede allora se una poesia è altrettanto abitabile quanto una architettura; se un tentativo di mediazione l’hanno lanciato due architetti visionari come P. Scheerbart e F. Hundertwasser, una risposta “poetica” ci può arrivare sicuramente da un testo di Valerio Magrelli.
Bisognerebbe fare alla fine d’ogni libro
una piantina. Non un indice, piuttosto
una planimetria delle sue parti,
descrivendo le fondamenta,
i suoi diversi accessi, le stanze,
i servizi e i disimpegni.
Bisognerebbe precisarne anche
la capienza ed i costi, spiegando
l’ammontare della manutenzione nel tempo.
Svelare cosi l’ossatura del cantiere,
le sue membra nascoste
dal parametro della pagina.
Soprattutto sapere: quale
e quanto il materiale
(legname, pietre, tubature, cemento)?
Bibliografia
G. Bachelard, La poetica dello spazio, Edizioni Dedalo, Bari 1975
P. Scheerbart, Architettura di vetro, Adelphi, Milano 1982
J. Baudrillard, J.Nouvel, Architettura e nulla. Oggetti singolari, Electa, Milano 2003
V.Magrelli, “Bisognerebbe fare alla fine d’ogni libro” in Ora serrata retinae, p. 67 di Poesie (1980-1992) e altre poesie, Einaudi 1996;
3 risposte a “Su Poesia e Architettura”
Uno spunto davvero interessante.
Grazie della condivisione!
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[…] di jacopo ninni (da https://poetarumsilva.com/2015/10/15/su-poesia-e-architettura/) […]
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