Edward Hopper, Nighthawks (1942)
.
Caro Rhédi,
se c’è una cosa che ho imparato durante i miei innumerevoli viaggi, è che gli studenti di filosofia si combattono lasciandoli parlare. Quello che ho incontrato stavolta sul treno mi raccontava di uno strano concetto che da qualche anno sembra andare molto di moda in Occidente: il “non luogo”. Cos’è un non luogo? Se ho capito bene, potrebbe essere ad esempio quello in cui mi trovo adesso, un anonimo bar notturno davanti al porto di Livorno, dove aspetto la mia nave che partirà all’alba.
Il non luogo è un posto che trovi ovunque e che rimane sostanzialmente uguale in ogni sua occorrenza, è uno spazio da cui si passa senza fermarsi, in cui sai già cosa aspettarti, e non chiedi nulla di più. Il mio studente si domandava se questo dovesse rassicurarci o angosciarci, ma in realtà si lasciava sfuggire una conseguenza logica ancora più vertiginosa, e cioè questa: ogni gesto che si compie in un non luogo, dal più grave al più insignificante, è in realtà una non azione, qualcosa che avviene senza però avvenire, un atto mancato pur essendo accaduto. Ecco la terribile giurisdizione del non luogo, una non legge che governa in un non spazio.
Sono le quattro di notte, nel bar siamo soltanto io e l’anziano barista. Potrei aspettare che mi dia le spalle, e andare da lui con i passi felpati di una tigre ircana, stringendo tra le mani un laccio teso. Servirebbe un primo gesto deciso per cingergli il collo, poi durante una breve lotta ascolterei i suoi versi strozzati, immaginerei senza vederli gli occhi esorbitanti, guarderei cambiare in porpora il colore delle orecchie, infine sentirei una specie di “crack” sommerso e il tonfo del corpo sul pavimento. Così me ne andrei e niente sarebbe stato, riassorbito nel non rumore di questo non luogo.
Ecco, il momento sembra propizio. Il vecchio è girato da qualche secondo, armeggia convulsamente davanti all’apparecchio del caffè. Mi alzo senza sbattere la sedia, respiro con lentezza, allontano i pensieri, gli sono vicino, ancora pochi passi e… fuori! Adesso ho di nuovo davanti a me il mare e la notte, e il vento sulla faccia. Capito, Rhédi? Sono uscito senza pagare la mia consumazione, un succo di frutta, e un pessimo caffè italiano. Tutto è come se non fosse mai stato in quel non luogo dove nulla avviene. Una notte sono scappato senza pagare da un bar uguale a mille altri, e lo sapremo soltanto io, tu, e un vecchio barista vivo per miracolo.
.
@Andrea Accardi
4 risposte a “Cartoline persiane#5”
Ho visto Rhédi, l’altra sera, con un foglio di carta tra le mani. Senza che mi vedesse, l’ho osservato per alcuni minuti. L’ho visto dapprima grattarsi la testa, come per cercare di capire un termine, poi, improvvisamente, ha cambiato posizione, mettendosi sulla punta del divanetto dove era seduto, come nell’attesa di una notizia annunciata nel foglio, una notizia terribile, che faceva presagire il peggio. Infine l’ho visto battere un pugno sul foglio e scoppiare in una risata fragorosa che non gli conoscevo e che mi ha fatto fare un bel salto e sgattaiolare per non farmi cogliere in flagrante spionaggio (Rhédi è un tipo strano, si sa che riceve corrispondenza da lontano). Ora, finalmente, ho capito che cosa era scritto su quel foglio di carta.
"Mi piace""Mi piace"
mi piacerebbe che Rhédi reagisse davvero così :)
"Mi piace""Mi piace"
questa è la Cartolina più bella fin qui. Del resto ai terroni appena gli si concede l’occasione i un piccolo imbroglio, sono felici e scrivono meglio
"Mi piace""Mi piace"
Anche per me la migliore, pensiero ponderante e non solo sguardo raccontato. Grazie, Andrea.
c.
"Mi piace""Mi piace"