La scrittura della Catapano trova in me terreno fertile, lei è una di quelle coincidenze di sentire che ti lasciano a bocca aperta, piacevolmente sorpresi, in un sottopelle di versi che fanno stare in allerta e che si mescolano armoniosamente fra loro.
Comincia la sua silloge, opera prima, con degli “inni”, io li chiamo così, queste liriche che in sequenza sono dediche che in un miscuglio di sentire arrivano a farsi sentire nel lettore.
“Confine netto è stato
la posatura dell’errore
questo collocarmi
le cose o fuori o dentro
sottrarmi la flessibilità
vertigine finita masticata
nella pelle e nel suolo”(da sorella)
“mio fratello, l’inscindibile me chiuso in quell’oltre dentro
nella pelle familiare di padre,
che mi è confine”(da fratelli)
“Di notte lui ha solo i piedi coperti di lenzuola
nel sonno preferisce la non-limitazione
oltre la soglia”(da figlio)
“Un figlioè un patibolo di vita
cui diligentemente offrire il collo
lasciarsi sgorgare in un fuori di battaglia”
Quest’ultima è sicuramente la più sentita, perchè il figlio è parte del libro, una sorta di mattone caldo, pieno d’amoreche riscalda e che è necessario.
Questo amore che si scioglie divenendo liquido ed indispensabile, come il sangue che scorre.
“Porto sulla pelle il nome affilato di mia madre
sono ricorrenza calcificata delle sue viscere
…
Schiudo la porta all’uscio di mio padre
la maniglia lucida
di fatiche chiuse all’angolo”
Leggendola, percepisci una grande profondità nella sua scrittura, un cerebrale amalgamarsi alle sue parole, al sentimento che arriva e riparte da lei, e che poi s’apre a noi.
“C’è sempre legno che scricchiola
la sera, quando mi scivolo
dagli occhi la solidità del letto
nella stanza del bambino”“Costruirsi una disciplina nel dolore
è non dover chiamare l’amore
con un nome”
Scorrendo le pagine, si notano i lavori di Stefano Parolari, che diventano quasi necessari, per questo essere concentrici, ed è unione perfetta, una sorta di “raccoglimento” che insieme formano.
“Ai miei giorni vorrei dare l’accelerazione della
fuga non quando tutto piega al male ma quando
dal male non puoi tessere un bene trasversale”
Lentamente assorbi, ti fai carta e penna, mano e respiro, ti fai fame, come la sua che ripete quasi come un mantra.
“Di questo lavorarmi madre
-la fame occulta di ogni mia postura-
non trovo fondo e non trovo sommità”
Si trascorre con lei, percpisci ben oltre il respiro.
E’ figlia della terra e madre delle viscere, ama il mare e la terra, ama fortemente il sangue del suo sangue e ne fa fame.


2 risposte a “Recensione “La fame” di Chiara Catapano – ThaumaEdizioni 2011”
si, concordo con la tua lucida ed amorevole devozione.
Complimenti
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Grazie a chi mi sta leggendo, ad Antonella che s’è messa con la pancia oltre che con gli occhi
Chiara
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